L'Ecumenismo e il dialogo interreligioso approvato dal Sinodo 1998


III. I RAPPORTI CON LA CHIESA CATTOLICA ROMANA      torna all'indice

22. La frattura tra cattolicesimo e protestantesimo è senza dubbio la più profonda tra quelle sin qui verificatesi nei venti secoli di storia cristiana. Conseguentemente la riconciliazione tra cattolicesimo e protestantesimo è il compito ecumenico più arduo che ci sia. Da chi si impegna nel dialogo si esige non solo una conoscenza approfondita dei veri termini delle questioni controverse, ma anche una particolare maturità evangelica e intelligenza spirituale descritte dall'apostolo Paolo come la "mente di Cristo" (I Corinzi 2,16), capace di "professare la verità nell'amore" (Efesini 4,15). La difficoltà dell'impresa è accresciuta dal fatto che oltre a serie divergenze di carattere teologico e a differenze profonde di mentalità e cultura, potremmo dire di civiltà, pesano su di essa l'eredità negativa di oltre quattro secoli di polemica accanita e spregiudicata e la memoria ancora viva di una storia dolorosa e delittuosa intessuta di prepotenze e violenze imposte e subite, con le quali si è tradito Cristo nel momento stesso in cui si pretendeva di propugnare la sua verità e di difendere l'onore del suo nome. Ma per quanto difficile, l'impresa è possibile.

23. Per secoli cattolicesimo e protestantesimo si sono fronteggiati e anche scontrati, in particolare nel nostro paese, come se non avessero nulla in comune. In realtà il loro contrasto avveniva proprio intorno alle questioni centrali della fede cristiana condivisa da tutti, ma intesa e vissuta in modi diversi e, in più punti, antitetici. Si potrebbe dire che, paradossalmente, essi erano divisi da ciò che li univa. Ma la fierezza degli animi, la durezza dello scontro e la rigidità delle posizioni contrapposte erano tali da far perdere completamente di vista ciò che i contendenti avevano in comune a vantaggio di ciò che li opponeva. "Avere in comune" è un'espressione generica che può descrivere situazioni e rapporti molto diversi : può significare condividere qualcosa con un altro in piena armonia e comunione ; ma può anche significare aver parte con altri a una medesima realtà, intendendola però e vivendola in maniera talmente diversa da dar luogo a una comunione più di forma che di sostanza. Con la Chiesa cattolica romana condividiamo pienamente alcune realtà cristiane fondamentali (ad esempio la concezione trinitaria di Dio o la fede in Cristo vero Dio e vero uomo) ; altre realtà le abbiamo in comune ma le intendiamo in modo diverso, talvolta molto diverso (ad esempio la Cena del Signore oppure il carattere e la funzione del ministero) ; altre realtà, infine, non le abbiamo in comune perché mentre il cattolicesimo le considera parti integranti della fede e della vita cristiana, noi, al contrario, le consideriamo devianti rispetto a questa fede, così come essa è illustrata e confessata dalla chiesa primitiva, la cui testimonianza è stata raccolta - per servire da canone alle generazioni future - nel Nuovo Testamento.

24. Qual è dunque oggi il nostro rapporto con il cattolicesimo romano ? Già alla vigilia del Concilio Vaticano II, nel 1962, il Sinodo valdese si era rallegrato, in un messaggio alle chiese, per il nuovo clima di dialogo e di incontro che si andava affermando, e nello stesso tempo aveva espresso la necessità che tutto venisse sottoposto al criterio biblico : sì dunque al dialogo, all'incontro e al confronto, ma "è sulla base del principio della fedeltà alla Parola che vogliamo muoverci. Ciò significa essere sempre disponibili alle sollecitazioni dello Spirito e pronti a lasciarsi riformare dalla Parola del Signore. Ma significa anche confrontare seriamente ogni orientamento ed ogni decisione con quella stessa Parola, per essere da essa sola giudicati".

Vent'anni dopo, nel 1982, il Sinodo elaborò un documento più ampio e articolato, dedicato all'ecumenismo, ma che per più della metà trattava del cattolicesimo romano e del nostro rapporto con esso. Si diceva che "cattolicesimo e protestantesimo, pur richiamandosi allo stesso Signore, sono due modi diversi di intendere e vivere il cristianesimo" e si constatava che, malgrado i grandi e rallegranti progressi compiuti nei rapporti reciproci, il dialogo "non ha potuto rimuovere il motivo centrale del dissenso: un modo diverso di concepire la presenza di Dio nel mondo, e quindi un modo diverso di essere chiesa".

I progressi sensibili del movimento ecumenico nel nostro paese e una serie di fatti accaduti nel frattempo consigliano una ripresa del discorso, che ha bisogno di periodici aggiornamenti. Lo articoleremo in due sezioni, cercando anzitutto di mettere in luce ciò che abbiamo in comune con la Chiesa cattolica romana, dicendo poi ciò che da essa ci divide.

25. Non è così facile isolare i fattori di unità e di divisione presenti nelle dottrine e nelle realtà di fede che le diverse confessioni cristiane hanno o non hanno in comune le une con le altre. Vi sono motivi di differenza, o di divergenza o anche di divisione in ciò che ci unisce. Vi sono elementi di almeno parziale condivisione in ciò che ci separa.

Cattolicesimo e protestantesimo sono uniti in quanto entrambi espressioni del cristianesimo, che essi però intendono e vivono in modo alquanto diverso: non c'è nessun motivo di velare - quasi vergognandosene - la realtà di questa diversità, così come il Nuovo Testamento non fa velo, poniamo, alla diversità tra Paolo e Giacomo né se ne adonta.

CIÒ CHE UNISCE PROTESTANTI E CATTOLICI ROMANI    torna all'indice

26. Il nome di Gesù, che è quello della nostra comune salvezza, anzi della salvezza del mondo (Giovanni 4,42) : infatti "In nessun altro è la salvezza; poiché non vi è sotto il sole nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per il quale noi possiamo essere salvati" (Atti 4,12). Insieme ai cristiani di tutte le tradizioni, confessioni e denominazioni ripetiamo con l'apostolo Tommaso davanti al Risorto e al Vivente "Signore mio e Dio mio!", ben sapendo che "nessuno può dire: Gesù è il Signore! se non per lo Spirito Santo" (I Corinzi 12,3). Il nome di Gesù unisce tutti coloro che, credendo in Lui, lo invocano (I Corinzi 1,2). Cattolici e protestanti invocano il nome di Gesù. I cattolici invocano anche altri nomi (quello di Maria e dei Santi). Quello che ci unisce a loro è soltanto l'invocazione del nome di Gesù. L'invocazione di altri nomi ci divide e ci pare relativizzare la stessa invocazione del nome di Gesù (solus Christus).

27. La fede nel Dio che si è rivelato in Israele e in Gesù di Nazaret e che la Chiesa riconosce e confessa nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E' il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe che preghiamo come il Padre nostro che è nei cieli, "dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome" (Efesini 3,15) e che "fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" (Matteo 5,45). Egli "abita in una luce inaccessibile" (I Timoteo 6,16), ma Gesù "lo ha fatto conoscere" (Giovanni 1,18). Di lui ha detto bene Agostino : "Per te Tu ci hai fatti, e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te" (Confessioni I,1.1). E' il nostro Dio "che ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia vita eterna" (Giovanni 3,16) e che "negli ultimi giorni" ha sparso il suo Spirito "sopra ogni persona" (Atti 2,17.33). Del resto, "in qualunque nazione, chi lo teme e opera giustamente gli è gradito" (Atti 10,35). La fede in questo Dio unisce tutti i cristiani, e tutti coloro che in ogni luogo e in ogni nazione lo temono e lo servono facendo la sua volontà (Matteo 21,31), lo ringraziano e lo lodano.

28. La Sacra Scrittura dell'Antico e del Nuovo Testamento. In essa riconosciamo insieme la testimonianza che Dio rende a se stesso attraverso profeti, apostoli e molti testimoni, e soprattutto attraverso la vita, le opere potenti, la predicazione del Regno, la passione, la morte, la resurrezione e l'ascensione di Gesù, di cui la Scrittura è specchio fedele e vivo. Benché scritta da uomini, è ispirata da Dio. La sua autorità è suprema. E' la Scrittura l'unico testo che in tutte le chiese cristiane del mondo viene letto e proclamato nel culto come Parola di Dio, la domenica e durante la settimana. Ad essa nulla va tolto o aggiunto (Apocalisse 22,18-19). Piuttosto tutti i cristiani sono invitati a "dimorare" in essa, perché "se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Giovanni 8,31-32). La Scrittura è il bene più prezioso che i cristiani di tutte le confessioni posseggano, e il più largamente condiviso. Il canone biblico relativo all'Antico Testamento è per i cattolici parzialmente diverso da quello adottato dai protestanti in quanto comprende anche alcuni altri scritti oltre a quelli che compongono la Bibbia ebraica; questo però non impedisce alle due confessioni oggi di condividere il messaggio biblico. Assai più gravida di conseguenze è invece l'altra differenza : il cattolicesimo riconosce, sì, l'autorità della Scrittura ma le affianca quella della Tradizione e del Magistero , o meglio le integra una nelle altre fino quasi a confonderle e perdere di vista l'autorità superiore della Sacra Scrittura. Ciò che ci unisce ai cattolici è la Sacra Scrittura soltanto, e tutto ciò che essa ha suscitato, continua a suscitare e ancora susciterà nel corso della storia secolare della chiesa e dell'umanità.

29. La fede cristiana nei suoi contenuti essenziali, così come sono stati raccolti nei grandi simboli o confessioni di fede della chiesa antica, in particolare nel Simbolo detto Apostolico, in quello ecumenico Niceno-costantinopolitano del 381 e in quello di Atanasio. Condividiamo anche insieme e confessiamo la formula di Calcedonia su Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. In particolare condividiamo la fede nell'opera di salvezza di tutta l'umanità compiuta in Cristo, nella sua vita, la sua morte, la sua resurrezione, e la speranza del compimento di tutte le promesse dei nuovi cieli e della nuova terra. Questo patrimonio di fede e di intelligenza della fede, che insieme riceviamo dalla prolungata e accurata meditazione della chiesa antica sul mistero di Dio e dell'uomo alla luce della rivelazione di Cristo, è un legame spirituale profondo che unisce in un saldo vincolo di fede e di pietà l'intera chiesa cristiana nel mondo.

30. Il battesimo d'acqua, nel nome di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Anche se le teologie cattolica e protestante del battesimo possono su alcuni punti divergere ; anche se la prassi del pedobattismo, tuttora diffusissima nel cattolicesimo e nell'ortodossia (un po' meno nel protestantesimo storico), viene contestata come illegittima da tutto il protestantesimo di tradizione battista ; e anche se il battesimo nello Spirito, tradizionalmente collegato al battesimo d'acqua, viene oggi rivendicato e magnificato come esperienza fondamentale dal protestantesimo pentecostale e dal cattolicesimo carismatico - malgrado tutto questo, il fatto del battesimo e il suo significato biblico essenziale (appartenenza a Cristo, nel contesto del Patto di Dio con il suo popolo e della confessione della fede) sono comuni a tutti i cristiani e costituiscono tra loro un importante vincolo di unità.

31. La celebrazione della domenica come "giorno del Signore" (Apocalisse 1,10), dedicato in particolare al culto comunitario, i cui elementi costitutivi sono gli stessi per tutti i cristiani : la lode e l'adorazione di Dio, la memoria della croce e risurrezione, l'annuncio del perdono e della salvezza attraverso la predicazione della Parola biblica e la celebrazione del battesimo e della Cena, la preghiera di intercessione, la raccolta delle offerte. È vero che la forma della Cena è in parte diversa (nel cattolicesimo si distribuisce solo l'ostia, anziché, come ha ordinato Gesù, il pane e il vino). Diversa è anche la sua teologia, sia perché il cattolicesimo parla della messa come "sacrificio" (termine che il protestantesimo rifiuta perché il Nuovo Testamento lo riferisce esclusivamente alla croce di Cristo), sia perché il cattolicesimo mantiene il concetto di "transustanziazione" (che il protestantesimo non accetta) e ravvisa nel sacramento il veicolo principale della grazia, mentre il protestantesimo lo ravvisa nella Parola di Dio. Ciò nondimeno la struttura del culto è simile per cattolici e protestanti.

32. La tradizione conciliare o sinodale affermatasi nei sette concili celebrati dalla cristianità in buona parte ancora unita e perciò detti "ecumenici". Anche se il protestantesimo intende il Sinodo come assemblea rappresentativa della chiesa nella pluralità dei suoi ministeri e nella totalità dei suoi membri (quindi con partecipazione anche "laica" in una misura oggi superiore al 50% del totale) ; e anche se nel cattolicesimo romano l'autorità conciliare o sinodale è stata dogmaticamente subordinata a quella del pontefice romano, mentre il protestantesimo (come anche l'ortodossia, nei modi che le sono propri) considera l'istanza conciliare o sinodale come l'autorità umana suprema nella chiesa, sotto la Parola di Dio - malgrado queste differenze profonde la dimensione conciliare è presente in tutte le grandi confessioni cristiane e il suo pieno ricupero nei termini di un "concilio veramente universale" costituisce senza dubbio il terreno privilegiato d'incontro sul piano istituzionale per dare forma e struttura alla futura unità cristiana.

33. "Non è ancora stato manifestato ciò che saremo" (I Giovanni 3,2). Ci unisce, cattolici e protestanti, la nostra incompiutezza come cristiani. "Ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro ... ora conosco in parte..." (I Corinzi 13,12). Ci unisce la parzialità di quello che vediamo, conosciamo, profetizziamo. Ci uniscono i molti peccati, le disubbidienze, la resistenza ostinata opposta alla Parola di Dio. Più ancora ci unisce la promessa divina delle "cose che ci stanno davanti" verso le quali siamo "protesi" (Filippesi 3,13). Ci unisce, aldilà della stessa unità cristiana, la "città futura che cerchiamo" (Ebrei 13,14).

CIÒ CHE DIVIDE PROTESTANTI E CATTOLICI ROMANI       torna all'indice

34. La storia dei rapporti tra cattolicesimo e protestantesimo fino ad oggi ha dimostrato che il protestantesimo non è semplicemente un cattolicesimo riformato ma una forma di cristianesimo storico al tempo stesso originale e originaria, che affonda le sue radici in precisi elementi della rivelazione biblica. Cattolicesimo e protestantesimo sono però entrambi grandezze storiche, quindi non statiche ma in movimento e soprattutto esposte ai mutamenti che la libera e sovrana Parola di Dio vorrà imprimere loro nel prossimo futuro.

Al momento attuale, dopo svariati e approfonditi dialoghi teologici che hanno contribuito a sgombrare il campo (e gli animi !) da pregiudizi e fraintendimenti ma anche da risentimenti atavici e avversioni quasi viscerali, sembra che i motivi di divisione tra cattolici e protestanti si possano raccogliere intorno a due poli, uno ecclesiologico ed uno etico, dietro ai quali, ovviamente, ci sono divergenze di indole teologica. Tra queste appare oggi ancora fondamentale quella che fu all'origine della Riforma stessa : il primato della Scrittura, cioè la sua autorità superiore a qualunque altra istanza all'opera nella chiesa (tradizione e magistero in particolare). La fede evangelica, che dall'affermazione del primato della Scrittura è nata, lo mette in luce come una bussola per ogni chiesa e per il movimento ecumenico nel suo insieme. Nel cattolicesimo romano odierno è in atto una rinascita di interesse e amore per la Bibbia che è carica di promesse e potrà cambiare molte cose. Ciò nondimeno non si può dire che l'autorità della Scrittura sia sovrana nel cattolicesimo e ne governi la predicazione e l'insegnamento.

35. La giustificazione per sola grazia mediante la fede è un annuncio fondamentale del Nuovo Testamento, e quindi il criterio irrinunciabile per le nostre chiese: la classica divergenza in proposito è attualmente oggetto di dialoghi interconfessionali e sembra emergere a livello teologico un consenso sul fatto che l'uomo riceve la salvezza come puro dono di Dio, senza alcun apporto umano. Tale consenso ci sembra però inficiato dalla persistente teologia dei meriti e dall'intercessione dei santi, dall'offerta di indulgenze e dalla richiesta di altre prestazioni meritorie.

36. Ma torniamo alla divisione tra cattolici e protestanti e ai "luoghi" in cui si manifesta. Illustriamoli brevemente.

È soprattutto sulla Chiesa che il contrasto teologico resta vivo. Il cattolicesimo concepisce la chiesa come un organismo strutturato gerarchicamente , che attua nel suo seno, come ha ribadito il Concilio Vaticano II, una "comunione gerarchica". Noi invece affermiamo che "la Chiesa è la comunità di fratelli [e sorelle] in cui Gesù Cristo è presente e agisce come Signore nella Parola e nel sacramento per mezzo dello Spirito Santo" (Dichiarazione teologica di Barmen, tesi 3, Barmen 1934).

Il cattolicesimo interpreta e spiega il cristianesimo, e quindi anche la Chiesa e il culto, in termini prevalentemente sacramentali. Noi invece intendiamo il cristianesimo come fatto essenzialmente kerygmatico (cioè come una "buona notizia" da annunciare, credere e vivere) e di conseguenza affermiamo la centralità della Parola di Dio e vediamo la Chiesa essenzialmente come sua testimone mediante l'annuncio e il servizio. Ci rendiamo conto, ovviamente, del carattere schematico di queste affermazioni. Sappiamo che le posizioni degli uni e degli altri sono più complesse, articolate e sfumate. Riteniamo però che la linea di divisione tra cattolicesimo e protestantesimo si situi tra le antitesi ora indicate.

37. Va detto e ripetuto, a questo punto, che oggi le sensibilità confessionali sono molto diverse all'interno non solo di ogni chiesa ma anche di ogni comunità locale, così come diversi sono i livelli di maturazione della coscienza ecumenica, secondo i diversi contesti storico-culturale e le diverse geografie religiose in cui le comunità cristiane vivono ed operano. Bisogna inoltre tener conto del notevole divario che sovente sussiste tra i pronunciamenti ufficiali del magistero cattolico romano e convinzioni e comportamenti largamente presenti nella base cattolica. Perciò non si danno risposte univoche alla domanda : che cosa divide oggi cattolicesimo e protestantesimo e impedisce la loro comunione ? Ciò nondimeno la divisione sussiste, malgrado i notevoli progressi compiuti dal movimento ecumenico e i cambiamenti che esso ha introdotto nelle due confessioni a livello teologico, psicologico e pratico. Come s'è detto, la divisione affonda le sue radici in una diversa comprensione ed esperienza della chiesa, dietro e dentro la quale si cela o può celarsi una diversa qualità del rapporto con Dio, con il mondo e con se stessi. In concreto, cioè nel "vissuto della fede", la divisione si consuma (per così dire) - oltre che intorno ad un certo numero di questioni etiche accennate sopra - intorno ad alcuni classici "luoghi" teologico-spirituali, di cui i maggiori sono quattro: il ministero, il papato, la mariologia, la devozione eucaristica.

38. Sul ministero le nostre chiese, come tutte quelle nate dalla Riforma del XVI secolo o che ad essa si richiamano, condividono fino in fondo la dottrina del sacerdozio universale dei credenti secondo la quale - per riprendere le classiche formulazioni di Lutero - "tutti i cristiani appartengono realmente allo stato sacerdotale, e non c'è tra loro alcuna differenza che non sia quella del compito proprio di ciascuno, come dice Paolo in I Corinzi 12, che tutti insieme siamo un unico corpo, ma ogni membro ha un suo ufficio particolare con cui essere utile agli altri; e ciò avviene perché tutti abbiamo uno stesso battesimo, uno stesso evangelo, una stessa fede, e siamo tutti cristiani allo stesso modo, perché sono il battesimo, l'evangelo e la fede che - soli - rendono il popolo cristiano e ne fanno un popolo sacerdotale... Noi tutti infatti siamo consacrati sacerdoti mediante il battesimo... Ne deriva che tra laici e preti, prìncipi e vescovi, e - com'essi dicono - clero e laicato, non c'è in fondo e in verità differenza alcuna, se non quella propria all'ufficio e all'opera di ciascuno, e non già al suo stato, perché tutti appartengono allo stato sacerdotale e sono realmente sacerdoti, vescovi e papi...".1

Anche il Concilio Vaticano II ha sottolineato con forza il valore del "sacerdozio comune dei fedeli" in virtù del battesimo (Lumen gentium, n. 10) accanto al "sacerdozio ministeriale o gerarchico", affermando che essi sono "ordinati l'uno all'altro, perché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo". Il Concilio non ha però modificato la sostanza della dottrina cattolica secondo cui tra i due sacerdozi c'è una differenza di "essenza e non solo di grado" - e quindi di "stato" (ibidem), che è proprio il punto che Lutero e con lui tutte le chiese della Riforma contestano oggi non meno di allora.

E' vero che il clericalismo può annidarsi in forme diverse in tutte le chiese, anche nelle nostre, che non ne sono affatto esenti. E' anche vero che il sacerdozio universale dei credenti è oggi ancora per molte chiese, le nostre comprese, più un programma da attuare che una realtà compiuta. Ciò nondimeno riteniamo che l'unità dei cristiani nel battesimo significhi anzitutto proprio questo: unità nel comune sacerdozio cristiano, pur nella distinzione delle funzioni di ciascuno. Questa distinzione non può però mai, in nessun caso e per nessun motivo, dar luogo tra battezzati a una differenza di "essenza" o di "stato", che conferirebbe al sacerdozio ordinato un potere sacro (sacra potestas). Inoltre, l'unità di tutti nel "sacerdozio regale" (I Pietro 2, 5.9; Apocalisse 1,6) donato nel battesimo è la ragione di fondo per cui, secondo le nostre chiese, il ministero ordinato può e deve - là dove Dio chiama - essere conferito a ogni battezzato, uomo o donna che sia, ed è per questo che le nostre chiese riconoscono come dono di Dio il pastorato femminile e lo attuano.

39. Sul papato, il Sinodo valdese si è pronunciato nel 1995 con un documento al quale rinviamo quanti desiderano conoscere la posizione delle nostre chiese su questa istituzione così centrale per il cattolicesimo romano e così problematica per tutte le altre chiese e confessioni cristiane. Riproduciamo qui parte del discorso conclusivo : ".. per quanto concerne il vescovo di Roma, può essere utile ripetere che il modo in cui è stato definito dottrinalmente ed esercitato praticamente il suo ministero in seno al cattolicesimo lo rende inidoneo a svolgere una funzione ecumenica. Esiste nell'ecumene la domanda se un papato concepito e vissuto diversamente potrebbe, domani, costituire un punto di riferimento per la comunione delle chiese cristiane. In questa direzione sembra muoversi la Ut unum sint quando propone di mutare le forme di esercizio del primato. Le nostre chiese ritengono che un reale mutamento della istituzione papale debba invece riguardare la sostanza del primato. Sono inoltre consapevoli del fatto che il problema del papato non può essere isolato da quello della struttura gerarchico-sacramentale della Chiesa cattolica romana. Con questo non intendiamo sottovalutare le potenzialità insite nella proposta del pontefice ; auspichiamo anzi che le nuove "forme di esercizio del primato" che potranno essere elaborate all'interno della Chiesa cattolica romana possano essere dettate da una comprensione non autoritaria dei rapporti intraecclesiali. Ogni ipotesi atta a sbloccare la situazione attuale, e a crearne di diverse da quelle sin qui conosciute, va infatti salutata con favore, confidando non in calcoli e strategie suggerite dalla sapienza umana, ma nell'azione dello Spirito di Dio".

40. Sulla mariologia le nostre chiese condividono la sostanza del documento intitolato "Maria, nostra sorella" redatto a conclusione del convegno organizzato nel 1988 dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia in collaborazione con la Facoltà Valdese di Teologia. Ne ricordiamo le affermazioni principali :

a) Il cattolicesimo romano attraverso i suoi pontefici, ha ripetutamente affermato che la pietà e il culto di Maria fanno parte integrante del cristianesimo (così come essi lo intendono) e devono quindi, secondo loro, in prospettiva ecumenica, diventare patrimonio di tutti i cristiani. In questa linea si è giunti al paradosso di parlare, da parte cattolica, di Maria come mater unitatis (madre dell'unità) e di porre l'intero movimento ecumenico "sotto il segno di Maria".

b) La Bibbia parla di Maria. Crediamo che il discorso ecumenico su Maria debba essere modellato su quello biblico. La Bibbia parla di Maria come madre di Gesù e come figura di credente : come tale è degna di onore. In alcuni passi sembra che essa acquisti un valore simbolico di figura della chiesa o di parte di essa (Giovanni 19,26-27). Maria resta comunque sempre e radicalmente creatura : appartiene all'umanità bisognosa di salvezza e non alla divinità che la elargisce. Non c'è traccia nella Scrittura, né diretta né indiretta, di un culto di Maria. Maria viene salutata dall'angelo e dagli uomini, ma non invocata. Le chiese evangeliche onorano Maria ma non la invocano, non la pregano.

c) Molti titoli e funzioni attribuiti a Maria sono "doppioni femminili" di titoli e funzioni che la Sacra Scrittura riferisce a Dio o a Cristo (ad es. Maria "Madre" - "Dio" - "Padre" ; Maria, "nuova Eva" - Cristo "nuovo Adamo" ; Maria "avvocata" - Cristo "avvocato"), oppure, più spesso, allo Spirito Santo. Lo sviluppo della mariologia è senza dubbio dovuto anche a una insufficiente consapevolezza dell'umanità di Gesù Cristo e della sua misericordia, e del ruolo dello Spirito Santo. D'altra parte, nell'esaltazione dogmatica di Maria sembra riflettersi l'autocoscienza di una chiesa - quella cattolica romana - la cui funzione attivamente mediatrice nella trasmissione della salvezza acquista sempre maggiore consistenza. Mentre riconosciamo e onoriamo in Maria la madre di Gesù e la annoveriamo nella comunità dei credenti come testimone di Cristo e nostra sorella in fede, riteniamo che il culto di Maria e tutto ciò che lo alimenta e accompagna facciano ombra alla centralità, alla perfezione e all'esclusività dell'opera di Cristo, "unico nome sotto il cielo che sia stato dato agli uomini, per il quale noi abbiamo a essere salvati" (Atti 4,12). Ci sembra che, malgrado le intenzioni contrarie espresse nella formula per Mariam ad Christum (= per mezzo di Maria, a Cristo), il culto di Maria non sia una tappa di un cammino che conduce a Cristo, ma abbia ormai da tempo un posto autonomo e privilegiato nell'orizzonte della devozione e della spiritualità cattolica. Il collegamento con Cristo viene affermato e sottolineato, ciò nondimeno il culto di Maria vive di vita propria e non è semplicemente un ponte per condurre le anime a Cristo. Riteniamo che ciò che di cristiano c'è da pensare e dire intorno a Maria sia quello che di essa dice la Sacra Scrittura, per cui non possiamo riconoscere il culto mariano né come necessario né come legittimo.2

41. Sull'etica, la Chiesa cattolica romana e in particolare il suo magistero ufficiale ricorrono volentieri e con abbondanza di riferimenti alla "morale naturale" (che a sua volta si richiama ad una "legge naturale") e poiché il dialogo interconfessionale ha quasi esclusivamente affrontato questioni controverse di carattere teologico, trascurando quasi del tutto quelle di carattere etico, è accaduto che in tempi recenti il contrasto confessionale si sia manifestato con particolare evidenza proprio su questioni etiche di varia natura (divorzio, aborto, contraccezione, rapporti con lo Stato, posizione della Chiesa nella società), sulle quali le posizioni del magistero cattolico e quelle protestanti sono molto distanti. Anche alcune delle tematiche emergenti legate alla bioetica evidenziano sensibilità ed impostazioni diverse e talora divergenti. E anche se queste divergenze (che oggi si riproducono anche all'interno delle singole chiese e confessioni) non devono necessariamente impedire altri livelli di comunione, almeno parziale, pure quest'ultima è spesso e seriamente messa a repentaglio e rischia di svanire in presenza di scelte etiche contrastanti.

42. Vi sono alcuni altri fattori che sono motivi permanenti di frizione tra la Chiesa cattolica romana e le nostre chiese e in qualche modo alimentano la divisione o comunque vengono avvertiti dalle nostre chiese come ostacoli seri a un cammino di riconciliazione. Ecco i principali :

a) La pretesa della Chiesa cattolica romana di essere, secondo un'espressione classica, mater et caput omnium ecclesiarum (madre e capo di tutte le chiese). La Sacra Scrittura non riconosce a nessuna chiesa (neppure a quella di Gerusalemme, che fu la prima, tanto meno a qualunque altra) il ruolo di chiesa-madre. "La Gerusalemme di lassù ... è nostra madre" afferma l'apostolo Paolo (Galati 4,26). L'unico rapporto tra chiese diverse che ci sembra ecumenicamente proponibile e costruttivo è quello di chiese sorelle. Proprio perché le chiese cristiane sono tra loro "sorelle", non ve n'è una (caput) che possegga un primato sulle altre o possa proporsi come unità di misura per le altre.

b) Il rifiuto della Chiesa cattolica romana di riconoscere le nostre chiese come chiese di Gesù Cristo, i nostri ministri come ministri di Gesù Cristo, la nostra Cena come Cena del Signore; rifiuto che appare, ad esempio, dall'uso nei documenti ufficiali del cattolicesimo dell'espressione "comunità ecclesiali" per indicare le nostre chiese e nel rifiuto dell'ospitalità eucaristica, con le stesse motivazioni.

c) Molte coppie interconfessionali che hanno dato vita a matrimoni (impropriamente) detti "misti" hanno sovente difficoltà a vivere la loro comunione anche sul piano di quel che condividono della comune fede cristiana, pur nel permanere delle differenze e divergenze confessionali. E' vero che in questo campo molti progressi sono avvenuti e un Testo comune al riguardo è stato approvato dopo un dialogo ufficiale di alcuni anni dalla Conferenza Episcopale Italiana e dal Sinodo delle chiese valdesi e metodiste. Ciò nondimeno la legislazione canonica vigente, pur non ignorando l'esigenza ecumenica, è ancora lontana dal renderle pienamente giustizia.

43. Siamo dunque, cattolici e protestanti, uniti e divisi allo stesso tempo. Secondo le diverse esperienze e sensibilità (che variano grandemente tra le chiese, all'interno di ogni chiesa e persino in ogni singola comunità) c'è chi dirà che siamo più uniti che divisi, e chi, invece sosterrà il contrario.

E' un fatto che non c'è (e non c'è mai stata) divisione assoluta : possiamo confessare insieme il Credo niceno-costantinopolitano - pur intendendone diversamente alcune parti, soprattutto l'articolo sulla chiesa; leggiamo la stessa Bibbia e, da qualche decennio, possiamo anche leggerla e studiarla insieme; possiamo dire insieme il Padre Nostro. Ma è anche vero che non c'è piena comunione. Anzi, fino a oggi, l'esperienza e la condizione di divisione prevalgono ancor nettamente, soprattutto nei rapporti tra le istituzioni, su quelle dell'unità.

44. Quale può essere il prossimo futuro ? È possibile (e se sì, a quali condizioni) una riconciliazione tra cattolici e protestanti che, ovviamente, nel quadro più vasto del movimento ecumenico, non potrebbe prescindere da una concomitante riconciliazione con l'Ortodossia ? Vi sono delle tappe intermedie da percorrere che, senza essere risolutive, possono costituire un passo avanti verso la meta dell'unità, supponendo che questa sia veramente, e non solo ufficialmente, desiderata dalle singole chiese e confessioni ? Oppure dobbiamo pensare all'unità cristiana come a un obiettivo che le chiese non saranno mai in grado di realizzare nel corso della storia, e che soltanto il Signore stesso attuerà l'ultimo giorno, tornando, e non prima?

Non è nostro compito prevedere il futuro. Lo è invece ubbidire oggi al "comandamento concreto" che già ha orientato la missione di Gesù, venuto a dare la sua vita per "riunire in uno i figli di Dio dispersi" (Giovanni 11,52) e così raccogliere le sue pecore in modo che, ascoltando la sua voce, vi sia "un solo gregge e un solo pastore" (Giovanni 10,16). La speranza e l'azione ecumenica si collocano dunque nella scia del movimento della missione di Gesù, la esprimono e le rispondono.

45. Infine, che cosa pensiamo della Chiesa cattolica romana? La Riforma del XVI secolo applicò alla chiesa di Roma un criterio di valutazione analogo a quello che la chiesa di Roma, attraverso il Concilio Vaticano II, ha applicato alle chiese nate dalla Riforma, quello cioè della presenza in esse di vestigia ecclesiae, "tracce", "orme" della chiesa, costituite da elementi più o meno consistenti di cristianesimo. Noi potremmo oggi riallacciarci a quella tradizione e formulare a proposito della chiesa di Roma giudizi identici o simili. Certamente noi rifiutiamo la pretesa della chiesa di Roma di possedere "la pienezza della grazia e della verità" in quanto avrebbe ricevuto dal Signore stesso "tutti i tesori della Nuova Alleanza", per cui, secondo il Concilio, il valore delle altre chiese come strumenti di salvezza deriverebbe da quella "pienezza" affidata alla Chiesa cattolica (Unitatis redintegratio n. 3). Così pure non condividiamo la convinzione del Concilio secondo cui "l'unità dell'unica Chiesa, che Cristo fin dall'inizio donò alla sua Chiesa" sussiste "senza possibilità di essere perduta nella Chiesa cattolica romana" (Unitatis redintegratio n. 4). D'altra parte, grazie al movimento ecumenico siamo entrati in rapporto con molte realtà cattoliche e abbiamo scoperto la possibilità di una comunione parziale ma reale sulla base comune della Parola di Dio condivisa, della fede, dell'amore e della speranza che sono per tutti "i doni maggiori" (I Corinzi 12,31), e nella ricerca comune di una maggiore fedeltà all'unico Signore.

Abbiamo preso atto con gioia del fatto che, a partire dal Vaticano II, la chiesa di Roma ha accettato la sfida ecumenica e che è disposta a viverla con noi. Noi siamo disposti a viverla con lei.

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