L'Ecumenismo e il dialogo interreligioso approvato dal Sinodo Valdese 1998


IV. LA NOSTRA PROPOSTA ECUMENICA       torna all'indice

46. Ecco, in breve, i principi che guidano il nostro impegno ecumenico: l'ubbidienza alla Parola di Dio, la ricerca della "comunione conciliare", il rapporto tra unità della chiesa e unità dell'umanità.

47. Il primo principio, fondamentale e irrinunciabile, è l'ubbidienza alla Parola di Dio testimoniata nella Sacra Scrittura. "Poiché la Scrittura è la regola di ogni verità, contenendo tutto ciò che è necessario per servire Dio e per la nostra salvezza, non è lecito agli uomini, e neppure agli angeli di aggiungere, diminuire o cambiarvi alcunché. Ne segue che né l'antichità, né costumi, né la moltitudine, né la sapienza umana, né i giudizi, né le deliberazioni, né gli editti, né i decreti, né i concili, né le visioni né i miracoli devono essere in opposizione a questa Scrittura ; ma al contrario ogni cosa dev'esser esaminata, regolata e riformata in accordo ad essa". (Confessione di fede de La Rochelle del 1559, già richiamata, in analogo contesto, dal Sinodo valdese del 1962).

Ma proprio perché questa è la nostra posizione, facciamo volentieri nostre anche le affermazioni con cui le autorità civili di Berna conclusero la loro presentazione degli Atti del Sinodo svoltosi dal 4 al 14 gennaio 1532. Dopo aver detto che essi dovranno in futuro essere letti, spiegati e applicati senza deroga alcuna, il testo prosegue così : "Se però dai nostri pastori o da altre parti ci verrà proposto qualcosa che ci conduca più vicino a Cristo e che, conformemente alla Parola di Dio, contribuisca all'amicizia generale e all'amore cristiano meglio di quanto non faccia l'opinione corrente, volentieri l'accoglieremo e non intralceremo il corso dello Spirito Santo, il quale non è orientato verso la carne, ma fa invece crescere incessantemente verso l'immagine di Gesù Cristo, nostro Signore. Voglia egli custodire tutti nella sua grazia". (Sinodo di Berna, 1532)

Il criterio biblico è dunque costitutivo della nostra visione ecumenica in due sensi : anzitutto nel senso che la comunione di tutte le chiese che insieme cerchiamo dovrà essere in armonia e non in contrasto con la visione biblica dell'unità ; in secondo luogo nel senso che la Bibbia è essa stessa un modello di ecumenismo e sicuramente ci rivelerà ancora molte cose anche per quanto concerne l'unità della chiesa.

48. La nostra visione dell'unità della chiesa è già stata delineata nei suoi tratti essenziali nel documento del 1982 (dal punto 1 al 3.2, più il punto 7), che oggi richiamiamo e confermiamo. Si tratta in sostanza della visione dell'unità elaborata attraverso una riflessione prolungata e corale in seno al movimento ecumenico, che oggi possiamo raccogliere intorno a due nozioni centrali : "comunione conciliare" e "diversità riconciliata".

Condividiamo e facciamo nostra la concezione dell'unità come "comunione conciliare" (Conciliar Fellowship). Essa è stata felicemente espressa, sia pure nel contesto di un discorso diverso dal nostro, dalla consultazione di Fede e Costituzione, Salamanca 1973: "La Chiesa una dev'essere vista come una comunione conciliare di chiese locali, che sono esse stesse realmente unite. In questa comunione conciliare ogni chiesa locale possiede, in comunione con le altre, la pienezza della cattolicità, testimonia della stessa fede apostolica e, perciò, riconosce le altre come appartenenti alla stessa chiesa di Cristo e come guidate dallo stesso Spirito. Come l'assemblea di Nuova Delhi ha messo in luce, esse sono collegate (bound together) perché hanno ricevuto lo stesso battesimo e partecipano alla stessa eucaristia ; esse riconoscono reciprocamente i loro membri e i loro ministri. Sono unite nel loro comune impegno di confessare l'Evangelo di Cristo predicandolo e servendo nel mondo. A questo scopo, ogni chiesa tende a mantenere e coltivare rapporti effettivi e consistenti (sustained) con le sue chiese sorelle, mediante incontri conciliari ogni qual volta sia richiesto dalla loro comune vocazione". Il valore di questa descrizione dell'unità è triplice : anzitutto essa vede l'unità come comunione conciliare di chiese locali (così essa fu concepita e vissuta nei primi secoli di cristianesimo) e non come una comunione gerarchica costruita intorno ad una istituzione o una persona che ne sarebbe al tempo stesso il fondamento teologico-giuridico e il perno istituzionale. In secondo luogo essa riconosce alle singole chiese in comunione con le altre la pienezza della cattolicità, senza attribuire quest'ultima a una chiesa soltanto. In terzo luogo utilizza la categoria di "chiese sorelle" nei confronti di tutte le chiese, e non solo di alcune.

La visione dell'unità come "comunione conciliare" può essere ulteriormente perfezionata integrandola con l'idea di "diversità riconciliata". E' noto che il cristianesimo è apparso, nel secolo apostolico, sul palcoscenico della storia non in un'unica forma di chiesa uguale dappertutto ma in una pluralità di forme di chiesa, che costituisce uno dei tratti salienti e originali del fenomeno. La diversità non è dunque un dato tardivo, che in un secondo momento è venuto a incrinare o scomporre un ipotetico quadro uniforme delle origini, ma, al contrario, è un dato presente fin dai primi giorni, che ha caratterizzato come costitutivamente pluriforme l'unità cristiana. Unità della chiesa e diversità delle sue forme istituzionali sono dunque contemporanee come caratteristiche della chiesa cristiana (notae ecclesiae). Come lo Spirito Santo è unico ma dà luogo a una "varietà di doni" (I Corinzi 12,4), così la Chiesa di Gesù Cristo è una e pluriforme, non uniforme. La diversità non è una semplice e (forse) scomoda appendice dell'unità o un suo corollario, ma è ciò che la costituisce e caratterizza. Tanto che è stato detto, con ragione, che l'unità cristiana non è solo un'unità nella diversità ma tramite la diversità.3

Certo, non si può semplicemente equiparare la diversità dei carismi di cui parla il Nuovo Testamento con le diversità oggi esistenti tra le confessioni e tradizioni cristiane. Ma il principio regolatore dell'unità cristiana deve restare lo stesso : l'unità cristiana è un'unità di diversi. Perciò oggi essere uniti in senso cristiano significa superare le divisioni salvaguardando le diversità compatibili con l’Evangelo. Una "diversità riconciliata" non è una diversità annullata. Perciò nella futura comunione ecumenica occorrerà che le diverse chiese e confessioni siano presenti nella loro robusta individualità storica e spirituale, liberata da settarismi, parzialità e travisamenti.

Questa è, a grandi linee, la nostra visione dell'unità. Nel quadro del movimento ecumenico tendere verso tale obiettivo implica che ci si immetta in un "processo conciliare" di rinnovamento e cambiamento che coinvolge ogni singola chiesa e comunità locale: l'unità cristiana non risulterà dalla somma delle chiese esistenti, ma dalla loro conversione a Cristo.

49. Le profonde divisioni che, con le loro conseguenze fatali, oggi attraversano e lacerano il corpo dell'umanità sono più gravi ancora delle divisioni tra le chiese, per quanto scandalose queste ultime possano essere. Perciò nell'ambito del movimento ecumenico la ricerca dell'unità tra le chiese è da tempo accompagnata dalla ricerca dell'unità della comunità umana. Ciò che divide l'umanità, divide anche, talvolta in maniera invisibile, talaltra in maniera flagrante, le chiese. Questioni etniche e identità nazionali, disponibilità economiche e appartenenze razziali, convinzioni politiche, formazioni culturali e le differenze sessuali possono dividere e di fatto dividono le chiese non meno che questioni morali o dottrinali. Perciò, nella nostra visione, l'unità delle chiese è strettamente collegata al superamento delle divisioni presenti nella società, prima fra tutte quella tra ricchi e poveri. Per questa ragione l'impegno ecumenico dei cristiani non può essere circoscritto all'ambito teologico e liturgico ma comprenderà anche iniziative politico-sociali nell'ambito dei diritti umani, della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato.

50. Detto questo, riteniamo che nel quadro e nello spirito del movimento ecumenico ogni chiesa è chiamata ad esercitare il "discernimento degli spiriti" (I Corinzi 12,10) e a "provare gli spiriti, per sapere se sono da Dio" (I Giovanni 4,1) anzitutto nei confronti di se stessa. Anche Gesù ci ha messo in guardia sui rischi connessi con il "giudicare" gli altri e sulla necessità di togliere prima la trave dal nostro occhio per poter scorgere la pagliuzza nell'occhio dell'altro (Matteo 7,1-5). Nei loro rapporti reciproci le chiese potrebbero utilmente seguire la regola dell'apostolo Paolo là dove egli dice : "Se uno pensa di esser qualcosa pur non essendo nulla, egli inganna se stesso. Ciascuno esamini invece l'opera propria; così avrà modo di vantarsi in rapporto a se stesso, e non perché si paragona agli altri" (Galati 6,3-4).

Ogni chiesa è dunque chiamata a misurarsi non sulle altre ma sul Signore. E' Lui l'unità di misura di tutte e di ciascuna. E' a Lui che ogni chiesa dovrà render conto del modo, più o meno degno, con cui sta rispondendo alla vocazione ricevuta.

Nessuna chiesa è giunta alla perfezione o ha già "ottenuto il premio" (Filippesi 3,12). Tutte sono in cammino verso una "patria migliore" (Ebrei 11,14-16). In questo cammino esse possono esercitare a vicenda un ministero di correzione fraterna le une nei confronti delle altre, affinché "ci sbarazziamo di tutto ciò che è di peso e del peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta" (Ebrei 12,1-2).

 

V. I RAPPORTI CON L'EBRAISMO       torna all'indice

51. Il peso del passato. Nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale si è avviato e sviluppato in tutta l'ecumene cristiana un processo di revisione dei rapporti tra chiese ed ebraismo.

La riflessione sulla Shoah4 ha in un primo tempo portato a riconoscere e confessare la corresponsabilità che, con la loro partecipazione diretta o la loro acquiescenza, i cristiani hanno avuto nella persecuzione e nello sterminio degli ebrei ad opera dei nazisti - sebbene vi siano stati cristiani che hanno cercato il dialogo e hanno agito a favore degli ebrei perseguitati. In seguito, si è preso coscienza del peso che il pregiudizio anti-ebraico ha avuto, attraverso i secoli e fino alla Shoah, nella teologia, nella predicazione, nella catechesi e nella prassi delle chiese cristiane.

Le colpe delle chiese durante la Shoah sono apparse legate a questo secolare "insegnamento del disprezzo", nel quale si può individuare una delle principali cause del moderno antisemitismo. La riflessione sulla Shoah ha così avviato un processo di denuncia e di superamento dei tratti anti-ebraici non solo della prassi, ma anche della teologia e dell'insegnamento cristiani.

52. Si è anche riscoperta quella che per secoli è stata una dimensione "perduta", anzi negata: il legame profondo che unisce cristianesimo ed ebraismo, non solo sul piano storico. Una maggiore considerazione del rapporto tra le due parti del canone cristiano, dell'ebraicità di Gesù e del disegno paolinico di Rom. 9-11 hanno condotto a ripensare in modo nuovo il rapporto tra chiese ed ebraismo, anche riallacciandosi alla valorizzazione dell'Antico Testamento che ha caratterizzato il protestantesimo riformato.

Per secoli il cristianesimo ha definito ed etichettato l'ebraismo con un atteggiamento di contrapposizione polemica. L'ebraismo era così una realtà spesso misconosciuta, generalmente sconosciuta. Oggi le chiese avvertono l'esigenza di imparare a conoscere e riconoscere Israele anche a partire dalla coscienza che gli ebrei hanno di sé, in tutte le sue articolazioni, nei termini in cui gli stessi ebrei la definiscono ( ad es. Dio, popolo, terra) e in tutta la sua articolata complessità, che traspare già dai molteplici riferimenti che il termine Israele può avere (il popolo eletto in senso teologico; lo stato ebraico in senso politico; il popolo che, religiosamente, si esprime nelle varie correnti e comunità che lo caratterizzano oggi in Israele e nella diaspora ecc.). Alle definizioni stereotipate e caricaturali (a cominciare dall'interpretazione schematica ed ideologica delle pagine critiche o polemiche del Nuovo Testamento) si è venuto sostituendo un interesse per la conoscenza dell'ebraismo e per il dialogo con gli ebrei e la loro tradizione.

Si è preso coscienza del fatto che, alla luce della testimonianza biblica, il rapporto tra chiesa e Israele si colloca su un piano diverso da quello del rapporto con le altre religioni.

53. Verso una nuova comprensione cristiana di Israele. Il cammino intrapreso con la riflessione successiva alla Shoah è solo agli inizi. Esso appare come una vera e propria svolta, destinata ad incidere profondamente nella prassi e nella teologia. Se sono sufficientemente chiare le posizioni da cui è necessario prendere risolutamente le distanze, appena abbozzate sono le formulazioni con cui esprimere in modo nuovo il rapporto tra chiesa e Israele.

Nella loro riflessione, le singole chiese non procedono isolatamente, ma ciascuna può avvalersi del contributo delle altre. Pensiamo in particolare ai numerosi documenti di chiese sorelle5 e alla riflessione svolta nell'ambito del Consiglio Ecumenico delle Chiese.6

54. Nel cammino fin qui percorso dall'ecumene, in particolare protestante, sono da segnalare soprattutto le seguenti affermazioni, nelle quali si esprime l'odierna visione protestante dei rapporti tra chiesa e Israele, come essa appare nei documenti citati.

a) Il Dio di Gesù è il Dio di Israele, da Abramo a oggi. Ebrei e cristiani parlano dello stesso, unico Dio. Opporre il "Dio di Israele" (o dell'AT o "giudice" ) al "Dio di Gesù" (o del NT o "misericordioso") non ha fondamento biblico.

b) Gli ebrei attraverso la tradizione rabbinica (in particolare il Talmud), i cristiani attraverso il Nuovo Testamento, radicano la propria fede e la propria azione nelle Scritture d'Israele, l'Antico Testamento del canone cristiano. Il confronto di letture per secoli distinte, quando non contrapposte, è spiritualmente fecondo in quanto può approfondire la comprensione delle Scritture comuni.

c) E' da respingere l'idea che l'elezione della chiesa abbia annullato l'elezione d'Israele. La chiesa, eletta in Gesù Cristo, è stata inserita nell'alleanza di Dio con il suo popolo. Per questo non si può dire che la chiesa abbia soppiantato Israele come popolo di Dio.

d) Alla visione secondo cui Israele sarebbe stato respinto da Dio, viene opposto il riconoscimento che Israele continua a vivere del patto (promessa e vocazione) stabilito da Dio con i padri e mai revocato. La durevole esistenza del popolo d'Israele appare in questa prospettiva come un segno della fedeltà di Dio alle sue promesse.

e) La chiesa, confessando Gesù Cristo quale Messia d'Israele e Salvatore del mondo, riconosce in lui colui che congiunge i popoli del mondo con il popolo di Dio. La fede in Gesù come Salvatore delle genti, biblicamente intesa, non ci separa da Israele né ci oppone ad esso, per cui nessuna ostilità contro il popolo ebraico può essere motivata con il nome di Gesù.

f) La chiesa e il popolo d'Israele sono chiamati, ognuno secondo la propria vocazione, a credere nell'unico Dio, a servirlo e a rendergli testimonianza nel mondo. Nell'accogliere la rispettiva vocazione, superato da parte cristiana il tradizionale atteggiamento polemico quando non denigratorio, chiesa e Israele possono scoprire il dialogo, la preghiera solidale, il confronto fraterno. Nell'ecumene evangelica, è oggetto di discussione come possa configurarsi la testimonianza nei confronti d'Israele, tra dialogo solidale e annuncio. In ogni caso, tutti convengono sul fatto che il rapporto tra chiesa ed Israele è una realtà del tutto particolare, diversa da quella del rapporto con le religioni o le culture.

g) La chiesa riconosce di avere in comune con Israele l'attesa del Regno di Dio e la speranza, che fonda e qualifica l'impegno per la giustizia e la pace da parte di cristiani ed ebrei.

55. Domande aperte. Il processo di ripensamento e il dialogo devono essere sviluppati in due direzioni.

Da un lato, le chiese hanno il compito di diffondere al loro interno e radicare a tutti i livelli (teologia, catechesi, predicazione) le acquisizioni che sono il frutto di un dialogo ormai pluridecennale. La critica all'antiebraismo del passato e la ricerca di un nuovo rapporto con Israele non possono rimanere circoscritte a una piccola élite, ma devono entrare a far parte della comune coscienza cristiana.

D'altro lato, molte questioni teologiche devono ancora essere approfondite. Non basta fermarsi alla denuncia di posizioni oggi non più accettabili, occorre giungere a convincenti formulazioni positive.

A titolo di esempio, si possono menzionare i punti seguenti, affrontati con posizioni diverse anche all'interno del mondo evangelico:

a) Come si configura il rapporto tra il "patto non disdetto" con Israele e il patto in Cristo?

b) Quali sono il valore, il significato e il ruolo della "Legge" per ebrei e cristiani?

c) Qual è oggi la lettura "cristiana" delle Scritture che chiesa e Israele hanno in comune? Come si articolano tra loro l'attenzione alla specificità dell'Antico Testamento e la confessione che l'opera di Cristo è "secondo le Scritture"?

d) Qual è il significato delle promesse bibliche ad Israele, in particolare di quella della terra, e quale il loro rapporto con il ritorno di ebrei nella loro terra e la costituzione dello stato d'Israele?

e) Qual è il rapporto tra la confessione di fede trinitaria nell'unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, e il monoteismo ebraico?

f) Qual è il rapporto tra la concezione ebraica e quella cristiana della condizione umana e della salvezza? Fede e opere, libertà umana ed iniziativa di Dio, grazia e merito, peccato e libero arbitrio, sono alcuni dei termini intorno a cui si è tradizionalmente svolto il confronto tra le rispettive posizioni.

g) Come affrontare la cristologia in un atteggiamento di dialogo con Israele e senza attenuare la confessione della nostra fede in Gesù come Salvatore di tutti?

56. Nella specifica situazione italiana, occorre rivisitare le storie parallele delle minoranze ebraica ed evangelica, caratterizzate da sensibilità assai prossime, da episodi di dialogo, solidarietà ed impegno comune in favore della libertà, in primis religiosa. In questo passato si trovano radici significative per il dialogo di oggi.

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