"L'ECUMENISMO E IL
DIALOGO INTERRELIGIOSO"
A cura della Commissione consultiva |
Approvato dal Sinodo 1998 | ||
I. I RAPPORTI CON LE ALTRE CHIESE EVANGELICHE II. I RAPPORTI CON LE CHIESE ORTODOSSE III. I
RAPPORTI CON LA CHIESA CATTOLICA ROMANA IV. LA NOSTRA PROPOSTA ECUMENICA VII. I RAPPORTI CON LE ALTRE RELIGIONI 1. Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, ricordando che le chiese che in esso si esprimono salutarono a suo tempo con gioia la nascita del movimento ecumenico, ravvisandovi una iniziativa dello Spirito Santo, e vi presero parte fin dall'inizio, prima ancora della creazione (nel 1948) del Consiglio Ecumenico delle Chiese e, in maniera più organica e continuativa, a partire dalla sua creazione, ribadisce la sua ferma volontà ecumenica e il suo desiderio di vivere l'ecumenismo in tutta la sua ampiezza. Perciò ripropone le ragioni di fede che suscitano e orientano il suo impegno in questo campo. 2. La Chiesa di Gesù Cristo è una, cioè unica ("un corpo unico, un unico Spirito, un'unica speranza, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un Dio unico e Padre di tutti", Efesini 4,4-6) e unita in se stessa ("noi che siamo molti, siamo un corpo unico" 1 Corinzi 10,17). L'unità è dono di Dio Padre, realizzata in Gesù Cristo e manifestata dallo Spirito Santo, che è unico ma si esprime in una mirabile "diversità di doni" (1 Corinzi 12,4). La Chiesa è una, come è santa, cattolica o universale, e apostolica. L'unità appartiene all'essenza della Chiesa, non è un dato secondario da cui si possa prescindere. Non si può dividere la Chiesa o moltiplicarla. Nel corso della sua storia però la cristianità si è divisa più volte e in più modi. Malgrado queste divisioni, la coscienza che la Chiesa è una non ha potuto essere cancellata. La Chiesa Evangelica Valdese (Unione delle chiese valdesi e metodiste) si comprende come un'espressione dell'unica Chiesa di Gesù Cristo. 3. La Chiesa è unita anche con Israele, nell'unico patto con il suo popolo che Dio non ha mai disdetto (Romani 11,29). Nel corso dei secoli la coscienza di questa appartenenza, costitutiva dell'identità della Chiesa, è andata perdendosi. Il rapporto della Chiesa con Israele è parte integrante dell'orizzonte ecumenico. 4. La varietà e la diversità fanno parte della natura stessa della Chiesa una in quanto sono costitutive dell’umano. Dio è trinitario e crea un’umanità plurale; dimenticarlo porta all’idolatria. Quando la Parola di Dio risuona nella testimonianza umana parla a più voci. La Bibbia si apre con due racconti della creazione, il Nuovo Testamento con quattro Evangeli. Lo stesso Nuovo Testamento esprime varie concezioni di chiesa, una pluralità di teologie, una pluralità di posizioni etiche. Queste diversità (e altre che si possono aggiungere) sono reali, non apparenti, e non escludono un confronto reciproco e una vera e propria tensione. Esse illustrano i molteplici aspetti di una stessa e unica realtà: la rivelazione di Dio in Gesù Cristo, attestata nella Sacra Scrittura. L'unità cristiana esiste solo attraverso la diversità. L'uniformità contraddice l'azione dello Spirito Santo, che si manifesta nella varietà dei doni. Oltre alle diversità dovute alla straordinaria ricchezza di espressioni dell'unico Evangelo cristiano, ve ne sono altre che dipendono dalle situazioni storiche e dai contesti culturali in cui le chiese sono nate e si sono sviluppate. Neppure queste differenze, nella misura in cui non contraddicono l'Evangelo ma al contrario servono meglio a esplicitarlo nei diversi spazi umani ai quali è destinato, ledono l'unità della Chiesa, anzi concorrono ad arricchirla ulteriormente. 5. La Chiesa, nella varietà delle sue espressioni, è però anche divisa. Non Cristo è diviso (1 Corinzi 1,13) e neppure la Chiesa come corpo di Cristo, che è e resta uno, pur avendo molte membra (1 Corinzi 12,12). E' la Chiesa come realtà umana e storica a essere divisa, in contraddizione con la fede di tutti i cristiani che confessano la Chiesa una. In realtà la storia della divisione cristiana è quasi tanto antica quanto quella della sua unità. Le ragioni della divisione sono molteplici: dottrinali, disciplinari, morali; un peso rilevante l'hanno avuto, in svariate circostanze, questioni di potere. Il risultato è che nel corso dei secoli molte chiese si sono reciprocamente scomunicate, considerandosi a vicenda infedeli a Cristo e oggi ancora continuano a condurre esistenze parallele, ignorandosi o facendosi più o meno apertamente concorrenza. Benché tutte intendano annunziare Gesù Cristo, lo intendono in modi così diversi ed esclusivi da dar luogo a comunità contrapposte. E' vero - e non va dimenticato - che secondo l'Evangelo non ogni divisione è negativa, anzi ve ne sono anche di necessarie (Luca 12,51; 1 Corinzi 11,19; 2 Corinzi 6,14-19). Vi sono infatti nel mondo e anche nelle chiese forme di unità che la Parola di Dio non può non mettere in questione e spezzare. In questo senso alcune divisioni accadute nel corso della storia della Chiesa non sono state altro che la crisi di un'unità che non era propriamente cristiana, e hanno inteso manifestare l'esigenza di un'unità più autentica. Anche in questa tensione di fedeltà alla verità evangelica la divisione non può comunque essere vissuta con soddisfatta sicurezza, bensì come doloroso riflesso di un'infedeltà. 6. Le chiese che, pur vivendo nella divisione, confessano l'unità della Chiesa di Cristo e sinceramente desiderano manifestarla, partecipano al movimento ecumenico grazie al quale sono uscite, in tempi e modi diversi, dal loro secolare isolamento e hanno iniziato un cammino di pentimento e rinnovamento che dovrà condurle, come e quando Dio vorrà, alla meta della piena comunione, che sta davanti a loro come promessa e come dono. Si comincia a dialogare e a conoscersi, lentamente si dissolvono pregiudizi e risentimenti, avversioni e diffidenze, fino a scoprire una fraternità possibile e cominciare a viverla almeno per frammenti. Cammin facendo, s'impara ad accogliersi gli uni gli altri, come Cristo ci ha accolti (Romani 15,7); ci si sforza di mettere al centro del rapporto il Signore stesso - perché è Lui che ci unisce -, l'ascolto della sua Parola, l'esempio della sua vita, la forza della sua risurrezione, e di rimuovere tutto ciò che, dentro di noi e intorno a noi, ci allontana da lui. Le ragioni di fondo e le esperienze delle divisioni, certo, permangono, e l'ecumenismo autentico non le ignora e non ne banalizza la portata, ma le assume invece in un dialogo fraterno, alla luce della Parola di Dio nel quale è dato di cogliere un inizio di comunione, reale anche se parziale, su vari punti. Pur sapendosi divisi, si comincia a pensare che i frammenti di comunione ritrovata potrebbero moltiplicarsi e diventare più grandi. Non solo, ma incontrando altre chiese e tradizioni cristiane si scopre che nessuna chiesa (a cominciare dalla propria) esaurisce la "pienezza di Dio" (Efesini 3,19) e dell'Evangelo: Dio e l'Evangelo restano più grandi di ogni chiesa e di tutte le chiese insieme; si scopre inoltre che ogni chiesa (a cominciare dalla propria) ha limiti, difetti e peccati, per cui vale anche nei rapporti tra le chiese l'invito di Gesù a non voler togliere la pagliuzza dall'occhio di altri mentre una trave è nell'occhio proprio (Matteo 7,4); si scopre infine che ogni chiesa (anche la propria) ha uno o più doni di Dio, una esperienza di fede e molte altre cose da condividere con le altre; è nello scambio dei doni e delle esperienze, ma anche degli interrogativi critici e delle ammonizioni fraterne, che si vive e si cresce ecumenicamente e si costruisce, con pazienza e perseveranza, la piena comunione di tutte le chiese. Questa unità cercata e attesa non è però fine a se stessa: l'esigenza unitaria, nata dalla missione, è in funzione della missione. La promessa più grande che accompagna il movimento ecumenico è che "il mondo creda" (Giovanni 17,21). Questa promessa è la ragione principale che impone a ogni credente e a ogni chiesa di partecipare intensamente all'avventura ecumenica. 7. Il Sinodo individua per le nostre chiese in Italia livelli diversi di rapporti, ciascuno con caratteristiche proprie: da una parte l'ecumenismo con le altre chiese evangeliche, con le chiese ortodosse e con la Chiesa cattolica romana, tutte legate dalla comune fede in Cristo; dall'altra il dialogo con l'ebraismo, che costituisce la nostra comune matrice storico e teologica; poi il dialogo con l'Islam, al quale siamo tutti legati dalla condivisa ascendenza abramitica; ed infine il dialogo con le altre religioni, nel rispetto delle diverse identità e delle proposte di cui sono portatrici. Non affrontiamo in questo documento le tematiche relative ad altre realtà religiose (come per es. i Testimoni di Geova, i Mormoni, Christian Science, ed altri) sebbene sia urgente avviare lo studio anche di queste realtà. I. I RAPPORTI CON LE ALTRE CHIESE EVANGELICHE torna all'indice 8. Il rapporto tra le nostre chiese, le altre chiese protestanti italiane che si richiamano, più o meno direttamente, alla Riforma del XVI secolo, e le chiese evangeliche italiane di diversa matrice, ha radici antiche e profonde: il richiamo alla centralità della Scrittura, il patrimonio spirituale del Risveglio, la vocazione a mettere le loro specificità al servizio dell'evangelizzazione del nostro paese, una storia per molti aspetti comune, di cui possiamo solo menzionare alcuni momenti. La fine del secolo diciannovesimo vede il nascere dell'Associazione Cristiana dei Giovani (YMCA-ACDG, nel 1887) e della Associazione Cristiana delle Giovani (YWCA-UCDG, 1894) che hanno avuto importanti collegamenti con le nostre chiese, specialmente nel settore giovanile. Pur tra molte difficoltà, l'evangelizzazione dell'Ottocento sperimenta sovente la collaborazione di denominazioni diverse; il Congresso evangelico del 1920 indica un diffuso desiderio unitario da parte di ampi settori dell'evangelismo italiano; nel 1946 nasce il Consiglio Federale delle Chiese evangeliche in Italia, che si distingue nella ricerca di posizioni comuni nei rapporti con lo Stato e dunque nella lotta per la libertà religiosa; il II Congresso delle Chiese Evangeliche in Italia (1965) porta, due anni dopo, alla prima assemblea della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), alla quale aderiscono inizialmente le chiese battiste, la Chiesa metodista, la Chiesa valdese e la Chiesa luterana in Italia, oltre alla Comunità Ecumenica di Ispra-Varese; in seguito si aggiungono l'Esercito della Salvezza, le Chiese Libere, la Chiesa Apostolica Italiana e, nel 1994, alcune altre comunità libere o pentecostali. 9. Questo processo unitario, che conosce anche battute d'arresto e sconfitte, è agevolato da dinamiche analoghe nei movimenti giovanili e femminili - nel 1969 nasce la Federazione Giovanile Evangelica Italiana, FGEI, e nel 1976 la Federazione delle Donne Evangeliche Italiane, FDEI - e da una collaborazione spesso intensa tra pastori di chiese diverse in una stessa città, e in generale tra le comunità. Dalla sua costituzione ad oggi, la FCEI svolge un ruolo particolarmente importante sia come luogo di dialogo, che come strumento operativo per interventi di varia natura (culturale, sociale, formativa, giuridica) nella società italiana. La rubrica radiofonica "Culto Radio", che va in onda a livello nazionale (dal 1951) e la rubrica televisiva "Protestantesimo" (dal 1973) hanno reso presente il pensiero protestante italiano e internazionale al pubblico del nostro paese, raggiungendo centinaia di migliaia di persone. E' legittimo quindi parlare delle "chiese federate" come di un insieme relativamente omogeneo nell'ambito dell'evangelismo nazionale. Importanti settori del mondo evangelico, che non aderiscono alla Federazione (Assemblee di Dio in Italia, Chiese Avventiste del 7* giorno, Assemblee dei Fratelli, Chiesa del Nazareno, Chiesa Apostolica, Chiesa Evangelica Internazionale, Chiesa Evangelica Cristiana, Unione delle chiese libere e altre chiese libere) fanno parte dal 1984 della Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato (preceduta dalla Commissione giuridico-consultiva della FCEI nata nel 1967) e agiscono quindi unitariamente in questo ambito così importante. Su di un piano diverso, la Società Biblica in Italia (interconfessionale dal 1983) costituisce uno strumento interdenominazionale di grande rilievo per la diffusione della Scrittura nel nostro paese. Si veda il successo della Traduzione interconfessionale della Bibbia, (TILC) e spesso, anche se non sempre, vengono usate dalle varie chiese le medesime edizioni della Bibbia, tra le quali la recente "Versione Nuova Riveduta" (1994-95) della Società Biblica di Ginevra e della Società Biblica Britannica e Forestiera. 10. Il panorama evangelico italiano è caratterizzato oggi da un fenomeno nuovo: un numero cospicuo di evangelici è giunto in Italia in seguito all'immigrazione dal cosiddetto terzo mondo ed è sorto un gran numero di comunità evangeliche, sia costituite su base denominazionale, sia aggregate su base interdenominazionale per affinità linguistica o etnica. Alcune di queste comunità celebrano i loro culti nei locali delle nostre chiese o hanno stabilito con esse rapporti fraterni. Altre si sono costituite in modo del tutto autonomo e sono per noi nuovi interlocutori con cui avviare relazioni fraterne, come ad esempio è avvenuto nel quadro del programma "Essere chiesa insieme", promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia. 11. Le chiese valdesi e metodiste, unite nel Patto di Integrazione dal 1979, e le altre chiese facenti capo al Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste, fanno parte della Comunione di Leuenberg tra le chiese luterane, riformate, unite e ora anche metodiste d'Europa. Questo significa che esse intrattengono con la Chiesa evangelica luterana in Italia rapporti di piena comunione ecclesiale, cioè: comunione nella predicazione e nella celebrazione della Cena del Signore (oltre che, evidentemente, nel battesimo) e reciproco riconoscimento dei ministeri. A partire dall'Assemblea-Sinodo del 1990, le nostre chiese vivono in piena comunione ecclesiale anche con quelle che si riconoscono nell'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (UCEBI). Nell'ambito di questa collaborazione è nato il settimanale "Riforma", che ha sostituito le precedenti testate denominazionali. La piena comunione ecclesiale tra riformati e metodisti da una parte, e battisti dall'altra, costituisce, a tutt'oggi, un elemento originale nel panorama ecumenico mondiale. Le nostre chiese intrattengono rapporti intensi e fraterni anche con altre chiese evangeliche. Ricordiamo la collaborazione con le Assemblee dei Fratelli nel Centro di formazione diaconale e nel Comitato promotore iniziative evangeliche. Con le Chiese avventiste siamo in dialogo da diversi anni grazie agli intensi rapporti che la Federazione delle chiese evangeliche ha stabilito con loro. Valdesi e metodisti sono uniti alle chiese evangeliche pentecostali (riunite nelle ADI, in altre famiglie di chiese, o indipendenti), alle Assemblee dei fratelli e ad altre chiese libere dai quattro elementi menzionati in apertura: centralità biblica, tradizione del Risveglio, vocazione all'impegno per l'evangelizzazione, una storia per molti aspetti comune. Per questo ci diciamo tutti "evangelici", anche se per noi il termine è sinonimo di "protestante", mentre altre chiese evangeliche in genere non utilizzano quest'ultima espressione. 13. Accanto agli elementi comuni, la storia e il dibattito recente hanno messo in luce profonde diversità. Alcune riguardano, nel quadro della vocazione rivolta a tutti i credenti senza distinzione, la comprensione del ministero e, in particolare, del pastorato femminile; altre, invece, si riferiscono a tre ambiti più specifici e generali: a) L'approccio al testo biblico - "Dio, dopo aver anticamente parlato molte volte e in svariati modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio..." (Ebr. 1,1-2). Le Scritture testimoniano e trasmettono la Parola rivolta da Dio per mezzo dei profeti e per mezzo di Gesù Cristo. Tutte le chiese evangeliche considerano perciò le Scritture come unica fonte di rivelazione e quindi suprema autorità per la fede, la dottrina e la vita (sola scriptura). In sintonia con la Riforma, esse ritengono che "la lettera" - cioè il testo biblico compreso nel suo senso semplice - racchiuda tutto ciò che è necessario e sufficiente alla fede e alla salvezza. Mediante il suo Spirito, Dio ha guidato profeti e apostoli dalla Parola alla Scrittura; mediante lo stesso Spirito conduce anche noi dalle Scritture all'ascolto della sua Parola. Il comune riconoscimento delle Scritture come Parola di Dio è tuttavia espresso in modi diversi nelle chiese evangeliche, dando luogo a letture bibliche diverse, talora conflittuali. Nelle nostre chiese si riconosce che il testo biblico, in quanto espressione umana della Parola divina, è espressione di un processo storico, in cui lo Spirito di Dio agisce, pur nella relatività della cultura di coloro ai quali si manifesta. Meglio si coglie la concretezza umana e storica delle Scritture, più si apprezza l'incidenza della Parola di Dio. Per questo - pur nella consapevolezza dei rischi a cui possono essere esposti - riteniamo che i diversi metodi critici di studio della Bibbia possano essere utili strumenti per una più profonda comprensione delle Scritture come Parola di Dio. Altre chiese, invece, considerano questo approccio con sospetto o lo rifiutano decisamente, in quanto ridurrebbe - e secondo alcuni addirittura negherebbe - l'autorità della Scrittura. b) Il problema dell'etica. Tutti concordano - riteniamo - sul fatto che l'etica è la risposta riconoscente della fede alla grazia, è il tentativo serio ma umano e fallibile di vivere l'imperativo che, nel messaggio biblico, deriva sempre dall'indicativo e in esso si fonda: "Siate santi come (o perché) Io sono santo", "Amatevi come io ho amato voi". Non tutti, però, prendono in considerazione nella stessa misura il fatto che le indicazioni etiche della Bibbia devono spesso essere tradotte in una cultura, la nostra, molto diversa da quella che le ha viste nascere; come pure il fatto che le scelte etiche si elaborano nello spazio della libertà di Cristo, a partire dalla responsabilità nei confronti degli esseri umani e del creato, responsabilità che appare nella Bibbia indissolubilmente legata al comandamento dell'amore, e alla quale i credenti e le chiese sono chiamati da Gesù: essa non produce codici sempre validi e infallibili, ma costituisce un appello alla libertà cristiana, chiamata a ubbidire al comandamento divino. All'interno stesso delle nostre chiese l'assunzione di questa responsabilità e le risposte a questo appello sono talvolta assai diversificate e persino in tensione: è una dialettica che riteniamo feconda interpellanza reciproca e possibilità di fraterna vigilanza e di fraterno richiamo, nella coscienza di come sia spesso arduo, di fronte alla complessità dei problemi umani che via via incontriamo, comprendere chiaramente quale sia la volontà di Dio. Questo approccio problematico suscita spesso, in altre chiese evangeliche, l'impressione che si finisca per dissolvere nella storia mutevole il comandamento di Dio, rinnegando nei fatti la fedeltà alle Scritture rivendicata a parole. Tale approccio può certo essere strumentalizzato per eludere il comandamento di Dio; siamo però convinti che sia il modo per evitare di fare del comandamento una lettera che uccida: e come tale lo proponiamo al confronto sincero e senza pregiudizi, di fronte alle questioni che via via si pongono alla nostra riflessione e alla nostra scelta, ben sapendo che l'etica cristiana, attraverso i tempi, ha una storia discutibile e incompiuta e che attende anch'essa il compimento del Regno di Dio. c) Il dialogo con la Chiesa cattolica romana. Alcune chiese evangeliche guardano con turbamento o con aperto dissenso al dialogo che valdesi e metodisti, come anche battisti e luterani italiani, conducono a vari livelli con la Chiesa cattolica romana, interpretandolo come una rinuncia all'evangelizzazione o come affievolimento dell'identità evangelica. Questi rilievi critici sono presenti anche nelle nostre chiese e possono essere apprezzati come richiamo alla vigilanza nei confronti del pericolo di dialogare sottacendo o eludendo o sacrificando la questione della verità evangelica - così come è attestata nella Sacra Scrittura - che c'interpella tutti e sempre, anche e proprio quando siamo impegnati nel dialogo, che vuole servire la verità, non aggirarla. Il vero dialogo avviene tra partner che non nascondono le differenze e divergenze, anche profonde, né, soprattutto, si nascondono davanti alla Parola di Dio; che si parlano con franchezza, sulla base della fede nel Dio della rivelazione biblica e in Gesù Cristo, confessato insieme come Signore e Salvatore del mondo e nella fiducia che proprio attraverso il comune confronto con la sua Parola, Dio li possa rinnovare. Dialogo e identità evangelica non sono per noi in contrasto; l'aprirsi al confronto non implica necessariamente una rinuncia ai fondamenti della nostra identità. Perciò non poniamo in alternativa il dialogo ecumenico, con la Chiesa cattolica romana o con altre chiese, da una parte, e la nostra identità evangelica e il compito della testimonianza, dall'altra. Per sua natura il dialogo ecumenico è aperto a tutti coloro che l'accettano e non può ammettere veti (ad es. "io non dialogo con te, perché non approvo che tu dialoghi con lui", oppure "dialogo con te se mi assicuri che non dialoghi con lui"), né pregiudiziali che non siano la disponibilità ad aprire il dialogo, la libertà e la franchezza nel condurlo, la sincera ricerca di una comunione, la fiducia in Colui sotto la cui guida esso si svolge. 14. Per quanto queste differenze siano rilevanti, non riteniamo tuttavia che siano di portata tale da impedire il confronto in un autentico rapporto di fraternità: le diversità riguardano sì, infatti, diversi atteggiamenti spirituali, ma non, a nostro avviso, il centro della confessione di fede. La comune storia passata, come le numerose forme di collaborazione in atto, ci incoraggiano a guardare con fiducia alle possibilità di approfondire i reciproci rapporti di dialogo e di collaborazione, convinti come siamo, comunque, che la comune fede evangelica ci chiami a fare insieme tutto ciò che non siamo costretti a fare separati. Su questa base, nella convinzione che Dio ha distribuito i suoi doni alle diverse chiese, e non a una soltanto, e che quindi tutte le chiese - e ciascuna di esse - sono debitrici verso le altre dei doni ricevuti, riteniamo indispensabile e urgente che esse s'incontrino, sia per confrontarsi, sia per condividere, ringraziando Dio, ciò che ciascuna ha ricevuto, non anzitutto per se stessa, ma per le altre, come scrive l'apostolo Paolo: "A ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune" (1 Corinzi 12,7). II. I RAPPORTI CON LE CHIESE ORTODOSSE torna all'indice 15. È purtroppo mancato, finora, un dialogo con l'Ortodossia, che nel nostro paese è presente con diverse comunità, ma in generale non di lingua italiana. Per questa ragione i rapporti delle nostre chiese con quelle ortodosse sono stati, fino ad oggi, soltanto sporadici e occasionali. Ci auguriamo però che essi si intensifichino nei prossimi anni e che un dialogo permanente venga avviato. Un primo passo ufficiale è costituito dalla presenza per la prima volta nella storia della nostra chiesa di un rappresentante ortodosso, l'archimandrita Timotheos Eleftheriou dell'Archidiocesi Ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa meridionale, al nostro Sinodo 1997. Successivamente un analogo invito è stato rivolto e accolto in occasione dell'Assemblea della FCEI 1997. Possiamo ricordare nella storia due momenti significativi. Quale cappellano dell'ambasciata olandese a Costantinopoli, il pastore valdese Antonio Leger ebbe vari scambi epistolari e contatti con il Patriarca di Costantinopoli Cirillo Lukaris, tra il 1628 e il 1638. Nel nostro secolo, l'opera di accoglienza ai profughi dall'Unione Sovietica a Villa Olanda (Torre Pellice) ha permesso per lunghi anni un incontro fraterno con ortodossi russi. 16. Un importante terreno d'incontro tra la nostra chiesa e il mondo ortodosso è costituito dal movimento ecumenico, e in particolare dal Consiglio ecumenico e dalla Conferenza delle chiese europee. Feconde occasioni d'incontro vengono offerte in Italia dalle sessioni del Segretariato per le Attività Ecumeniche. Malgrado il fatto che non si siano ancora avviate commissioni di dialogo ufficiale fra le nostre chiese e le chiese ortodosse in Italia, vogliamo ciò nondimeno evidenziare sommariamente alcune caratteristiche dell'Ortodossia. 17. Essa costituisce la terza (circa 150 milioni di fedeli) delle grandi articolazioni del cristianesimo storico, impiantata soprattutto nell'Europa orientale, ma che vive e fiorisce anche altrove. L'Ortodossia può essere considerata la forma più antica di cristianesimo, sia perché diversi suoi aspetti affondano le loro radici storiche nell'epoca sub-apostolica e nella chiesa antica, sia perché la teologia dei 'padri della chiesa', soprattutto greci, ha svolto e svolge un ruolo determinante nella formazione della coscienza di fede, della spiritualità e della pietà ortodossa. Grazie al movimento ecumenico sappiamo quali tesori siano custoditi in questa tradizione cristiana. 18. L'Ortodossia si caratterizza per una ricerca di fedeltà alla tradizione del primo millennio, che la oppone non solo alle pretese egemoniche della chiesa di Roma, ma anche a tutte le innovazioni cattoliche romane sul piano del dogma, e la rende diffidente nei confronti di un'idea radicale di riforma come quella attuata dal Protestantesimo. Sul piano teologico, tra Oriente e Occidente cristiani permangono, in particolare, diverse impostazioni e accentuazioni del rapporto tra pneumatologia e cristologia. Per quanto riguarda il testo del Credo niceno-costantinopolitano, riteniamo legittima la proposta che l'ecumene cristiana lo adotti nella sua versione originaria, che non contiene l'affermazione secondo cui lo Spirito procede anche "dal Figlio" (Filioque). Ciò non significa ignorare o abbandonare le ragioni teologiche che hanno determinato l'aggiunta del Filioque. 19. Il centro della spiritualità ortodossa è la liturgia, considerata la fonte a cui attingere tutte le benedizioni e le energie spirituali, il riepilogo drammatizzato dell'intera storia della salvezza, nella quale il credente è direttamente coinvolto, per così dire, sul confine tra il tempo e l'eternità, tra la terra e il cielo. Il tema del rapporto tra la liturgia e la vita quotidiana (in particolare in riferimento all'impegno del cristiano nel mondo) è certamente centrale nel confronto tra riformati e ortodossi. 20. L'icona, intesa non come materializzazione del divino, ma come divinizzazione dell'umano (theosis), come preghiera dipinta, come trasfigurazione della materia attraverso la luce e i colori, è una dimensione fondamentale della pietà ortodossa. La teologia della trasfigurazione dell'umano e l'enfatizzazione della bellezza come valore teologico che l'icona presuppone ed esprime sono dimensioni in larga misura ignote nell'occidente cristiano. 21. Nel novero dei dialoghi interconfessionali, l'incontro tra chiese e teologie riformate e ortodosse ha una sua specifica fisionomia, fatta di significative affinità e di altrettanti significative diversità. Tra le prime ricordiamo, ad esempio: la valorizzazione del laicato; l'importanza della conciliarità nella vita e nella concezione della chiesa. Tra le seconde, menzioniamo, ad esempio, le diverse nozioni di apostolicità, con tutte le implicazioni per la concezione del ministero e del sacramento. Questa specificità rende urgente l'inizio di un dialogo tra le nostre chiese e quelle ortodosse in Italia, al di là di quanto già è avvenuto e avviene a livello ecumenico internazionale. | indietro | | home | | inizio pagina | |