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Piccola agenda del nuovo
pontificato
Nel segno della continuità i cardinali hanno eletto Joseph Ratzinger come
successore di Giovanni Paolo II. Il cardinal Ratzinger ha preso il nome di
Benedetto XVI.
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Fresco d’elezione, papa Benedetto XVI ha
davvero il conclave alle spalle. Niente lo vincola più. Regole
severissime vietano ai suoi elettori di imporgli le decisioni da essi
volute o le nomine a loro gradite. Ed è questa una ragione in più
dell’attenzione spasmodica con cui tutti studieranno le sue prime mosse
come capo della Chiesa mondiale. Di colpo, davanti al nuovo papa si apre
un’agenda sterminata e tremenda, quella che Giovanni Paolo II gli ha
lasciato in eredità. Eccone un campione di voci, in ordine alfabetico.
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ASSISI. È simbolo indimenticabile del pontificato di Karol Wojtyla: i
rappresentanti delle religioni mondiali affiancati a pregare, nella città di
san Francesco. Ma è anche uno dei simboli più destabilizzanti: se ciascuna
religione è via di salvezza in se stessa, la Chiesa cattolica può chiudere
le sue missioni nel mondo per cessata ragione sociale. A correggere
quest’esito c’è la dichiarazione “Dominus Jesus” del 2000, che
riafferma la fede in Gesù Cristo unico salvatore di tutti gli uomini di ieri,
di oggi e di domani. Il nuovo papa proseguirà dunque nel dialogo
interreligioso, ma terrà fermissimi l’identità irriducibile del
cristianesimo e il comandamento di Gesù di predicare il Vangelo a tutti gli
uomini della terra. “Dalai Lama e musulmani compresi”, disse una volta il
cardinale Giacomo Biffi.
CINA. Per la Chiesa di Roma rappresenta un allarme doppio. Il primo è
l’assenza di libertà per i milioni di cristiani cinesi, siano essi
clandestini o appartenenti alla Chiesa “patriottica” messa in piedi dal
regime. Non solo Giovanni Paolo II non ha potuto metter piede in Cina, ma
nemmeno è riuscito ad aver garantita la facoltà di nominare i vescovi. Con
le autorità di Pechino il Vaticano s’è fin qui mosso come fece con
l’impero sovietico negli anni più bui, come allora con scarsissimi
risultati. La differenza è che per il gigante Cina non è in vista alcun
crollo. Anzi. La sua ascesa come potenza mondiale sfiderà la fede cristiana
ancor più di quanto faccia l’islam. Ed è il secondo allarme di cui il
nuovo papa dovrà tener conto. Il credo musulmano risveglia per contraccolpo
l’identità cristiana. La religiosità cinese no. Priva com’è di una fede
in un Dio personale, può incoraggiarne lo spegnimento.
CURIA. È il braccio esecutivo del papa. Giovanni Paolo II se ne prese
cura pochissimo, e il governo ordinario della Chiesa ne soffrì parecchio. Ma
dopo un pontificato carismatico come il suo, fatto di spettacolari gesti
simbolici, è naturale che il successore riprenda in pugno con più continuità
il timone dell’istituzione. Tra un papa e l’altro i capi dei dicasteri di
curia decadono. Le prime vere nomine, dopo le iniziali riconferme di routine,
saranno il test di come il successore intende costruire la sua nuova squadra
di governo.
DEMOCRAZIA. Dentro la Chiesa e fuori. Dentro, propriamente, ha il nome
di collegialità. Ed è il particolare equilibrio che intercorre tra il
primato del papa e il collegio dei vescovi. Giovanni Paolo II ha assunto quasi
sempre da solo, e contro il parere di tanti, le sue principali decisioni. Ogni
uno o due anni convocava un sinodo dei vescovi di tutto il mondo, ma poi, di
nuovo, decideva da sé. Il prossimo sinodo, già convocato, è in agenda per
ottobre e dal nuovo papa molti si aspettano che ne accresca il peso
decisionale. Un diverso equilibrio tra papa e vescovi è anche un passo
obbligato per avvicinare la Chiesa cattolica alle Chiese separate protestanti
e ortodosse. Quanto alle democrazie come sistemi politici, papa Karol Wojtyla
ne ha denunciati e affrontati i “subdoli totalitarismi”.
Soprattutto le leggi che toccano la vita umana dal nascere al morire saranno
terreno minato anche per il suo successore.
DONNE. Sulle donne prete Giovanni Paolo II ha calato un veto totale,
valido anche per i papi futuri e formulato con le parole delle proclamazioni
infallibili “ex cathedra”. Ma a prescindere dagli ordini sacri, per le
donne nella Chiesa lo spazio è apertissimo, in teoria. Nella pratica si vedrà.
A Pechino, alla conferenza internazionale sulla donna indetta dall’Onu nel
1995, a capo della delegazione vaticana c’era una donna, l’americana Mary
Ann Glendon dell’università di Harvard. [cfr. Lettera
alle donne di Giovanni Paolo II e la successiva Lettera
ai Vescovi sulla collaborazione di uomini e donne nella Chiesa e nel mondo
a firma dell'allora Card. Ratzinger]. Su questo terreno il nuovo papa è atteso alla prova e sarà giudicato
da un’opinione pubblica molto esigente; ma è prevedibile che anche qui
riserverà delle sorprese.
EBREI. Papa Karol Wojtyla ha compiuto gesti straordinari di
riconciliazione con l’ebraismo. Benedetto XVI ha il non meno difficile
compito di renderli pratica costante della Chiesa nel suo insieme. La
discussione pubblica che c’è stata negli ultimi anni sulle radici
“giudaico-cristiane” dell’Europa un piccolo effetto collaterale l’ha
avuto, in questo senso: ha contribuito a diffondere l’idea che l’ebraismo
non è per i cristiani un’altra religione, ma il fondamento della loro fede,
da essa indissociabile, così come nella Bibbia l’Antico Testamento fa
tutt’uno col Nuovo. A complicare tutto c’è però l’Israele politico. Il
segretario di stato che il nuovo papa sceglierà e la linea che il Vaticano
adotterà in Medio Oriente incideranno anche sulla pacificazione religiosa tra
cristiani ed ebrei.
EUROPA. Benedetto XVI entra in carica fresco di sconfitta: il mancato
riconoscimento delle radici giudaico-cristiane dell’Europa, nel preambolo
della nuova costituzione dell’Unione. Ma la Chiesa stessa non appare in
buona salute, nel Vecchio Continente. In molte nazioni del Centroeuropa, in
Spagna, in Polonia, gli indici di adesione alla Chiesa sono in calo, qua e là
molto netto. L’unica nazione in controtendenza è l’Italia. Il nuovo papa
avrà molto da faticare per risalire la china.
GIOVANI. Il prossimo agosto è in calendario a Colonia la Giornata
Mondiale della Gioventù, col papa atteso nel momento culminante. I precedenti
meeting sono stati invenzione personalissima di Giovanni Paolo II e ne è nata
una tipologia collettiva di giovani, i “papaboys”, fortemente legata alla
sua persona. Benedetto XVI dovrà rapidamente decidere se imitare su questo
punto il suo predecessore, oppure introdurre delle varianti, oppure archiviare
le adunate giovanili di massa. Andando alla sostanza, dovrà soprattutto
studiare come assicurare la trasmissione della fede cristiana da una
generazione all’altra, in un ambiente culturale largamente scristianizzato.
HUMANAE VITAE. L’enciclica di Paolo VI del no ai contraccettivi
artificiali ha prodotto uno dei punti di rottura più forti degli ultimi
decenni tra il magistero papale e la pratica dei fedeli. Ma oggi il centro
focale della predicazione della Chiesa si è spostato: più che la pillola e
il preservativo, a concentrare l’interesse della Chiesa è la difesa della
vita di ogni nuovo nato, a partire dall’istante del concepimento. Il
risultato è che anche ai vertici della Chiesa si è ripreso pacatamente a
discutere il veto dell’”Humanae Vitae”: come non definitivo né rigido
ma aperto a future correzioni. Il cardinale Georges Cottier, teologo ufficiale
della casa pontificia, ha dato un primo segnale autorevole di svolta un mese
prima che Giovanni Paolo II morisse: ammettendo l’uso del preservativo a
difesa dall’Aids, in casi speciali accuratamente descritti. Il nuovo papa è
possibile che faccia ulteriori passi nella stessa direzione.
INDIA. L’immenso paese di Gandhi è terra di frontiera importante per
la Chiesa nell’Asia, e preoccupa il papato di Roma per almeno tre motivi. Il
primo è che i cristiani che vi abitano sono spesso vittima delle aggressioni
dell’estremismo induista e dell’intolleranza delle stesse leggi civili,
che in molti stati vietano e puniscono pesantemente il proselitismo, ossia
l’azione missionaria della Chiesa. Il secondo timore è legato alla
prevedibile ascesa dell’India come grande potenza. Il contatto tra
l’Occidente cristiano e la cultura e la religiosità indiane, marcatamente
politeiste e inclusive, invece che rafforzare l’identità cristiana
tenderanno a depotenziarla e ad assorbirla, analogamente a quanto si teme
avverrà a contatto con la cultura della Cina. La terza preoccupazione è più
interna. Ampi strati della Chiesa cattolica dell’India, compresi alcuni
vescovi, propugnano un’idea di dialogo tra cristianesimo e induismo che
mette alla pari le due religioni e quindi svuota di senso il proposito di
battezzare nuovi cristiani, dato che agli induisti basta già la loro fede. La
“Dominus Jesus”, che ribadisce che Cristo è l’unica via di salvezza per
tutti, è stata scritta anche per reazione a quanto avviene in India.
Benedetto XVI dovrà decidere quali conseguenze pratiche trarre.
ISLAM. Agli attacchi sferrati dall’islamismo estremista contro la
cristianità e l’Occidente, la Chiesa di Roma ha sin qui reagito con molta
cautela. Tra le sue finalità prime c’è quella di proteggere le minoranze
cristiane nei paesi musulmani. E tra i mezzi adottati ci sono quelli del
dialogo amichevole con esponenti islamici anche radicali e dell’accettazione
realista delle dittature che dominano in molti di quei paesi. Questa linea,
tuttavia, ha prodotto risultati deludenti ed è sempre più in discussione. Il
nuovo papa dovrà necessariamente andare oltre il gesto simbolico compiuto da
Giovanni Paolo II con la sua visita alla Grande Moschea di Damasco. Sia sul
terreno religioso che su quello geopolitico.
LITURGIE. Le grandiose celebrazioni di massa care a papa Wojtyla non
potranno essere ripetute tali quali dal suo successore. E questo modificherà
la percezione visiva della Chiesa che i media mondiali trasmetteranno. Un
altro nodo critico, ancor più importante, riguarda il modo di celebrare la
messa in tutte le chiese piccole e grandi del mondo, atto centrale del culto
cristiano e parametro classico sul quale si misura l’adesione dei fedeli
alla Chiesa. Il prossimo ottobre un sinodo mondiale dei vescovi discuterà
assieme al nuovo papa proprio su questo. A giudizio di molti, le novità
introdotte nei sacri riti dopo il Concilio Vaticano II si sono concretizzate
in forme in parte devianti, che hanno a loro volta influito negativamente sui
contenuti e le pratiche della fede. Le decisioni che il sinodo e il papa
prenderanno per riqualificare la celebrazione della messa saranno quindi
decisive nel rimodellare il volto concreto della Chiesa nei prossimi anni e
decenni. La musica e l’arte sacra fanno parte integrante di questo capitolo
dell’agenda.
MEA CULPA. Le riserve che hanno sempre accompagnato, ai vertici della
Chiesa, le richieste di perdono pronunciate da Giovanni Paolo II per le colpe
della cristianità nella storia fanno prevedere che Benedetto XVI si
distaccherà su questo punto dal predecessore. L’interessante sarà vedere
come. Un’ipotesi da molti auspicata è che il nuovo papa concentri
l’attenzione sulle colpe dei cristiani d’oggi, e per queste chieda
perdono. La differenza è sostanziale. Il passato può essere bollato
d’infamia, ma non più modificato. Il presente sì. Un “mea culpa”
relativo al presente sarebbe vuota retorica se non accompagnato da atti di
effettiva riforma, nei campi che il nuovo papa riterrà prioritari.
PACE. All’opposto di tanti giudizi correnti, Giovanni Paolo II non fu
affatto un pacifista. Approvò lo spiegamento dei missili nucleari in Europa
contro la minaccia sovietica; disapprovò la prima guerra del Golfo; ingiunse
di “disarmare l’aggressore” che infieriva contro la Bosnia; si dissociò
dai bombardamenti di Belgrado; appoggiò l’intervento militare in
Afghanistan; contrastò la seconda guerra in Iraq; definì infine “operatori
di pace” i soldati rimasti in quello stesso paese a dar sicurezza alla
nascente democrazia. E ancora: ha beatificato Marco d’Aviano, la guida
spirituale della difesa di Vienna dall’assalto ottomano, fino alla
“vittoria di Dio”. Insomma, il penultimo papa ha lasciato in eredità un
modello d’iniziativa geopolitica molto dinamico, ma perfettamente in linea
con la dottrina classica della Chiesa sulla guerra. È impensabile che il
successore se ne distacchi.
RUSSIA. Il fatto che il nuovo papa non venga più dalla Polonia,
avversaria storica di Mosca, ha rimosso un grosso ostacolo. Ma il veto che ha
impedito a Giovanni Paolo II di metter piede in Russia resta lontano dal
cadere. I perché li ha ridetti con parole quasi brutali il patriarca
ortodosso di Mosca, Alessio II, in un’intervista pubblicata dieci giorni
dopo la morte di papa Wojtyla. Il suo primo capo d’accusa riguarda la
campagna di conversioni in Russia con la quale vescovi e preti della Chiesa di
Roma porterebbero via i fedeli alla Chiesa ortodossa. E il secondo riguarda la
Chiesa cattolica di rito orientale dell’Ucraina, vista da Mosca come un
patriarcato rivale proiettato alla conquista di un territorio storicamente
ortodosso. Benedetto XVI avrà molta difficoltà a tranquillizzare il
patriarca di Mosca, soprattutto sulla questione dell’Ucraina. Qui, infatti,
il papa si troverà sottoposto a due fortissime pressioni uguali e contrarie:
quella di Mosca e quella della potente Chiesa cattolica ucraina, forte di
milioni di fedeli.
SANTI. Una prima decisione di Benedetto XVI riguarderà proprio il
predecessore: se dar corso o no a un suo processo di beatificazione
accelerato. Ma poi, più in generale, egli dovrà decidere se porre un freno,
e come, al ritmo frenetico di proclamazioni di nuovi santi e beati inaugurato
da Giovanni Paolo II: che da solo ne ha portati agli altari più di tutti i
papi degli ultimi quattro secoli sommati, da quando cioè le cause di santità
hanno preso la forma canonica oggi in uso.
SCOMUNICHE. Il pontificato di Giovanni Paolo II è stato uno dei più
miti, sotto questo profilo. Tra i professori di teologia, il solo che incorse
in una temporanea scomunica fu un oscuro sacerdote dello Sri Lanka, Tissa
Balasuriya, reo d’aver negato la verginità di Maria e d’aver dubitato
della divinità di Gesù, ma poi ravvedutosi e perdonato. L’unica grossa
scomunica, tuttora in vigore, per la quale papa Wojtyla è passato alla storia
è quella comminata nel 1988 contro il vescovo supertradizionalista Marcel
Lefebvre e i suoi seguaci. I tentativi di riportare i lefebvriani all’ovile
sono in corso da anni e il nuovo papa farà sicuramente altri sforzi per
sanare la piaga.
VESCOVI. La Chiesa cattolica si regge sul papa e sui vescovi. Ma questi
ultimi, già messi sotto choc da uno straripante Giovanni Paolo II, patiscono
da qualche tempo un vincolo in più: quello delle conferenze episcopali
nazionali. Alcune di queste, specie nel Centroeuropa e nel Nordamerica, sono
diventate negli ultimi decenni macchine burocratiche ipertrofiche, che
producono commissioni e documenti in dosi sempre più massicce e il più delle
volte inutili. Se vorrà riprendere in pugno il governo ordinario della
Chiesa, tanto trascurato dal predecessore, Benedetto XVI dovrà incidere col
bisturi in queste nuove burocrazie ecclesiastiche. I suoi migliori alleati
saranno i vescovi migliori.
VITA. È parola entrata nel titolo delle encicliche più famose e
discusse di Paolo VI e di Giovanni Paolo II: l’”Humanae Vitae” del 1968
e l’”Evangelium Vitae” del 1995. Ma anche per Benedetto XVI sarà parola
capitale. Anzi, lo sarà ancora di più, perché nel frattempo le bioscienze
hanno fatto passi giganteschi e sono diventate il nuovo verbo della modernità.
Verbo onnipotente, perché non solo interpreta l’uomo, ma decide su di esso,
e lo trasforma, e si appropria della sua stessa generazione. Teologia e
filosofia, politica e diritto, fede e costume: tutto entra in gioco. Per la
Chiesa è la sfida del secolo e il nuovo papa lo sa.
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