riuniti in fraterna assemblea liturgica, nella festa della conversione
dell’apostolo Paolo, concludiamo oggi l’annuale Settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani. Vorrei salutare voi tutti con affetto e, in particolare,
il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la
Promozione dell’Unità dei Cristiani, e l’Arciprete di questa Basilica, Mons.
Francesco Monterisi, con l’Abate e la Comunità dei monaci, che ci ospitano.
Rivolgo, altresì, il mio cordiale pensiero ai Signori Cardinali presenti, ai
Vescovi ed a tutti i rappresentanti delle Chiese e delle Comunità ecclesiali
della Città, qui convenuti.
Non sono passati molti mesi da quando si è concluso
l’Anno dedicato a San Paolo,
che ci ha offerto la possibilità di approfondire la sua straordinaria opera di
predicatore del Vangelo, e, come ci ha ricordato il tema della Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani - "Di questo voi siete testimoni" (Lc 24,
48) -, la nostra chiamata ad essere missionari del Vangelo. Paolo, pur serbando
viva ed intensa memoria del proprio passato di persecutore dei cristiani, non
esita a chiamarsi Apostolo. A fondamento di tale titolo, vi è per lui l’incontro
con il Risorto sulla via di Damasco, che diventa anche l’inizio di una
instancabile attività missionaria, in cui spenderà ogni sua energia per
annunciare a tutte le genti quel Cristo che aveva personalmente incontrato.
Così Paolo, da persecutore della Chiesa, diventerà egli stesso vittima di
persecuzione a causa del Vangelo a cui dava testimonianza.
Scrive nella Seconda Lettera ai Corinzi: "Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i
quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta
sono stato lapidato... Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di
briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella
città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi
fratelli; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni,
freddo e nudità. Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la
preoccupazione per tutte le Chiese" (2 Cor 11,24-25.26-28).
La testimonianza di Paolo raggiungerà il culmine nel suo martirio quando,
proprio non lontano da qui, darà prova della sua fede nel Cristo che vince la
morte.
La dinamica presente nell’esperienza di Paolo è la stessa che troviamo nella
pagina del Vangelo che abbiamo appena ascoltato. I discepoli di Emmaus, dopo
aver riconosciuto il Signore risorto, tornano a Gerusalemme e trovano gli Undici
riuniti insieme con gli altri. Il Cristo risorto appare loro, li conforta, vince
il loro timore, i loro dubbi, si fa loro commensale e apre il loro cuore
all’intelligenza delle Scritture, ricordando quanto doveva accadere e che
costituirà il nucleo centrale dell’annuncio cristiano. Gesù afferma: "Così sta
scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome
saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati,
cominciando da Gerusalemme" (Lc 24,46-47).
Questi sono gli eventi dei quali renderanno testimonianza innanzitutto i
discepoli della prima ora e, in seguito, i credenti in Cristo di ogni tempo e di
ogni luogo. E’ importante, però, sottolineare che questa testimonianza, allora
come oggi, nasce dall’incontro col Risorto, si nutre del rapporto costante con
Lui, è animata dall’amore profondo verso di Lui. Solo chi ha fatto esperienza di
sentire il Cristo presente e vivo – "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono
proprio io!" (Lc 24,39) -, di sedersi a mensa con Lui, di ascoltarlo perché
faccia ardere il cuore, può essere Suo testimone! Per questo, Gesù promette ai
discepoli e a ciascuno di noi una potente assistenza dall’alto, una nuova
presenza, quella dello Spirito Santo, dono del Cristo risorto, che ci guida alla
verità tutta intera: "Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha
promesso" (Lc 24,49), dice agli Undici e a noi. Gli Undici spenderanno tutta la
vita per annunciare la buona notizia della morte e risurrezione del Signore e
quasi tutti sigilleranno la loro testimonianza con il sangue del martirio, seme
fecondo che ha prodotto un raccolto abbondante.
La scelta del tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di
quest’anno, l’invito, cioè, ad una testimonianza comune del Cristo risorto
secondo il mandato che Egli ha affidato ai discepoli, è legata al ricordo del
centesimo anniversario della Conferenza missionaria di Edimburgo in Scozia, che
viene considerato da molti come un evento determinante per la nascita del
movimento ecumenico moderno. Nell’estate del 1910, nella capitale scozzese si
incontrarono oltre mille missionari, appartenenti a diversi rami del
Protestantesimo e dell’Anglicanesimo, a cui si unì un ospite ortodosso, per
riflettere insieme sulla necessità di giungere all’unità per annunciare
credibilmente il Vangelo di Gesù Cristo.
Infatti, è proprio il desiderio di annunciare agli altri il Cristo e di portare
al mondo il suo messaggio di riconciliazione che fa sperimentare la
contraddizione della divisione dei cristiani. Come potranno, infatti, gli
increduli accogliere l’annuncio del Vangelo se i cristiani, sebbene si
richiamino tutti al medesimo Cristo, sono in disaccordo tra loro?
Del resto, come sappiamo, lo stesso Maestro, al termine dell’Ultima Cena, aveva
pregato il Padre per i suoi discepoli: "Che tutti siano una sola cosa… perché il
mondo creda" (Gv 17,21). La comunione e l’unità dei discepoli di Cristo è,
dunque, condizione particolarmente importante per una maggiore credibilità ed
efficacia della loro testimonianza.
Ad un secolo di distanza dall’evento di Edimburgo, l’intuizione di quei
coraggiosi precursori è ancora attualissima. In un mondo segnato
dall’indifferenza religiosa, e persino da una crescente avversione nei confronti
della fede cristiana, è necessaria una nuova, intensa, attività di
evangelizzazione, non solo tra i popoli che non hanno mai conosciuto il Vangelo,
ma anche in quelli in cui il Cristianesimo si è diffuso e fa parte della loro
storia.
Non mancano, purtroppo, questioni che ci separano gli uni dagli altri e che
speriamo possano essere superate attraverso la preghiera e il dialogo, ma c’è un
contenuto centrale del messaggio di Cristo che possiamo annunciare tutti
assieme: la paternità di Dio, la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte
con la sua croce e risurrezione, la fiducia nell’azione trasformatrice dello
Spirito. Mentre siamo in cammino verso la piena comunione, siamo chiamati ad
offrire una testimonianza comune di fronte alle sfide sempre più complesse del
nostro tempo, quali la secolarizzazione e l’indifferenza, il relativismo e
l’edonismo, i delicati temi etici riguardanti il principio e la fine della vita,
i limiti della scienza e della tecnologia, il dialogo con le altre tradizioni
religiose. Vi sono poi ulteriori campi nei quali dobbiamo sin da ora dare una
comune testimonianza: la salvaguardia del Creato, la promozione del bene comune
e della pace, la difesa della centralità della persona umana, l’impegno per
sconfiggere le miserie del nostro tempo, quali la fame, l’indigenza,
l’analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni.
L’impegno per l’unità dei cristiani non è compito solo di alcuni, né attività
accessoria per la vita della Chiesa. Ciascuno è chiamato a dare il suo apporto
per compiere quei passi che portino verso la comunione piena tra tutti i
discepoli di Cristo, senza mai dimenticare che essa è innanzitutto dono di Dio
da invocare costantemente. Infatti, la forza che promuove l’unità e la missione
sgorga dall’incontro fecondo e appassionante col Risorto, come avvenne per San
Paolo sulla via di Damasco e per gli Undici e gli altri discepoli riuniti a
Gerusalemme. La Vergine Maria, Madre della Chiesa, faccia sì che quanto prima
possa realizzarsi il desiderio del Suo Figlio: "Che tutti siano una sola cosa…
perché il mondo creda" (Gv 17,21). Amen.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana. Con brevi aggiunte a braccio a
cura di ZENIT]