“La
riforma di Benedetto XVI”, i cambiamenti al Culto Divino
di Andrea Tornielli
[Intervista all'Autore, Don Nicola
Bux]
[FSSPX:
Lettera Aperta a Don Nicola Bux]
Non è sempre facile comprendere, nella selva delle dichiarazioni polemiche e
delle semplificazioni giornalistiche, quale sia il vero messaggio che Benedetto
XVI, con il suo esempio prima ancora che con la sua parola, intende dare alla
Chiesa in merito alla celebrazione liturgica. Il ripristino della croce al
centro dell’altare, il recupero di antichi paramenti e soprattutto la
promulgazione del motu proprio che nel 2007 ha liberalizzato il rito preconciliare sono al
centro di dibattiti e discussioni, spesso polarizzate in fronti opposti e non
privi di coloriture estremistiche.
È quindi da salutare come una buona notizia l’uscita del libro di don Nicola Bux,
La riforma di Benedetto XVI (Piemme, pp 128, 12 euro, il libreria da
martedì), un volume agile e al tempo stesso denso e documentato, prefato da
Vittorio Messori. Un libro che aiuta a «leggere» gli atti e iniziative
liturgiche del pontificato ratzingeriano riportandole al loro significato più
profondo, senza il quale si rischia di giudicarle come nostalgiche esteriorità
da una parte, rivincite restauratrici dall’altra.
Bux, teologo stimato dallo stesso Pontefice, esperto di teologia e liturgia
orientali, spiega che «la natura della sacra liturgia è di essere il tempo e il
luogo in cui sicuramente Dio si fa incontro all’uomo», non «qualcosa di
costruito da noi, qualcosa di inventato per fare una esperienza religiosa»,
bensì «il cantare con il coro delle creature e l’entrare nella realtà cosmica
stessa».
È stato il perdere di vista il suo profondo significato che ha fatto deformare
il movimento liturgico post-conciliare, «sia per opera di chi considerava la
novità sempre come la cosa migliore, sia per opera di chi voleva ripristinare
l’antico come l’ottimo in ogni occasione». La decisione del Papa di ridare piena
cittadinanza alla forma antica del rito romano, spiegando al tempo stesso che i
due messali non appartengono a due riti diversi, «è una risposta a quanti,
tradizionalisti e innovatori, avevano affermato che l’antico rito romano fosse
morte con la riforma liturgica e nato un altro in totale discontinuità: una vera
e propria cesura!».
Bux ricorda che il Papa, nella
lettera inviata ai vescovi come accompagnamento del motu proprio, suggerisce
(non obbliga) che quanti celebrano con l’antico messale celebrino anche con il
nuovo: «Di conseguenza, chi celebra secondo l’uso antico deve evitare di
delegittimare l’altro uso».
Anche perché sarebbe paradossale che la messa culminante con l’eucaristia,
sacramento dell’unità e della pace, «finisca per diventare segno di divisione,
di discordia». A questo proposito don Bux osserva che «della liturgia come
bandiera d’identità non si sono serviti solo taluni gruppi tradizionalisti per
affermare il fondamentalismo cattolico ma anche non pochi progressisti per
rivendicare l’autonomismo di marca protestante e no-global (vedi le bandiere
della pace issate sulle chiese e davanti agli altari)».
È necessaria, insomma, una «riforma della riforma», che al contrario di quella
postconciliare parta dal basso e non sia imposta dagli esperti, perché «se
l’antica liturgia era un “affresco coperto”, la nuova ha rischiato di perderlo
per la tecnica aggressiva usata nel restaurarlo».
«La riforma liturgica – scrive il teologo – non è affatto perfetta e conclusa:
c’è bisogno di correzioni e integrazioni, procedendo però in modo differente dal
tempo postconciliare, non imponendo obblighi se non quelli necessari,
illustrando le possibilità e promuovendo il dibattito». Lo scopo ultimo della
liturgia è l’incontro con il mistero, la riscoperta di una nuova sensibilità, un
adeguato spazio al sacro, al silenzio, all’ascolto, per evitare che la liturgia
si trasformi – come purtroppo accade spesso – in «esibizione di attori e
esondazione di parole».
Con il libro, essenziale ma davvero importante, Bux si propone di «aiutare a
comprendere e a celebrare degnamente la liturgia come possibilità di incontro
con la realtà di Dio e causa della moralità dell’uomo, a leggere le degradazioni
sintomo di vuoto spirituale indicando la via per restaurarne lo spirito nel
segno dell’unità della fede apostolica e cattolica, a promuovere un dibattito
serio e un cammino educativo seguendo il pensiero e l’esempio del Papa che
consenta di riprendere il movimento liturgico».
© Copyright Il Giornale, 12 ottobre 2008