“Il
Vescovo di Roma deve assicurare la comunione di tutte le Chiese. A
questo titolo, egli è il primo tra i servitori dell'unità dei
cristiani”. È uno dei passaggi fondamentali dell’enciclica di
Giovanni Paolo II Ut Unum
Sint. Un impegno, quello ecumenico, che il Santo Padre ha
perseguito instancabilmente lungo tutto il suo Pontificato.
Unità, unità per il popolo cristiano.
Fin dai primi passi del suo Pontificato, Giovanni Paolo II sente il
bisogno di spendere ogni energia per la piena comunione delle chiese
cristiane. Ad un solo un anno dall’elezione alla Cattedra di Pietro,
il Papa vola ad Instanbul per incontrare il Patriarca ecumenico di
Costantinopoli, Dimitrios I. Un viaggio apostolico - spiegherà Papa
Wojtyla - volto a “testimoniare” la “ferma volontà di andare
avanti sulla strada che conduce alla piena unità di tutti i cristiani”.
Tre anni dopo, evento senza precedenti, è in Gran Bretagna per
incontrare il primate anglicano Robert Runcie. È il 29 maggio del
1982 quando Giovanni Paolo II e l’arcivescovo di Canterbury firmano
una dichiarazione comune.
Il Pontefice guarda con
viva speranza alle Chiese ortodosse orientali, “Chiese sorelle”
nel cuore del Papa polacco. Nel 1985, dedica ai Santi Cirillo e
Metodio, evangelizzatori dei popoli slavi, l’enciclica Slavorum
Apostoli. L’oriente e l’occidente dell’Europa, avverte
profeticamente, sono i “due polmoni” con i quali la Chiesa e il
Vecchio Continente devono riprendere a respirare. Caduto il Muro di
Berlino, il Papa convoca un sinodo speciale per l’Europa ed invita
delegati fraterni delle altre Chiese a parteciparvi. Solo il
Patriarcato di Costantinopoli risponde all’appello.
Il Santo Padre,
tuttavia, non si scoraggia. Nel 1995 ad Olomuc, nella Repubblica Ceca,
chiede perdono, a nome di tutti i cattolici, per i torti inflitti ai
fratelli cristiani. In quell’anno firma anche la lettera
apostolica Orientale Lumen, quasi un atto d’amore del
Papa slavo per l’eredità culturale e liturgica della cristianità
orientale. Ma il 1995 è soprattutto l’anno dell’enciclica Ut
Unum Sint. In questo documento, Giovanni Paolo II arriva a
chiedere ai cristiani ortodossi e riformati un aiuto nella riflessione
su una nuova modalità di esercizio del primato petrino. E nel
dicembre dell’anno seguente accoglie come un fratello il Catholicos
di tutti gli Armeni, Karekin I:
“Oggi, pertanto, io
accolgo un fratello che ritrovo nella carità e nella gioia. Guidati
dalla profonda comunione che già ci unisce, il Catholicos Karekin ed
io nutriamo la speranza che gli incontri e gli scambi di questi giorni
favoriranno ulteriori passi verso la piena unità”.
Solo una settimana
prima, il Papa aveva ricevuto in Vaticano l’arcivescovo di
Canterbury, George Carey. Quello di Giovanni Paolo II è uno sforzo
contrassegnato da gesti e parole coraggiose, nella convinzione che il
cammino ecumenico debba basarsi innanzitutto sulla “conversione
del cuore” e la “purificazione della memoria”. Una strada -
ricorda il Pontefice - tracciata dal Concilio Vaticano II su cui la
Chiesa deve camminare sicura:
“Per grazia dello
Spirito Santo, con il Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica si è
impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca
ecumenica”.
Anche con i luterani,
nel Pontificato di Papa Wojtyla, vengono compiuti passi importanti
verso l’unità. E’ il 31 ottobre del 1999: ad Augsburg viene
firmata la Dichiarazione congiunta tra la Chiesa cattolica e la
Federazione Luterana Mondiale sulla dottrina della giustificazione
della fede. Questo documento - spiega il Papa - è un “contributo
prezioso alla purificazione della memoria storica ed alla
testimonianza comune”. Nell’ultimo secolo - evidenzia il Papa in
un altro frangente - si sono compiuti passi incoraggianti sulla via
dell’ecumenismo:
“Il nostro secolo ha
visto poi germogliare e crescere il seme del movimento ecumenico nel
quale lo Spirito Santo ha convogliato i membri delle diverse chiese e
comunità ecclesiali a ricercare le vie del dialogo per il
ristabilimento della piena unità”.
Nel maggio 1999 è in
Romania per lo storico abbraccio con il Patriarca Teoctist. Pochi mesi
dopo, nell’Anno del Grande Giubileo, Giovanni Paolo II scrive una
delle pagine più luminose del suo Pontificato. È il 18 gennaio, il
Papa stanco e indebolito apre la Porta Santa della Basilica di San
Paolo Fuori le Mura. Con
lui, il metropolita Athanasios e l’arcivescovo di Canterbury,
Carey. Nell’omelia, Papa Wojtyla invoca, dal profondo dell’animo,
l’unità dei cristiani:
“Unitate, unitate”:
questo grido che ho sentito in Bucarest durante la mia visita mi
ritorna con forte eco. “Unitate, unitate”, chiama il popolo
raccolto durante la celebrazione eucaristica. Tutti i cristiani,
cattolici, ortodossi, protestanti, evangelici, tutti chiamano insieme:
“Unitate, unitate”! Grazie per questa voce consolante dei nostri
fratelli e sorelle”.
Tra i rimpianti di
Giovanni Paolo II, instancabile promotore dell’unità dei cristiani,
c’è la mancata visita in Russia. Caduto il veto dell’Unione
Sovietica, il Papa troverà l’opposizione del Patriarcato ortodosso
di Mosca. Ma anche in questo contesto, il Santo Padre non mancherà di
compiere gesti di riconciliazione: il 28 agosto del 2004 viene
consegnata ad Alessio II l’icona
della Madre di Dio di Kazan, venerata con particolare devozione
dagli ortodossi. Fino agli ultimi momenti del suo Pontificato,
Giovanni Paolo II si impegna e chiede impegno per la comunione dei
fedeli in Cristo:
“Invito le comunità
cristiane a vivere intensamente questo annuale appuntamento
spirituale, che ci fa pregustare, in un certo modo, la gioia della
piena comunione”.
Quando il Pontefice
pronuncia queste parole è il 23 gennaio del 2005, inizio della Settimana
per l’Unità dei cristiani. “Si fa sempre più chiara –
afferma in quell’occasione Giovanni Paolo II – la consapevolezza
che l’unità è in primo luogo un dono di Dio da implorare senza
stancarsi nell’umiltà e nella verità”. E ancora una volta, il
Papa del Totus Tuus invoca Maria, Madre della Chiesa, per
superare ogni ostacolo ed ottenere quanto prima il dono dell’unità
dei cristiani.