Ireneos I destituito, si
elegge il successore. I riflessi della vicenda sull’insieme delle
Chiese ortodosse e sui rapporti tra Roma e Oriente. All'articolo di
Sandro Magister segue un commento di padre David M. Jaeger
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La deposizione e
la battaglia “postuma” di Ireneos sono l’ultimo capitolo
di una lunga saga delle lotte all’interno del patriarcato
greco ortodosso di Gerusalemme. Alla radice il problema è il
monopolio del potere e delle proprietà mantenuto fino ad oggi
dalla Fraternità Agiotafitica, di etnia greca, che ha
emarginato sempre più i fedeli arabi e il basso clero arabo.
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Nel programma di Benedetto XVI c’è un nuovo
equilibrio tra il primato papale e il collegio dei vescovi.
Nel primo millennio della cristianità, quando la Chiesa di Roma e le
Chiese orientali erano ancora unite, il collegio dei vescovi aveva un
peso maggiore. Come tutt’ora avviene nei patriarcati d’Oriente,
retti da un sistema sinodale.
Nella Chiesa romana è avvenuto il contrario. Lì, nel secondo
millennio, il primato del papa si è fortemente rafforzato. Benedetto
XVI – e con lui i cardinali che l’hanno eletto – è convinto che
è arrivata l’ora di bilanciare i poteri e valorizzare di più il
ruolo dei vescovi.
Un primo piccolo correttivo l’ha già introdotto nel sinodo in
programma a Roma nel prossimo ottobre. Il sinodo – un istituto
inaugurato da Paolo VI dopo il Concilio Vaticano II che periodicamente
riunisce attorno al papa una rappresentanza dei vescovi cattolici di
tutto il mondo – resterà consultivo, non deliberativo, ma i vescovi
avranno modo di discutere il tema in oggetto, l’eucaristia, con
procedure più adatte a far emergere i diversi punti di vista, di cui il
papa dovrà tener conto.
Rafforzando il collegio dei vescovi, Benedetto XVI spera di ricomporre
lo scisma che ha diviso la Chiesa di Roma dalle Chiese d’oriente. Egli
vuole avvicinare i rispettivi sistemi di governo in quanto di meglio
essi hanno storicamente prodotto.
Tale cammino si prospetta in ogni caso lungo e contrastato, perché il
divario da colmare è molto ampio.
Una prova lampante di quanto siano distanti i due sistemi è data da ciò
che sta accadendo nel patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme.
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A Gerusalemme il 15 agosto il sinodo della Chiesa greca ortodossa si
riunirà per eleggere il suo nuovo patriarca.
E fin qui niente di diverso da quanto avviene nella Chiesa romana, dove
ogni nuovo papa è eletto dal collegio dei cardinali.
La diversità è che a Roma i cardinali non destituiscono un papa,
mentre in Oriente lo possono fare e lo fanno.
Il sinodo greco ortodosso che a Gerusalemme si appresta a nominare il
suo nuovo patriarca è lo stesso che pochi mesi fa ha rimosso il
predecessore.
Questi, di nome Ireneos I (vedi foto), non ha peraltro accettato la
propria destituzione. E continua a resistere nella sua residenza
adiacente alla basilica del Santo Sepolcro, presidiata da pattuglie di
soldati israeliani armati.
Il governo d’Israele, infatti, non ha sinora riconosciuto la decadenza
di Ireneos dalla carica, a differenza della Giordania e dell’Autorità
Palestinese che invece l’hanno approvata.
E questa è un’altra diversità rispetto alla Chiesa di Roma. In
Oriente, i patriarcati ortodossi hanno un legame con i rispettivi
governi nazionali che risale al modello “cesaro-papista” tipico
dell’impero bizantino ed è rimasto in vigore anche dopo l’avvento
del dominio musulmano.
Nel caso del patriarca greco ortodosso di Gerusalemme, sia la sua
destituzione che la sua nomina esigono l’approvazione di Israele, del
regno di Giordania e dell’Autorità Palestinese.
Ireneos, ad esempio, fu eletto patriarca il 13 agosto 2001. Ma il
governo israeliano – che già aveva preventivamente posto il veto
sulla sua candidatura – aspettò fino al marzo 2004, dopo lunghe
trattative segrete, prima di riconoscere la sua nomina.
E questo rinfocolò ancor più l’accusa a Ireneos di essere passato al
servizio di interessi israeliani. Quando poi, nel marzo del 2005, si
diffuse la voce che egli aveva venduto ad ebrei un complesso di edifici
nella Città Vecchia di proprietà del patriarcato, la rivolta contro di
lui esplose e portò alla sua destituzione, votata dal sinodo il 7
maggio 2005 con 13 voti su 17.
* * *
Lo scontro interno al patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme è
intrecciato alla sua composizione etnica.
Ad esso appartengono circa sessantacinquemila fedeli. Di questi, poco più
di duecento sono greci, tutti gli altri sono arabi.
I greci detengono però tutti i ruoli di potere. I diciotto vescovi
membri del sinodo, nominati dal patriarca, sono greci. Dei membri della
Fraternità del Santo Sepolcro, cui spetta l’elezione del patriarca,
novanta sono greci e quattro sono arabi.
Inoltre, il patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme è uno dei
maggiori proprietari terrieri della Terra Santa. Possiede gran parte
della Città Vecchia. Fuori delle mura è suo, ad esempio, il terreno
sui cui sorge il palazzo della Knesset, il parlamento israeliano.
La vendita di immobili attribuita a Ireneos – ma da lui negata –
riguarderebbe i terreni su cui sorgono due alberghi del centro storico,
l’Imperial e il Petra, frequentati da notabili palestinesi, più altri
edifici vicini alla Porta di Giaffa.
* * *
Sarebbe un errore, però, ridurre la vicenda del patriarcato greco
ortodosso di Gerusalemme a una saga intestina. La sua rilevanza investe
l’intero insieme delle Chiese d’Oriente.
La riprova è nel fatto – decisamente insolito – che per decidere
sulla destituzione di Ireneos, votata il 7 maggio dal sinodo del
patriarcato di Gerusalemme, si sono riuniti a Istanbul due settimane
dopo, il 23 maggio, invitati dal patriarca ecumenico di Costantinopoli,
Bartolomeo I, quarantadue rappresentanti di quattordici Chiese
ortodosse, tra cui i patriarcati di Antiochia, Alessandria, Mosca,
Grecia, Cipro, Serbia, Polonia. Anche Ireneos si è recato a questo
sinodo interortodosso, che è terminato con l’approvazione della
delibera del sinodo di Gerusalemme. Da allora nessuna Chiesa ortodossa
lo riconosce più come patriarca e il suo nome non è più menzionato
nelle liturgie. Si prevede che lo strapotere dell’élite greca sul
patriarcato di Gerusalemme sarà ridimensionato a vantaggio della
componente araba.
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E la Chiesa cattolica? Ecco qui di seguito come un rappresentante
autorevole della Chiesa di Roma ha ricostruito e giudicato la vicenda.
L’autore della nota è padre David Maria Jaeger, cittadino israeliano,
ebreo di nascita, convertito in età adulta al cattolicesimo e fattosi
francescano, specialista in diritto canonico e da molti anni negoziatore
ufficiale per la Santa Sede con il governo d’Israele.
Il suo commento è apparso il 2 giugno 2005 sull’agenzia
internazionale on line “Asia News”, diretta da padre Bernardo
Cervellera del Pontificio Istituto Missioni Estere:
La caduta di Irenos I: Israele agisce come l’impero
ottomano
di David M. Jaeger
Con una mossa che ha dell’incredibile, il governo d’Israele ha
inviato guardie armate di polizia nel monastero greco-ortodosso, situato
all’interno della Città Vecchia di Gerusalemme, a difendere l’ex
patriarca Ireneos I e il suo possesso degli appartamenti patriarcali. E
questo contro la volontà del sinodo patriarcale, che con larga
maggioranza ha deposto Ireneos; contro la volontà di tutti i preti e i
laici del patriarcato; e perfino contro la volontà di tutti i capi
della Chiesa Ortodossa nel mondo intero.
Pare impossibile che nel XXI secolo, uno stato, pure democratico, si
arroghi ancora il diritto di decidere chi deve essere o non essere il
vescovo e il capo di una Chiesa cristiana. Tutto ciò è in profonda
contraddizione con la stessa costituzione di Israele e con la
Dichiarazione di Indipendenza che promette piena libertà religiosa per
tutti.
BIZANTINI E OTTOMANI
Storia e politica aiutano a capire, ma non a scusare, questa situazione
bizzarra.
Come si sa, nell’antico impero romano d’Oriente, detto
“bizantino” dal nome della sua capitale Bisanzio, gli affari della
Chiesa e dello Stato erano fortemente intrecciati; l’imperatore
assumeva ed esercitava una sorta di supervisione sulla stessa Chiesa,
secondo uno stile definito “cesaro-papista” da diversi studiosi
occidentali.
Finché l’imperatore era un cristiano – e talvolta perfino un buon
cristiano – la cosa forse poteva avere anche un senso. Ma tutto ciò
è divenuto grottesco dopo la conquista ottomana di Costantinopoli nel
1453, quando i nuovi dominatori, turchi e musulmani, hanno cercato di
esercitare lo stesso controllo, o uno più grande, di quello espletato
dai Cesari cristiani.
Questa innaturale situazione ha toccato Gerusalemme e la Terra Santa
quando gli ottomani la conquistarono nella prima metà del XVI secolo. A
quel tempo, l’antico Patriarcato orientale di Gerusalemme era in
comunione con Roma, grazie all’unione stabilita al Concilio di Firenze
nel 1439.
Con una politica già attuata a Costantinopoli, gli ottomani si sono
preoccupati anzitutto di promuovere come responsabili del patriarcato i
più accesi oppositori all’unità con Roma.
Per occupare tutte le posizioni di governo nel patriarcato, essi
portarono dalla Grecia i monaci anti-unione, soppiantando completamente
la Chiesa locale. I monaci greci si organizzarono in una corporazione
definita la Fraternità Agiotafitica (ossia del Santo Sepolcro) che ha
il pieno controllo a tutt’oggi di tutte le responsabilità e – ancor
più importante – di tutte le proprietà del patriarcato.
In linea con il principio del cesaro-papismo, la nomina del patriarca
rimase sempre nelle mani del governo. Lo stesso patriarcato, come
personalità giuridica, poteva essere considerato una creatura della
legge ottomana.
GIORDANIA E ISRAELE
Fra il 1948 e il 1967 la sede del patriarcato, nella Città Vecchia di
Gerusalemme, era controllata dalla Giordania. Lo stato hascemita ha
prodotto un nuovo statuto per il patriarcato, reclamando per sé gli
stessi poteri del governo ottomano. Dal 1967 la Città Vecchia è sotto
il controllo israeliano. Ma Israele non ha mai preteso formalmente i
poteri dello stato ottomano, né vi è una legge per il controllo del
patriarcato greco-ortodosso.
Nonostante ciò, influenti personalità dell’establishment israeliano
pretendono di essere in questo gli eredi del potere ottomano e non si
sono fatto scrupolo di usare ogni mezzo, anche la polizia armata, per
affermare che lo stato ha l’ultima parola sulla nomina del Patriarca.
Personalmente, penso che se si facesse ricorso all’Alta Corte di
Giustizia di Israele, la Corte farebbe fatica a giustificare
l’incursione armata della polizia nel monastero greco-ortodosso, per
imporre alla Chiesa di Gerusalemme un patriarca che nessuno vuole e che
è stato ufficialmente deposto. E ciò in base ai criteri di libertà
religiosa tratti dalle leggi internazionali sui diritti umani e in base
agli stessi valori su cui si fonda Israele.
GRECI E CHIESA LOCALE
Vale la pena mostrare un altro aspetto della questione. La deposizione e
la battaglia “postuma” di Ireneos sono l’ultimo capitolo di una
lunga saga delle lotte all’interno del patriarcato greco ortodosso di
Gerusalemme. Alla radice il problema è il monopolio del potere e delle
proprietà mantenuto fino ad oggi dalla Fraternità Agiotafitica, di
etnia greca, che ha emarginato sempre più i fedeli arabi e il basso
clero arabo.
Il fatto grave è che già molto tempo prima di Ireneos, i patriarchi
greci hanno avuto l’abitudine di vendere proprietà e terreni della
Chiesa senza alcuna trasparenza sull’uso e la destinazione dei soldi
ricevuti. I fedeli arabi si sono spesso rivolti ai tribunali israeliani,
nel tentativo di limitare come “fiduciari” il controllo delle
proprietà della Chiesa da parte di patriarchi e vescovi: in quanto
“fiduciari” essi non possono trattare le proprietà della Chiesa
come loro proprietà personali.
Ma fino ad ora i tribunali hanno sempre rigettato ogni appello del
genere. Alla sua elezione, Ireneos aveva promesso di metter fine
all’alienazione irresponsabile delle proprietà ecclesiastiche. Poi i
media hanno scoperto che lui ha venduto addirittura alcune delle
proprietà più importanti e strategiche del patriarcato, all’entrata
delle mura di Gerusalemme. A questo punto non solo vi è stata l’ira
dei fedeli e del clero arabo, ma perfino i prelati greci hanno capito
che si era superato ogni limite e si sono mossi con decisione e
sveltezza.
Con ogni probabilità essi temono che, a non agire di fronte a tale
condotta senza precedenti, l’intera struttura del loro potere possa
crollare. Vi è un precedente: nel 1899, in Siria, vi è stata una
ribellione dei fedeli e del clero, che hanno rimesso il patriarcato
ortodosso di Antiochia nelle mani della popolazione locale,
estromettendo i greci.
I CATTOLICI
Nella disputa legata a Ireneos i cattolici non sono direttamente
coinvolti. Ma essi di certo non sono dispiaciuti nell’assistere alla
sua deposizione.
Fin dalla elezione, Ireneos ha condotto una politica di ostilità,
aggressione e violenza contro la Chiesa cattolica. Il fatto culminante
è stato l’assalto da lui stesso guidato il 27 settembre 2004 contro i
cattolici nella basilica del Santo Sepolcro. In quell’occasione Ireneo
ha guidato i suoi monaci all’assalto anche contro la polizia
israeliana che cercava di calmarli. Molti poliziotti hanno avuto bisogno
di cure mediche. È davvero ironico che ora la stessa polizia si offra
come strumento in questo tentativo tutto ottomano di restaurare il
potere di Ireneos con la forza delle armi!
Si può solo immaginare che la polizia non sia contenta degli ordini a
essa dati dai politici, ed è quasi impossibile immaginare i motivi
politici dietro questi ordini. Penso che i politici faranno fatica a
riconciliare questa intromissione armata in una decisione interna a una
comunità cristiana, con la definizione di Israele quale “stato
ebraico e democratico”.
v. anche:
. Il Sinodo greco
ortodosso nomina il nuovo Patriarca di Gerusalemme
. L'insediamento di
Teofilo III nuova strada tra cattolici e ortodossi