Scendete in strada, cristiani di banlieue
Da Parigi Martine De Sauto
A un mese dalle violenze che hanno incendiato Parigi, il bilancio di Guy
Gilbert, prete ed educatore dei ragazzi «difficili»: «I credenti delle periferie devono darsi da fare, i
giovani non possono diventare padroni della strada! Organizzatevi per
sorvegliare scuole ed edifici pubblici, ma mettetevi anche a
disposizione delle associazioni che lottano per gli emarginati»
Da più di trent'anni Guy Gilbert, educatore e prete
di frontiera nelle periferie francesi, fa i conti con la violenza dei
giovani. Prete «di strada» conosciutissimo oltralpe grazie ai suoi
numerosi libri (In Italia alcuni sono stati pubblicati da San Paolo ed
Elledici) e alle trasmissioni radio e tv cui partecipa, ha appena
festeggiato i 40 anni di sacerdozio ricevendo anche la «Legion
d'onore» dal presidente francese. A un mese dagli scontri nella
banlieue parigina, Gilbert traccia un bilancio di quegli scontri che
hanno fatto interrogare tutt'Europa.
La morte di due ragazzi fulminati dopo essersi introdotti in un
trasformatore elettrico a Clichy-sous-Bois ha scatenato un'esplosione di
violenza. Conosce qualcuno che ha preso parte a quelle notti di
devastazione?
«Ho incontrato giovani che hanno incendiato delle auto. Non fanno
delle analisi. Dicono solo di non volersi lasciar manipolare. Le
generazioni precedenti manifestavano la loro rabbia, ma nulla è
cambiato. Loro vogliono andare oltre. Non hanno, e lo ripetono, nulla da
perdere. I più facinorosi, le teste calde dello scontro armato, in gran
parte d'origine africana e magrebina, si sentono esclusi da tutto, in
una società che li rifiuta. Semianalfabeti, sanno che li aspetta la
disoccupazione, il carcere o l'ospedale psichiatrico. Non hanno più
speranza di uscirne. La violenza è per loro l'unica forma
d'espressione. Incendiano le scuole, che non sono loro servite a nulla,
e si accaniscono contro le auto perché sentono che potranno mai uscire
dalla città».
I cristiani hanno un compito particolare da svolgere?
«I cristiani che vivono in quei quartieri, o nelle vicinanze,
devono scendere in campo. I giovani non possono diventare padroni della
strada! Il loro parlare non è un diktat. Bisogna organizzarsi per
vegliare sulle scuole e proteggere gli edifici pubblici. Bisogna
mettersi a disposizione delle associazioni che lottano contro la miseria
dei giovani emarginati. I cristiani devono inoltre mettere
incessantemente in guardia politici e autorità sulle gravi carenze
responsabili dell'emarginazione. Le belle prediche non servono a nulla.
Il ritardo è tale che non sarà recuperabile in pochi mesi. I giovani
non possono aspettare. Servono dei segnali, e alla svelta. Bisogna che
la scuola dia loro un'opportunità. Che nelle città torni la polizia di
quartiere. Che a quei giovani si offrano posti di lavoro. Che cambi il
luogo in cui vivono. Non basta sostituire un ascensore o imbiancare la
scala di un condominio. Occorre ripensare l'alloggio e lo spazio
urbano».
Ma cosa si può dire a giovani completamente allo sbando? Come
intercettarli?
«Quei giovani hanno conosciuto solo rifiuto, odio ed esclusione.
Sono i più poveri tra i poveri. Parlarne come di canaglie è dar prova
di disprezzo. Non bisogna aver paura di andare verso di loro. Non
saranno loro a venirci incontro. E bisogna avere il coraggio di stare
accanto a quei ragazzi fino in fondo. Ci vuole un amore immenso.
Migliaia di gesti di attenzione, di ascolto e di rispetto saranno un
eccellente antidoto alla loro sofferenza e violenza. Credere in Gesù
Cristo significa agire e non perdersi in chiacchiere o pensare solo a
proteggersi come fanno i ricchi. Lui ci ha lasciato le beatitudini:
beati i miti, beati gli affamati e gli assetati di giustizia, beati i
misericordiosi… La gioia delle beatitudini può spezzare tutte le
croci».
Come fa a vivere ogni giorno accanto a tanta violenza?
«Grida d'angoscia, povertà insondabili, violenza, odio a fior di
pelle sono la mia quotidianità. Ovunque mi trovi, in Provenza,
all'ovile del Falcone che ho ristrutturato per accogliervi i peggiori
delinquenti che vi mandano i giudici, nelle città dove tengo
conferenze, o di notte in strada con i giovani che ho aiutato e per i
quali sono diventato un confidente, non posso sfuggirvi. Sul piano
umano, quello che vivo è distruttivo, logorante, talvolta terribilmente
difficile. E io sono come tutti : mi porto dietro la mia povera
umanità, con i miei difetti e i miei limiti. Se non ci fosse quel
cristallo straordinario, la luce folgorante della Resurrezione che
scorgo di tanto in tanto attraverso la testimonianza di un giovane che,
nonostante un percorso spaventoso, finisce per uscire dal fango, non ce
la farei. Credo davvero che solo una grazia potente mi abbia aiutato a
farcela fino ad oggi, per farmi carico di esseri spesso esausti. Medito
spesso questo brano di san Paolo: "Mi vanterò quindi volentieri
delle mie debolezze, perché si stenda su di me la potenza di Cristo. Mi
compiaccio quindi delle infermità, degli oltraggi, delle necessità,
delle persecuzioni, delle angustie, a motivo di Cristo; perché quando
sono debole, allora sono forte" (2 Cor 12, 9-10). Mi dà pace e
conforto».
(per gentile concessione del quotidiano «La Croix» traduzione di Anna
Maria Brogi)
[Fonte: Avvenire 14 dicembre 2005]
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