La Chiesa rompe il silenzio sugli ayatollah
Sandro Magister, su espressonline 11 novembre 2005

La diplomazia vaticana protesta. E la rivista internazionale del patriarcato di Venezia, “Oasis”, pubblica un reportage sulla repressione dei cristiani in Iran


Proprio mentre l’Iran è più che mai al centro dell’attenzione del mondo – per i suoi programmi di armamento atomico e per la sua ribadita volontà di cancellare lo stato d’Israele – anche la prudente diplomazia vaticana ha fatto un piccolo strappo al silenzio. Il 28 ottobre un comunicato della sala stampa della Santa Sede, dettato dalla segreteria di stato, ha condannato “alcune dichiarazioni, particolarmente gravi e inaccettabili, con cui si è negato il diritto all’esistenza dello stato di Israele”.

Niente nomi, ma il riferimento all’Iran era inequivocabile: in particolare al discorso pronunciato il 25 ottobre a Teheran dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, e ancor più in particolare a questo passaggio:

“L’imam Khomeini disse: ‘Il regime che sta occupando Gerusalemme deve essere cancellato dalle pagine della storia’. Sono parole sagge. [...] Il popolo islamico non può permettere a questo suo nemico storico di vivere nel cuore stesso del mondo islamico”.

Per la diplomazia vaticana non è abituale una protesta pubblica nei confronti del regime islamico instaurato in Iran nel 1979 dall’imam Khomeini. La logica della diplomazia vaticana è “realista”. Per tutelare la piccola comunità cattolica che vive in quel paese, il silenzio è ritenuto più efficace dell’aperta denuncia.

Ma questa volta sono entrate in gioco anche le relazioni tra la Santa Sede e Israele. Nello stesso comunicato vaticano del 28 ottobre che ha condannato le dichiarazioni del presidente iraniano, si condannano anche “l’attacco terroristico di Hadera e la successiva rappresaglia” e si ribadisce “il diritto sia degli israeliani che dei palestinesi a vivere in pace e sicurezza, ciascuno in un proprio stato sovrano”.

Il tacere sulla dichiarata volontà dell’Iran di cancellare Israele avrebbe danneggiato l’insieme della politica vaticana in Terra Santa.

L’Iran è in ogni caso un punto dolente nell’agenda internazionale della Santa Sede. In quel paese la libertà religiosa di chi non appartiene all’islam sciita è pesantemente repressa. Nel discorso rivolto il 29 ottobre 2004 al nuovo ambasciatore iraniano presso la Santa Sede, Giovanni Paolo II lo fece rimarcare, invocando una maggiore libertà. Di cui non si vede tuttora alcun segno promettente, nonostante – disse il papa – “lo svolgimento in Iran di un incontro regolare di dialogo ad alto livello tra cristiani e musulmani”.

Sugli attuali limiti alla libertà religiosa in Iran fanno testo due rapporti: quello diffuso nel 2005 dall’Aiuto alla Chiesa che Soffre, e l’International Religious Freedom Report 2005 rilasciato lo scorso 8 novembre dal dipartimento di stato degli Stati Uniti.

I più perseguitati sono certamente i fedeli della religione Baha’i, nata proprio in Iran nel XIX secolo.

Ma anche la piccola comunità cristiana attraversa serie difficoltà.

In Iran la Chiesa ha origini antichissime, che risalgono al II secolo. Intrecciata alla religione di Zoroastro, allora dominante, e al manicheismo, essa si affermò al di fuori dell’influenza di Roma e Costantinopoli, e quindi non aderì ai dogmi cristologici fissati dal concilio di Calcedonia. Il successivo avvento dell’islam stimolò la sua espansione missionaria ad Oriente, fino alla Cina. Oggi in Iran i cristiani appartengono in maggioranza alla Chiesa Armena Apostolica, detta Gregoriana, mentre i cattolici sono circa 10 mila. Il loro essere minoranze etniche – armeni e assiro-caldei – oltre che religiose rende i cristiani nell’Iran khomeinista doppiamente stranieri.

Sulla vita dei cristiani in Iran circolano scarse informazioni. Proprio mentre, però, il Vaticano rompeva il suo silenzio diplomatico, un’importante rivista promossa dal patriarcato di Venezia retto dal cardinale Angelo Scola ha rotto anche il silenzio informativo.

La rivista è “Oasis”. È stampata in italiano, inglese, francese, arabo, urdu, ed è mirata ai cristiani d’Oriente. È inviata a vescovi, a responsabili di Chiesa e anche a personalità non cristiane dei paesi dell’Est d’Europa e dell’Asia.

Sul suo ultimo numero, uscito alla fine di ottobre, “Oasis” pubblica un reportage sui cristiani in Iran, scritto da un inviato molto competente sulle Chiese nei paesi musulmani, Camille Eid, libanese.
 

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