|
|
|
|
|
Visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore di Roma il 17
gennaio 2010. Successive esternazioni del Rabbino Di Segni.
Riflessioni sulle parole del Rabbino e su quelle del Papa
1. Identità etnica di Israele, identità spirituale del Cristianesimo
Il rabbino Di Segni, nel corso della visita del Papa al Tempio Maggiore di Roma, è stato capace di impartire una lezione
di esegesi su "Israele-Popolo-Terra" a Benedetto XVI. Nella coscienza
ebraica, ha detto Di Segni, è «fondamentale e irrinunciabile» ricordare che la
terrasanta «è la terra di Israele» con «la promessa fatta ripetutamente dal
Signore ai nostri patriarchi di darla ai loro discendenti». Una promessa, ha
detto il rabbino, che «si basa sulla Bibbia» che per cattolici ed ebrei ha, «pur
nelle differenti letture, un significato sacro». Il Papa, evidentemente in
ragione dell'impronta 'diplomatica' data all'evento, non ha replicato nulla
-come anche a braccio non gli manca di fare in molte occasioni- nonostante i
suoi scritti dimostrino che egli abbia idee molto chiare al riguardo. In ogni
caso occorre non esagerare con il nazionalismo e le ristrette vedute d’Israele.
In realtà, l’AT testimonia anche d’un suo ben pronunciato universalismo, d’una
sua vocazione in tal senso, come dimostra ottimamente R. Martin-Achard,
Israël et les nations. La perspective missionnaire de l’Ancien Testament,
Neuchâtel-Paris 1959 e lo stesso card. Ratzinger nello scritto riprodotto di
seguito.
Il Card Ratzinger, oggi Benedetto XVI,
spiega nei suoi scritti che l'universalismo, non esclusivista né etnocentrico ma teologale, già presente nel Vecchio Testamento
(Israele testimone davanti a tutti i popoli), è
diventato esplicito e si è compiuto solo con l’autentica esegesi che Gesù
Cristo ha rivelato e realizzato. Ed è questa la risposta cristiana all’esegesi
rabbinica, tuttora esclusivista ed etnocentrica, espressa ed enfatizzata da Di
Segni. L’identificazione tribale tra "Dio - terra - popolo" è stata ormai superata
da duemila anni. E volerla ripristinare significa non camminare con la Storia
della Salvezza portata a compimento dal Signore Gesù. In questo senso possiamo
definire arcaica, cioè mitica, la pretesa
sionista per ciò che essa attualmente produce. Forse sono parole 'contro corrente' rispetto alla cultura imperante, ma
in esse non manca
il Logos e servono per chiamare le cose col loro nome. Ne consegue il
riconoscimento di Israele come Stato e Nazione, ma senza alcuna valenza 'messianica'.
Vediamo cosa scrive l'allora Card Ratzinger:
"Il cristianesimo era quella forma di giudaismo(1) ampliata fino ad attingere
l’universalità, nella quale ora veniva pienamente donato quanto l’Antico
Testamento fino ad allora non era stato in grado di dare. La fede di Israele
presentata nella ‘Septuaginta’ mostrava l’accordo tra Dio e il mondo, tra
ragione e mistero. Essa dava direttive morali, ma mancava di qualcosa: il Dio
universale era comunque legato a un determinato popolo; la morale universale era
legata a forme di vita molto particolari, che fuori di Israele non si potevano
affatto praticare; il culto spirituale era pur sempre vincolato ai rituali del
Tempio che certo si potevano interpretare simbolicamente, ma in fondo erano
superati dalla critica profetica e non potevano essere fatti propri da parte di
animi in ricerca. Un non ebreo poteva trovare posto soltanto ai margini di
questa religione, rimanere ‘proselito’, poiché l’appartenenza piena era legata
alla discendenza carnale da Abramo, a una etnia. Rimaneva il dilemma se era
necessario, e in quale misura, l’elemento specifico giudaico per poter servire
rettamente questo Dio e a chi spettasse tracciare il confine tra quanto era
irrinunciabile e quanto invece era storicamente accidentale o superato. Una
piena universalità non era possibile, poiché non era possibile un’appartenenza
piena. A questo livello è stato il cristianesimo a praticare per primo una
breccia, ad ‘abbattere il muro’ (Ef 2,14) in un triplice senso: i legami di
sangue con il capostipite non sono più necessari, poiché è il legame con Gesù a
determinare la piena appartenenza, la vera parentela. Ognuno può ora appartenere
totalmente a questo Dio, tutti gli uomini sono in grado e sono autorizzati a
divenire suo popolo. Gli ordinamenti giuridici e morali particolari non
obbligano più, essi sono divenuti un precedente storico, poiché nella persona di
Gesù Cristo tutto è ricapitolato e chi lo segue porta in sé e adempie l’intera
essenza della legge. Il culto antico non è più in vigore, è stato abrogato con
l’offerta di sé che Gesù ha fatto a Dio e agli uomini. E’ essa ora il vero
sacrificio, il culto spirituale, in cui Dio e l’uomo si abbracciano e vengono
riconciliati; e la Cena del Signore, l’Eucarestia, ne risulta la reale e certa
garanzia sempre presente» " (J. Ratzinger, «Fede, Verità,
Tolleranza - Il Cristianesimo e le religioni del mondo», Cantagalli, Siena,
2005)
(1) Piccola chiosa sul "cristianesimo
come forma di giudaismo". Occorre premettere che, parlando
di giudaismo in riferimento al cristianesimo, bisogna
intendere il giudaismo puro, con esclusione di quello
spurio, che ha inizio con l'esilio in Babilonia e sfocia nel
giudaismo talmudico dopo la distruzione di Gerusalemme
e che
si è sviluppato contemporaneamente al cristianesimo in una
netta differenziazione reciproca. Il cristianesimo, più che
una 'forma' di giudaismo, ne è il compimento, nella Persona
di Cristo, nei 'tempi ultimi' e nella Creazione Nuova da
Lui inaugurata.
2. Considerazioni sulle parole del Papa in
Sinagoga
[testo
integrale del discorso]
2.1 attribuzione di portata teologica alla shoah
Non può restare senza conseguenze asserire che “la shoah” segna “il
vertice del cammino dell’odio”, che voleva “uccidere Dio”. Occorre invece
respingere la tendenza odierna -che va generalizzandosi sempre di più- di
conferire portata teologica e “neo-dogmatica” ad un fatto storico come la shoah
quale “nuovo Olocausto”, che sembra addirittura aver rimpiazzato quello di
Cristo. Infatti, per la Fede cattolica l’odio di satana ha mosso degli uomini
(Sinedrio con il popolo ebraico a lui sottomesso con la connivenza dei
dominatori Romani) ad uccidere Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nella sua
natura umana. Questo è il vero vertice dell’odio contro Dio, che i veri
cristiani, figli del perdono, non prendono a pretesto per demonizzare nessun
uomo e nessun popolo -nella specie quello ebraico- né di ieri né di oggi né di domani.
La shoah non è né un “luogo teologico” - che, nella metodologia di Melchior Cano, è un criterio di prova teologica
- né un dogma di fede, perché i dogmi di
fede hanno per oggetto esclusivamente verità rivelate.
Nessun cristiano è quindi tenuto ad enfatizzazioni fuorvianti o al reiterato
prodursi di poco dignitose prostrazioni, fermi restando l'orrore e la condanna
per l'accaduto.
2.2 preghiamo lo stesso Dio?
Neppure può restare senza conseguenze una dichiarazione del genere
da parte del Papa: Cristiani ed Ebrei hanno una grande parte di patrimonio
spirituale in comune, pregano lo stesso Signore...
È pur vero che
siamo innestati sulla "radice santa" del giudaismo pre-rabbinico e che il Dio
che si è rivelato e ha portato a compimento la Storia della Salvezza in Gesù
Cristo è lo stesso dei Patriarchi e dei Profeti; ma se ci fermiamo a questo
dato, ignoriamo che nella pienezza dei tempi Dio si è rivelato in Cristo
Signore, che gli ebrei hanno rifiutato e continuano a rifiutare. Ed è Dio
Trinità, icona e fonte di tutte le nostre relazioni, che noi cristiani Adoriamo,
per averlo conosciuto attraverso la Rivelazione del Signore Gesù e degli
Apostoli. Quel "quid" in più di un Dio Incarnato e Morto per i nostri peccati e
Risorto per introdurci nella Creazione Nuova, fa una differenza abissale e
adorare l'Uno piuttosto che l'altro non è ininfluente, perché si diventa
'conformi' (la ‘configurazione’ a Cristo di Paolo) a Colui che si Adora, anche perché i nostri
atteggiamenti interiori e comportamenti vi si conformano in base ad una 'connaturalità'
donata nella fede e realizzano
un'antropologia e, conseguentemente, una storia diverse...
È la stessa ragione per cui non possiamo affermare di adorare
lo stesso Dio dell'Islam: Certo, Dio Creatore dell'uomo e dell'universo è
lo stesso, ma il rapporto che si instaura con Lui in base alla Rivelazione alla
quale si aderisce rende diversi gli uomini e il loro essere-nel-mondo e quindi
la storia che essi vi incarnano e scrivono...
3. Ulteriori dichiarazioni del Rabbino
Le seguenti dichiarazioni di Rav Di Segni sono tratte da un'intervista
rilasciata in occasione della "Giornata della memoria", che si celebra il 27
gennaio:
"Cammino ebrei-cattolici tormentato, speriamo irreversibile"
"Se la pace con i lefebvriani significa rinunciare alle aperture del
Concilio, la Chiesa dovrà decidere: o loro o noi!": così il rabbino capo
della comunità ebraica di Roma, Riccardo di Segni, in un passaggio di
un'intervista al mensile 'Il consulente Re' uscito il giorno prima della
giornata della memoria.
Di Segni rievoca, al proposito, il discorso pronunciato in sinagoga in
occasione della recente visita del Papa, quando, in riferimento alle
"aperture" del Concilio vaticano II, ha affermato: "Se venissero messe in
discussione, non ci sarebbe più possibilità di dialogo". Ora il rabbino
spiega, in riferimento al discorso del giorno prima del Papa alla
congregazione per la Dottrina della fede: "E' stata l'ultima aggiunta al
discorso, dopo che venerdì mattina 15 gennaio c'è stata una strana apertura
ai lefebvriani...".
Che il cammino tra ebrei e cattolici "sia tormentato - afferma più in
generale Di Segni - è indubbio, che sia irreversibile è una speranza".
Quanto alla definizione usata da Giovanni Paolo II per descrivere gli ebrei
- "fratelli maggiori" - il rabbino spiega: "Questa definizione è molto
ambigua dal punto di vista teologico, poiché i 'fratelli maggiori' nella
Bibbia - ne ho parlato nel mio discorso - sono quelli cattivi, quelli che
perdono la primogenitura... Parlare quindi di 'fratelli maggiori' dal punto
di vista teologico significa dire: Voi c'eravate, adesso non contate più
niente!". L'accenno fatto alle coppie di fratelli biblici nel discorso in
sinagoga ha colpito il Papa, racconta poi Di Segni: "Dalla posizione
ieratica in cui si era messo all'inizio della cerimonia, ha incominciato a
mostrare grande interesse. Non solo: alla fine del mio discorso m'ha detto
che l'argomento era molto importante, ciò che ha evidenziato ancora nel
nostro colloquio privato".
Di Segni loda, infine, la Comunità di Sant'Egidio: "E' un bell'esempio di
collaborazione, è stata fondamentale. Ha fatto di tutto per promuovere la
visita, ha fatto molto per salvarla nel momento della crisi".
© Copyright Apcom, 26 gennaio 2010
3.1. uscire dal sepolcro e guarire dal passato per poter
avere un futuro
Non è mia intenzione entrare in una polemica; vorrei
soltanto che il 27 gennaio fosse veramente il giorno della Memoria, e quindi che
si accomunassero nel ricordo tutte le vittime del Novecento: il secolo, che è stato
definito da V. Grossman, della massima violenza dello Stato sull' uomo; ma ad
esse vorrei fossero accomunate le vittime di ogni generazione che ci ha
preceduti nella storia, ma anche della nostra che -senza nulla togliere al
dramma dello sterminio degli ebrei che è e resta mostruoso- ne ha viste e continua
a vederne davvero tante.
Tutti dovremmo comunque ricordare innanzitutto che per avere un futuro bisogna
guarire dal passato... e la memoria deve essere sana e responsabile
consapevolezza che assimila gli eventi, se li assume e li porta con sé redenti e
non il "sacrario dell'odio" dal quale tirar fuori ogni possibile ricatto morale
nei confronti del resto del mondo chiamato a testimone, come sta avvenendo da
parte degli ebrei attraverso
la shoah.
3.2 Considerazioni sulle parole del Rabbino. Indebite
interferenze
Da parte nostra non possiamo non rimanere ancora una volta esterrefatti per le
pesanti e inaccettabili ingerenze del rabbino -che non può farsi portavoce degli
ebrei i quali non sono un 'monolite' e non hanno un'Autorità suprema di
riferimento- nelle questioni interne della Chiesa. Oltretutto si tratta di una
prerogativa che non appartiene né a lui né a nessun altro, ebreo o non ebreo che
sia e stupisce il fatto che nessun portavoce Vaticano affermi con fermezza un
dato così elementare, quando ogni volta che vengono nominati gli ebrei anche di
striscio, si montano polveroni mediatici a non finire e analoga sensibilità
esasperata mostrano i musulmani quando si parla della loro fede. Ma per i
cristiani tutto questo non vale e per contro negli ultimi tempi queste
interferenze vanno moltiplicandosi: basti pensare alla contestazione infinita su
Pio XII e alle rimostranze sulla
preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo...
Affermare: "Se la pace con i lefebvriani significa
rinunciare alle aperture del Concilio, la Chiesa dovrà decidere: o loro o noi!"
cos'è: un ultimatum al Papa su una questione prettamente interna alla Chiesa?
E in forza di quale principio questo parallelismo?
Tra l'altro non risulta che la Fraternità S. Pio X sia mai stata negazionista
dell'orrendo 'sterminio', impropriamente definito 'olocausto' (a parte le
personalissime dichiarazioni 'riduzioniste' e non negazioniste di Mons. Williamson,
sulle quali è stato montato ad arte uno scandalo mediatico in occasione
dell'annullamento della scomunica da parte di Benedetto XVI ai vescovi ordinati
da Mons. Lefebvre)
3.3. shoah, 'luogo' teologico e dogma di fede?
Come già detto, l'appartenenza alla Chiesa non può essere condizionata
dall'accettazione o meno di un fatto storico, che non è e non può e non deve
diventare un dogma di fede!
Inoltre il linguaggio del rabbino sembra riferirsi ad un'APPARTENENZA che in
ogni caso non riguarda il popolo ebraico che è interessato al dialogo e non
certo all'assimilazione; rischio che invece correrebbe la Chiesa se andassero in
porto i piani sionisti (sionismo non coincide necessariamente con ebraismo) e continuasse il processo di giudaizzazione innescato da
tempo e di cui, ad esempio, tra le realtà ecclesiali emergenti, il cammino neocatecumenale è una 'punta' avanzata
[vedi]!
4. Derive sincretiste e moderniste e processo di
giudaizzazione presenti nella Chiesa
Infatti, dove viene espunta la Presenza Reale del Signore in una celebrazione
(il particolare Rito neocatecumenale) che non è più il Sacrificio eucaristico
che riattualizza il Sacrificio di Cristo, ma solo una festa assembleare che
'commemora' la Cena con la commistione del ricordo dell'uscita dall'Egitto, non
è forse già entrato l'abominio della desolazione, come tra l'altro ricorda
Giovanni Paolo II nella
Dominicae Cenae?: "Il mistero eucaristico, disgiunto
dalla propria natura sacrificale e sacramentale, cessa semplicemente di essere
tale. Esso non ammette alcuna imitazione «profana» che diventerebbe assai
facilmente (se non addirittura di regola) una profanazione."
Oltretutto, negli insegnamenti e nelle prassi soprattutto ai livelli più
avanzati, si assiste alla progressiva giudaizzazione del cristianesimo, molto
presente ed arbitrariamente attribuita ad un sedicente spirito-del-concilio, che
assume anche connotati neo-protestanti.
4.1 A che stadio siamo del processo di giudaizzazione.
Dove sta andando la Chiesa?
Di questo processo è riprova un recente articolo
a firma di Marco Morselli "L'ebraismo e i diritti culturali"
ove egli afferma, tra l'altro: "Non vi è una Nuova Alleanza che si
contrapponga a una Vecchia Alleanza, non vi è neppure un’unica Alleanza
Vecchio-Nuova che costringerebbe gli ebrei a farsi cristiani o i cristiani a
farsi ebrei. Vi è un’unica Torah eterna che contiene molte Alleanze, i molti
modi in cui il Santo, benedetto Egli sia, rivela il suo amore per gli uomini e
indica le vie per giungere all’incontro con Lui", salvo che loro restano "il
popolo dell'Alleanza" e noi i goym... Nella conclusione, Morselli cita Elia Benamozegh,
il grande rabbino livornese che in un’opera postuma pubblicata a Parigi nel 1914 scriveva: «La
riconciliazione sognata dai primi cristiani come una delle condizioni della Parusia, o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel seno della Chiesa,
senza di cui le diverse confessioni cristiane sono concordi nel riconoscere che
l’opera della redenzione rimane incompleta, questo ritorno si effettuerà non
come lo si è atteso, ma nel solo modo serio, logico e durevole, e soprattutto
nel solo modo proficuo al genere umano. Sarà la riunione dell’ebraismo e delle
religioni che ne sono derivate, e, secondo la parola dell’ultimo dei profeti, il
sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, “il ritorno del cuore
dei figli ai loro padri”» (Ml 3,24).
Citazione peraltro strumentale di Malachia, che parla anche della
riconciliazione dei padri verso i figli e nessuno autorizza a pensare che i
padri siano gli ebrei e i figli siano i cristiani, il quali sono innanzitutto
figli di Dio nel Figlio...
Sta di fatto che gli ebrei si sono in qualche modo riappropriati di Cristo come
rabbi e profeta e non certo come Dio... e, oggi, in riferimento al dialogo,
arrivano a sostenere: "Il dialogo ebraico-cristiano era giunto negli ultimi mesi
a un punto di crisi che sembrava insormontabile, intorno alla questione della
conversione degli ebrei. In un recente incontro tra Autorità rabbiniche e
Autorità episcopali italiane si è chiarito che non vi è nessuna intenzione da
parte della Chiesa Cattolica di operare attivamente per la conversione degli
ebrei e che di conversione si parla solo in una prospettiva escatologica".
[citazione dall'articolo di Morselli sopra indicato - cfr. Comunicato della CEI
riportato di seguito]
Conclusione
Certo non può esistere da parte della Chiesa -riguardo alla conversione che è un
dono legato alla libertà inviolabile di ognuno- alcun comportamento coercitorio
nei confronti di chicchessia, ebrei compresi; ma questo non significa che la
Chiesa debba rinunciare ad Annunciare il Signore a tutti, compresi gli
ebrei, che hanno tutta la libertà di continuare a rifiutarlo ed aspettare il
loro Messia, ma non quella di assimilarci a loro dopo aver annichilito
l'Incarnazione, il Sacrificio e la Risurrezione di Cristo con la connivenza
dell'apostasia ormai interna alla Chiesa!
(Maria Guarini)
Martedì 22 settembre 2009 - Card. Bagnasco incontra
rabbini Laras e Di Segni
Il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha
incontrato oggi i rabbini Giuseppe Laras, Presidente dell’Assemblea Rabbinica
Italiana, e Riccardo Di Segni, Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma. “Il
Cardinale – si legge in un comunicato diffuso dalla Cei - ha voluto porgere loro
gli auguri per l’inizio dell’anno ebraico pregandoli di estenderli a tutti gli
ebrei italiani”. Durante l’incontro il cardinale ha affrontato con i due rabbini
alcune questione rimaste “aperte” con la comunità ebraica in seguito alla
pubblicazione dell’“Oremus et pro Iudaeis”. A questo proposito il comunicato
afferma: Non c’è, nel modo più assoluto, alcun cambiamento nell’atteggiamento
che la Chiesa Cattolica ha sviluppato verso gli Ebrei, soprattutto a partire dal
Concilio Vaticano II. A tale riguardo la Conferenza Episcopale Italiana
ribadisce che non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la
conversione degli ebrei”. Nell’incontro di oggi, il cardinale ha anche
manifestato “la sua preoccupazione per quei focolai di antisemitismo e di
antigiudaismo che, di tempo in tempo, continuano ad apparire, ribadendo la
necessità di un'attenta vigilanza, auspicando che i legami già profondi tra le
due parti si stringano ancor più”.
“Con la crescita dell’amicizia e della stima reciproca – si legge nel comunicato
- sarà più facile sradicare quegli elementi che possono favorire atteggiamenti
antiebraici”. In base ai “chiarimenti intervenuti” durante l'incontro del card.
Bagnasco e dei due rabbini Laras e Di Segni, si è deciso di “comune accordo di
riprendere la celebrazione comune della
Giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio, che quest'anno non ha potuto vedere la
partecipazione degli ebrei. E’ stata comune la convinzione – si legge nel
comunicato - che la ripresa di tale Celebrazione aiuterà la comprensione
reciproca e renderà più fruttuosa la collaborazione per la crescita dell’amore
verso Dio e il prossimo. Il cammino compiuto in questi ultimi decenni è stato
straordinario e pieno di frutti per tutti. In tale orizzonte, quindi, continuerà
la riflessione sulle Dieci Parole, come Benedetto XVI aveva auspicato nella
sinagoga di Colonia”. L’anno prossimo, pertanto, per la Giornata di riflessione
si riprenderà il quarto comandamento, secondo la numerazione ebraica: “Ricordati
del giorno di Sabato per santificarlo”. “La fede nel Dio dei Padri, ricevuta in
dono – si è affermato al termine dell’incontro - rende responsabili i credenti
cristiani ed ebrei per l’edificazione di una convivenza basata sul rispetto
dell'Insegnamento di Dio”. [Non possiamo ignorare che il riferimento ai dieci
comandamenti gli ebrei lo fanno anche quando ne attribuiscono l'osservanza ai "noachidi".
Ricordiamoci che Noè non fa parte della Storia della Salvezza, che comincia con
Abramo, e che i noachidi sono tutti i non-ebrei compresi noi, mentre l'identità
che essi ancora sentono è quella del Popolo Sacerdotale al quale appartengono
l'Alleanza e le promesse. Mentre la Chiesa si profonde in questo riconoscimento,
altrettanto non può dirsi da parte loro nei confronti della Chiesa e dei
cristiani, che appartengono alla Nuova ed Eterna Alleanza per essi inconcepibile
e già rifiutata! - ndR].
Nota di InternEtica
Nessuno nega che gli ebrei vadano rispettati, amati e non perseguitati.
L'antisemitismo, la furia distruttrice contro un popolo è da condannare senza
riserve. Questo, sembra condiviso da ogni uomo di buona volontà prima ancora che
da un vero cristiano. Ciò premesso, dichiarazioni come questa della CEI nonché le altre
espressioni sul valore delle false religioni presenti nella
Nostra Aetate e le ulteriori posizioni
nei confronti degli ebrei non sono imposte con autorità infallibile. Si tratta
di posizioni "pastorali" ambigue e pericolosissime, in contrasto col Magistero
precedente, perché aprono la strada all'indifferentismo ed al relativismo
religioso e, peggio, al sincretismo. I guasti li abbiamo sotto gli occhi giorno
dopo giorno.
Rileviamo in particolare che l'impegno espresso con le seguenti parole: "non
è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli
ebrei" poteva esser preso da una sola persona che, nella Chiesa, gode di una
tale rappresentatività che presuma parlare per l'intera Chiesa, ed è il Papa.
L'irrevocabilità della predilezione appartiene al Nuovo Israele, cioè alla
Chiesa fuori della quale la vecchia Alleanza non ha più senso né fine. I rami
vecchi sono stati recisi, i nuovi sono innestati sul tronco dell'Israele di
Abramo che ha creduto nel Cristo venturo. La Legge antica non ha di per sé più
alcuna linfa ed i rami ed il tronco isteriliti potranno riavere vita solo
dall'innesto in Cristo. L'irrevocabilità della predilezione è qui e solo qui.
- Gli ebrei che rifiutano Cristo rifiutano la predilezione.
- Per tornare ad essere prediletti dovranno innestarsi nella nuova storia che
inizia e si perpetua con Cristo.
- L'unico soggetto della predilezione è la Chiesa. Gli ebrei increduli restano
fuori dall'irrevocabilità per loro scelta.
L'Antica Alleanza vive, nella parte in cui doveva ancor continuare a vivere
dopo la venuta di Cristo, nella Chiesa, Nuovo Israele, frutto della Nuova ed
Eterna Alleanza. Vivendo solamente nell'Antica Alleanza, la fede degli ebrei non
giustifica né salva, perché non è più la fede di Abramo e dei giusti che credettero nel Cristo venturo, né è quella di coloro che hanno accolto Gesù.
vedi anche:
:: Mons.
Brunero Gherardini - "Sugli ebrei, così serenamente"
:: G. Copertino - "Tra noi
e loro la pietra angolare non il negazionismo"
:: F. Colafemmina -
"Archivi e ipocrisie. L'antidefamation League e Pio XII"
:: Maria Guarini, Se non si esce dal
sepolcro. Il Papa allo Yad Vashem
::
La
preghiera per gli ebrei nella liturgia del Venerdì Santo
|
|
| |
| |