Crisi della Chiesa:
oscuramento del 'Verbum' e quindi della 'Imago' e
dell'azione che proviene dalla conoscenza e dall'adesione
del cuore
"...Magari non li fermerete e non si faranno convincere dal
vostro caritatevole zelo ma almeno avrete dato
testimonianza! Oggi dobbiamo testimoniarlo non solo attraverso la
fede in Lui, ma anche attraverso l'amore per le
forme con cui la fede deve esprimersi. Se il
contenitore è infatti deforme, conterrà anche una
fede deforme, ne sarà espressione conseguente. Ecco
dunque la necessità che noi semplici laici, senza
una cattedra e senza galloni o mozzette, ci
riappropriamo della bellezza, dell'ordine e
dell'armonia delle nostre chiese. Alla fine, ne sono
certo, anche se saremo sconfitti, il Signore ci
sorreggerà e la nostra fede si riscoprirà più viva e
meno assonnata. E forse anche combattendo capiremo
il perché della crisi che la Chiesa attraversa oggi
e delle ragioni per cui è diventato così complicato
riuscire a incontrare il mistero e a gioire del
bello e del vero nei nostri amati luoghi sacri." Oscuramento del 'Verbum' e, quindi, dell'Imago'
Francesco indirizza il suo impegno soprattutto
sull'arte sacra, che in questo nostro tempo sta
dando segni di profonda decadenza, anzi di vera e
propria eclissi del "Bello e del Vero". E non
potrebbe essere diversamente dal momento che essa
segue la sorte di tutte le espressioni dell'uomo in
questa civiltà frammentata e nichilista, patria del
liberismo selvaggio che soffoca ogni Bellezza e
armonia perché, tramontato col relativismo il
principio di Verità, le relazioni umane risultano
basate sul
principio dell'utilità o, ancor peggio,
dell'utilitarismo. Diretta conseguenza del fatto
che, se viene oscurato il 'Verbum', l''Imago', che è
l'espressione visibile della Verità e della
Bellezza, anch'essa viene eclissata. E questo, come
abbiamo ripetutamente dimostrato, incide sui
comportamenti e non resta senza conseguenze sulla crescita (oppure sulla
involuzione) spirituale delle
persone e delle strutture che esse animano.
La VERA azione parte dalla conoscenza e non viceversa
Il nostro
difendere la Dottrina non è segno di giuridismo o
tradizionalismo come sterile attaccamento al passato
e segno di chiusura ad ogni novità; ma autentica e
consapevole apertura al Signore che "fa nuove tutte
le cose" e, quindi al rinnovamento ed al sempre
ulteriore disvelamento -Nova et Vetera insieme-
della Tradizione Apostolica, senza contaminazioni da
parte di falsi profeti, cattivi maestri e
suggestioni neo-protestanti figlie del
neo-modernismo e relativo "falso archeologismo
liturgico" condito di giudaizzazioni di vario
genere che, col pretesto del ritorno al passato,
rinnega una tradizione arrivata fino a noi da due
millenni di generazioni di credenti.
Rinnovamento
pastorale o rifondazione?
Mi trovo a pensare sempre più spesso e con sempre
maggiori elementi di riscontro, che
cercheremo di
approfondire ulteriormente in base ad esempi
concreti, che il concilio vaticano II, col suo
definirsi Pastorale e non Dogmatico, ha in realtà
determinato nuovi comportamenti nella prassi
ecclesiale che hanno inciso sulla formazione di una
fede avulsa dal dogma e quindi dalla Verità. Di
fatto una realtà come il cammino NC, non avrebbe mai
potuto trovar posto nella Chiesa senza le falle
introdotte dallo "spirito conciliare" che,
a quanto appare, risulta ben attento a non toccare uno iota
della Verità, ma solo nelle parole -se pure con
qualche eccezione rivelativa che non intacca il
dogma in quanto mai proclamata solennemente- e con
una prassi generalizzata non coerente e di segno
opposto.
Infatti, se le parole e le proposizioni conciliari e
post-conciliari (ad esclusione degli abusi resi
possibili dall'introduzione del Novus Ordo Missae)
sembrano nelle grandi linee non allontanarsi dalla
Verità e dal Dogma che la garantisce e la custodisce
nel fluire dei secoli, in realtà la Chiesa (o più
esattamente buona parte di quella visibile) sembra
essersene allontanata attraverso la prassi nei fatti, nella liturgia in
primis, che è la fonte e il culmine della fede e
che 'forgia' le anime e le coscienze e
ne determina gli atteggiamenti interiori e i
conseguenti comportamenti nei confronti di Dio,
degli altri e delle cose. Occorrerà poi dire
qualcosa di più, approfondendo il malinteso senso
del dogma veicolato dagli spirito-del-concilio-dipendenti.
Dobbiamo constatare,
quindi, che oggi ci troviamo nello svolgersi di una
rivoluzione copernicana tanto più
dannosa quanto ingannevole e subdolamente travestita
da rinnovamento secondo i segni dei tempi,
certamente auspicabile e necessario, ma che non può
mai essere autentico rinnovamento se staccato dai
fondamenti portanti e dalle Radici, cioè dalla
Tradizione Perenne.
Questa rivoluzione, che sembra corrispondere ad una
'rifondazione' piuttosto che ad un semplice
'rinnovamento' e che coinvolge la Chiesa
post-conciliare rischiandone la vera e propria
mutazione genetica, ha le sue 'spinte' nel mondo,
che la Chiesa ha smesso di giudicare per
trasfigurarlo in Cristo e dal quale si è lasciata
contaminare per effetto di un malinteso senso del
dialogo. il dialogo ad ogni costo. Il dialogo per se
stesso non è che un nuovo idolo che allontana dalla
Verità e, quindi, dalla propria identità che è
quella del Figlio, Verbum
et Imago Dei.
Un grande inganno a
questo riguardo è la dichiarata pretesa di
trasfigurare il male accogliendolo, che elude il
compito di ri-conoscerlo e quindi rifiutarlo,
vincendolo col Signore e nel Signore sulla Croce, ineludibile
'passaggio' per essere introdotti nel mondo della
Risurrezione. Il Signore non è entrato in dialogo
col mondo e non ha recepito le istanze del mondo; ma
ha predicato e si è fatto Salvezza NEL mondo SE e
PER CHI accoglie LUI. Il Signore non ha incarnato il
male per trasfigurarlo, si è incarnato assumendo la
natura umana ma non il peccato, che ha preso su di
Sé per vincere, sulla Croce, il male che ne è
all'origine. Ma oggi parole come Redenzione ed
Espiazione appaiono espunte dal lessico cattolico...
Noi non dobbiamo accogliere o
prendere sul serio le critiche infarcite di menzogna
per trasfigurarle, così come la Chiesa non può
accogliere nel suo seno realtà che hanno bisogno di
'purificazione' senza preoccuparsi che siano
purificate (se le accoglie è la Chiesa che
si trasfigura, o meglio, viene sfigurata). Nostro
compito è distinguere quel che è menzogna e
respingerlo e vincerne le radici in Cristo. "Può
esserci intesa tra Cristo e Belial?".
Relazione tra
Verità e dogma
Per queste ragioni, si impone di ripristinare
nell’insegnamento -e nella Liturgia- la forma
più perfettamente caritatevole che ci sia
offerta da Dio, ossia la forma dogmatica,
adeguatamente divulgata secondo i linguaggi di
oggi. Ricordiamo il motto di sant’Ignazio d’Antiochia:
«La fede è il principio, la Verità il fine»;
solo la Verità può portare all’unità che è il
fine vero e ultimo dell’insegnamento, specie con
la Chiesa pregressa, cioè con la Tradizione, con
la memoria dell’essere, da quasi cinquant’anni
in grave pericolo». Questa unità potrà
ritrovarsi solo «col fuoco del dogma».
Ed il "dogma", espressione e veicolo della
Verità, non può mutare - come la stessa Verità è
Una e non mutevole - a seconda delle mode del
tempo. La Verità non si evolve insieme all'uomo,
come ci ha fatto e ancora vorrebbe farci credere
l'antropocentrismo imperante, che si è sganciato
dalla Trascendenza e sembra aver espulso il
Soprannaturale, ed è rispecchiato
Ciò che cambia e si evolve -ricordiamo
che un cambiamento
può produrre sia evoluzione che involuzione,
oscuramento- è la nostra 'conoscenza'(2) della
Verità, cioè la nostra consapevolezza e la
nostra percezione della Verità, che è solo ciò
che di essa di tempo in tempo riusciamo a
conoscere ed a vivere. È questa che si modifica ed evolve in base alle
esperienze ed ai rapporti intessuti col Signore con le
persone e con la realtà e, quindi, essa sola può
essere forgiata in un fluire dinamico e non
cristallizzarsi in forme rigide e difficilmente
mutabili come nel caso del sapere libresco e di
quello ideologico.
Allo stato attuale
delle cose, attendibilmente per un malinteso
rifiuto dell'Autorità di conio tutto
sessantottino e modernista, si è voluta
abbandonare la stella polare della Rivelazione
Apostolica, integra e fedelmente trasmessa nella
Tradizione perenne, per sperimentazioni,
strategie, cosiddetti "nuovi linguaggi" che, con
il pretesto del 'dialogo' con il mondo e di un
falso ecumenismo, ne hanno
introdotto nella Chiesa le contaminazioni, di fatto
infangandola e sfigurandone il volto, col
risultato di diluirne e il rischio serio di
dissolverne le funzioni e l'originaria identità.
Il Concilio sembra
sia
stato solo un pretesto per buttare il passato
alle ortiche e così molti consapevolmente e
molti altri mossi da un ingannevole ottimistico
entusiasmo ispirato alle "magnifiche sorti e
progressive...", si sono sentiti liberi di
re-interpretare tutto alla luce del loro Io (o
delle proprie tendenze, più che della Verità
custodita dalla Chiesa). I documenti conciliari
non sono stati scritti secondo il linguaggio
della 'philosophia perennis', ma secondo quello
della filosofìa moderna. Da questo derivano le
ambiguità e le conseguenti difformità interpretative.
La crisi del resto aveva già toccato la Chiesa. Oggi forse ne abbiamo raggiunto l'apice. Il problema è che il cristianesimo ha abbandonato la philosophia perennis anche per una inedita via esclusivamente esperienziale: quella dei movimenti. E si è persa la consapevolezza che, in mancanza di un serio impianto teoretico-dottrinale si cade in un sentimentalismo e devozionismo che non porta da nessuna parte. E allora non si propone più una presentazione sistematica del cristianesimo né nelle parrocchie, né nella scuole né tanto meno nei seminari; il che è ancor più grave, perché mancano i formatori, reggitori e santificatori (il "triplice munus" sacerdotale: docendi, regendi e sanctificandi) sostituiti da un esercito di cosiddetti "testimoni", laici formati da chi (leggi Cammino nc e suoi iniziatori) un impianto teoretico-dottrinale-pragmatico ce l'ha perché se lo è dato ed è riuscito ad imporlo alla Chiesa tutta (o quasi). La responsabilità storica e morale epocale non è solo di cui ha voluto - unita a quella di chi ha permesso - tutto questo, ma anche di chi, vedendo e comprendendo, si lascia indurre a tacere. In certi casi tacere e pregare è imposto dalle circostanze; ma non è il caso di uno strumento come questo. Quanto ai movimenti e ad uno in particolare, non posso non evidenziare un paradosso: il cammino neocatecumenale ha intrapreso da subito una vera e propria crociata contro il "sentimentalismo devozionale" dei cosiddetti "cristiani della domenica", ma cade a sua volta in un "sentimentalismo" spontaneistico, fondato esclusivamente sull'emotività, mentre viene completamente non solo sconsigliato ma in concreto estromesso l'uso della ragione individuale.
Nel percorso che abbiamo intrapreso e stiamo
proseguendo, oltre che della Vita di Fede
nutrita dalla vita Sacramentale nella Chiesa,
dall'Adorazione e dalla preghiera nonché delle
quotidiane risposte con la nostra vita, abbiamo
bisogno delle due ali della Scrittura e del
Magistero, perché non intendiamo oltrepassare né
modificare - come accaduto a causa di un certo
spirito-post-conciliare - i tesori di 'Sapienza'
che generazioni di credenti ci hanno trasmesso:
la Tradizione Viva e non "vivente" in senso
storicistico, cioè mutevole a seconda delle mode
del tempo, come
ricorda mons Gherardini, al quale dobbiamo
uno studio profondo ed esaustivo "Quod et
tradidi vobis". Vita e Giovinezza della Chiesa
nonché la "Supplica
al Santo Padre", nella sua precedente opera
"Concilio Vaticano II. Un discorso da fare".
Cercheremo di affrancarci da ogni tipo di ideologia e di strumentalizzazione, per prendere il largo nell'immenso mare dell'Essere, che il Signore ci ha rivelato come SS. Trinità, lasciando che sia Essa -in Cristo Signore- a forgiare il nostro divenire non di homo faber, inventore oltre che del suo destino anche di teologie e liturgie e di una fede 'fai da te' - in molte realtà ecclesiali de-formatosi in homo charismaticus per autoproclamazione - ma di creature appartenenti al Corpo Mistico di Cristo, che è la Sua Chiesa, "pietre vive", come dice Pietro e sempre più "configurate" al Signore come insegna Paolo.
Maria Guarini
(1) nel senso biblico del termine: “conoscere” è il verbo del rapporto intimo sponsale indissolubile che porta al cuore del mistero del Signore e della sua Chiesa e che riguarda anche ogni anima credente; 'conoscenza' che progredisce attraverso il cammino di fede, proprio grazie alla fedeltà e alla perseveranza, ma soprattutto per quel surplus di Grazia che non ci è dato comprendere se non nel mistero che ci precede e ci sorpassa sempre.
(2) La partecipazione attiva non consiste solo
in un 'fare' materiale, o in un 'ruolo' da
ricoprire o un 'protagonismo' da scoprire,
perché il vero Protagonista è il Signore e
quella Liturgica è una vera Actio, Opera Sua e
non dell'Assemblea. Partecipare è qualcosa di
più complesso che corrisponde più a stati
d'animo, predisposizioni e atteggiamenti
interiori, apertura di cuore e consapevolezza di
ciò che accade, attenzione desta e Adorazione,
con l'alternarsi di momenti dialogati e di
momenti in cui si partecipa in unione col
Sacerdote... per non parlare dei Sacri silenzi.
Il tutto in un clima di solenne sacralità di
profonda, compenetrazione e immersione nel
Mistero. La partecipazione non è meno 'attiva'
se avviene con le facoltà dell'anima più che con
un bla bla bla o con delle funzioni da svolgere e se è un atto sacro, di culto
autentico, piuttosto che un qualcosa che
assomiglia più ad una 'sacra rappresentazione',
narrativa più che attuativa. che al culto
liturgico vero e proprio. L'agire viene dopo,
nella vita, e non è che conseguenza.
Il concilio
Vaticano II ha in più riprese richiesto una
“actuosa participatio”, una “partecipazione
attiva” dei fedeli al culto. Questo è stato di
solito interpretato nel senso di una condanna al
preteso ruolo “passivo” a cui la liturgia
tradizionale avrebbe relegato i fedeli. C'è una
frase in linea con quanto detto sopra: “Non c'è
proprio nulla di «attivo» nell'ascoltare,
nell'intuire, nel commuoversi?”, che rivela
chiaramente qual è il pensiero del Papa in
merito. Ancora più notevole quel che leggiamo in
“Introduzione allo spirito della liturgia” a p.
167: “In che cosa consiste, però, questa
partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare?
Purtroppo questa espressione è stata molto
presto fraintesa e ridotta al suo significato
esteriore, quello della necessità di un agire
comune, quasi si trattasse di far entrare
concretamente in azione il numero maggiore di
persone possibile il più spesso possibile. La
parola «partecipazione» rinvia, però, a
un’azione principale, a cui tutti devono avere
parte”. Quale sarà dunque in realtà questa “actio”,
questa azione a cui tutta l’assemblea è
chiamata, ora come sempre, a partecipare? Come
accenna il Papa, si sa che di solito si è dato a
questa domanda la risposta pratica di
moltiplicare e distribuire a quante più persone
possibile i servizi paraliturgici durante la
celebrazione: c'è chi accende le candele e chi
le spegne, chi bada all’acqua e chi al vino, chi
legge il profeta e chi l’epistola, chi canta il
salmo e chi il Gloria; la preghiera dei fedeli
vede alternarsi una persona diversa per ogni
invocazione, e la processione dell’offertorio a
volte somiglia ad un corteo. Non così per il
Papa. Il testo citato così continua: “Con il
termine «actio», riferito alla liturgia, si
intende nelle fonti il canone eucaristico. La
vera azione liturgica, il vero atto liturgico, è
la oratio: la grande preghiera, che
costituisce il nucleo della celebrazione
liturgica e che proprio per questo, nel suo
insieme, è stata chiamata dai Padri con il
termine oratio. […] Questa oratio – la
solenne preghiera eucaristica, il «canone» - è
davvero più che un discorso, è actio nel
senso più alto del temine. In essa accade,
infatti, che l’actio umana (così come è
stata sinora esercitata dai sacerdoti nelle
diverse religioni) passa in secondo piano e
lascia spazio all’actio divina, all’agire
di Dio. […] Ma come possiamo noi avere parte a
questa azione? […] noi dobbiamo pregare perché
(il sacrificio del Logos) diventi il nostro
sacrificio, perché noi stessi, come abbiamo
detto, veniamo trasformati nel Logos e diveniamo
così vero corpo di Cristo: è di questo che si
tratta”.
Qui, all’interno
della fornace ardente che è il centro stesso
della fede cristiana, siamo realmente a miglia
di distanza dalle banalizzazioni
antropocentriche che vorrebbero imporci. E
infatti, sono di nuovo parole del Papa: “La
comparsa quasi teatrale di attori diversi, cui è
dato oggi di assistere soprattutto nella
preparazione delle offerte, passa molto
semplicemente a lato dell’essenziale. Se le
singole azioni esteriori (che di per sé non sono
molte e che vengono artificiosamente accresciute
di numero) diventano l’essenziale della liturgia
e questa stessa viene degradata in un generico
agire, allora viene misconosciuto il vero
teodramma della liturgia, che viene anzi ridotto
a parodia”.
Maria Guarini,
5 giugno 2010
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