"Identificare
la Turchia con l'Europa sarebbe un errore"
Intervista
del Figaro Magazine al Cardinal J. Ratzinger 13 agosto 2004
In
questa intervista esclusiva, il braccio destro del Papa s'interroga
sulla riduzione della fede alla sola sfera privata e invita il Vecchio
Continente ad essere fiero della sua eredità cristiana.
Dichiarazioni
in un successivo discorso (20 settembre) a Velletri.
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Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della
Fede presso il Vaticano, il Cardinal Joseph Ratzinger, in occasione della
visita di Giovanni Paolo II a Lourdes, il 14 e il 15 agosto, spiega il
significato di questo pellegrinaggio, il gesto di purificazione
compiuto da un malato e da un sofferente in mezzo ad altri malati.
Ricorda anche il legame storico del Papa con la Francia e la sua
preoccupazione di fronte al crescendo di un laicismo ideologico
manifestatosi nel corso del dibattito sulle radici dell'Europa.
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Il
"teologo" di Giovanni Paolo II teme l'odio che il continente
europeo ha verso se stesso e sottolinea che l'integrazione della
Turchia nell'Unione Europea sarebbe "un errore" a motivo
delle sue differenze culturali e del suo antagonismo storico.
Le Figaro - Il papa si reca in un santuario mariano
molto visitato dai malati o dai feriti dalla vita... data la sua
stanchezza e il suo stato di salute, qual è il significato
particolare che lei attribuisce a questo gesto?
Joseph Ratzinger - Personalmente ho l'impressione che desideri
recarsi con i malati dalla Madonna, essendo lui stesso sofferente e
malato. Provato dalla malattia e dalla vecchiaia, si reca a pregare in
questo santuario mariano compiendo un gesto di solidarietà con il
mondo dei sofferenti. Non si tratta tanto di andare a chiedere una
guarigione fisica, quanto piuttosto una consolazione materna e una
forza interiore. Questa forza aiuta a trasformare la sofferenza, che
è una negazione delle forze della vita, in amore e in dono di sé.
D'altro canto, penso che occorra valorizzare questo simbolo della
fonte, dell'acqua fresca... La Santa Vergine ha dato quest'acqua come
un simbolo della purificazione, della guarigione, della purezza della
creazione. Lei stessa è sorgente di purezza ed è ricolma di Spirito
Santo.
Il papa ricerca la purificazione nella prova spirituale della
sua malattia?
Noi tutti abbiamo bisogno di purificazione, di rinnovamento
soprattutto. Giovanni Paolo II si rimette alla volontà di Dio.
Sappiamo anche che la sofferenza provoca in noi reazioni, quali il
rifiuto e la resistenza. Perché Dio agisce così con noi? Dov'è la
sua bontà nella malattia? Non è possibile comprendere immediatamente
il senso della sofferenza. Come tale, con il suo carattere
distruttore, rappresenta una limitazione alla nostra vita e ci colloca
in una situazione in cui ci poniamo interrogativi, una situazione di
conflitto. Il gesto del pellegrinaggio ci permette di domandare la
forza al Signore, affinché ci doni questa capacità di entrare con la
nostra sofferenza nella sua, Lui che l'ha trasformata in amore.
Sarà il settimo viaggio di Giovanni Paolo II in Francia. Come
si relaziona il papa con la Francia, che è stata definita la
"figlia primogenita della Chiesa"?
Lei sa che il Santo Padre nutre una grande ammirazione per la Chiesa
che vive in Francia e per la sua grande teologia. Ha collaborato con
alcuni dei suoi rappresentanti, specialmente durante il Concilio
Vaticano II, quando venne redatto lo schema della Gaudium et Spes, che
è stato frutto, più che di altri, del pensiero francese. Ha nominato
cardinali il padre de Lubac e il padre Congar. Ha studiato teologia
con il padre Garrigou-Lagrange. La sua formazione spirituale e
teologica è legata alla Francia dove ha effettuato numerose visite.
Mi ricordo particolarmente di quella compiuta in occasione
dell'anniversario del battesimo di Clodoveo, celebrato come un grande
rinnovamento del battesimo della Francia. La "figlia primogenita
della Chiesa", occidentale diciamo, ha dato molto alla Chiesa.
Questa missione particolare continua ancora oggi?
Sì, penso di sì. È una realtà essenziale. Naturalmente, il Papa è
anche preoccupato per il laicismo ideologico che oggi si manifesta
fortemente. Siamo per la laicità, beninteso. Ma siamo contrari a un
laicismo ideologico che rischia di rinchiudere la Chiesa in un ghetto
di soggettività. Questa corrente di pensiero desidera che la vita
pubblica non venga toccata dalla realtà cristiana e religiosa. Una
tale separazione, che qualificherei col termine di "profanità"
assoluta, sarebbe certamente un pericolo per la fisionomia spirituale,
morale e umana dell'Europa. Speriamo quindi che la vitalità della
Chiesa in Francia sia sufficiente per aiutare tutta l'Europa a
rispondere a questa provocazione, a questa sfida. Ho l'impressione che
vi siano grandi iniziative che mirano a rievangelizzare la Francia, a
restituire alla fede una presenza forte nella vita pubblica. Bisogna
comprendere - nel pieno rispetto del pluralismo culturale, della
libertà religiosa e di una sana laicità - che la fede cristiana ha
qualche cosa da dire sulla morale comune e sulla edificazione della
società. La fede non è una cosa puramente privata e soggettiva. È
una grande forza spirituale che deve toccare e illuminare la vita
pubblica.
La sua Congregazione ha pubblicato un
documento, l'anno scorso, sulla responsabilità degli uomini politici
cattolici, e lei ha recentemente indirizzato una nota ai vescovi
americani su questo argomento. Là il dibattito verte sulla
candidatura di Kerry che si dice cattolico e favorevole all'aborto.
Non si tratta di una intrusione della Chiesa e del Vaticano nella vita
politica di un paese?
Prima di tutto, tengo a precisare che, nelle nostre
intenzioni, il testo pubblicato sull'impegno dei cattolici in politica
è esplicitamente a favore del pluralismo. Lo Stato deve essere il
garante della libertà di pensiero e di religione. Noi non cerchiamo
di imporre la nostra fede agli altri attraverso la politica. Ma,
d'altra parte, siamo convinti che la fede costituisce anche una luce
per la ragione e che l'uomo politico cattolico deve poter trasmettere
questa luce nella sua lotta politica.
Per quanto riguarda il diritto alla vita, esso deve essere difeso da
ogni Stato, dal primo all'ultimo istante. È un'evidenza per la
ragione, non è una questione di fede. Ma sarebbe contro la fede
opporsi a questa evidenza. Un politico che assume una posizione
differente, che non rispetta l'immagine di Dio e l'inviolabilità
della persona umana si trova anche in opposizione con le componenti
razionali della fede. In questo senso, si oppone a un elemento
fondamentale della coscienza cristiana. I vescovi americani hanno
pubblicato una dichiarazione, in seguito al dibattito riguardante la
possibilità per un politico cattolico, favorevole all'aborto, di
ricevere o meno l'Eucaristia. I vescovi hanno ricordato che l'esame di
coscienza che precede la Comunione, non vale solo per i politici, ma
anche per tutti coloro che vi partecipano e che questo esame non
riguarda unicamente la loro posizione nei confronti dell'aborto, ma
tutta la loro vita di cristiani. All'opinione pubblica si è voluto
dare l'impressione che vi fosse una opposizione tra i vescovi
americani e la Congregazione per la Dottrina della Fede su questa
questione. Questo non è esatto: se le modalità di presentazione sono
differenti, i principi, invece, sono gli stessi e chiaramente esposti;
vi è dunque concordanza nella sostanza.
Cosa ne è della coscienza personale
dell'uomo politico?
La coscienza non è puramente soggettiva, ha dei criteri oggettivi. Un
cattolico trova la luce per formare la sua coscienza nelle indicazioni
della nostra fede. Mi sembra che la "soggettivizzazione"
della coscienza è un grande errore della nostra epoca. Essa rimane
senza criterio e alla fine si ha un soggetto non definito, che diventa
la misura ultima di tutte le azioni. Con l'assolutizzazione del
soggetto sotto il nome di coscienza, perdiamo la possibilità di
comunicare la morale e anche la comunione riguardo i fondamenti
essenziali della società. Il soggetto non è solo, deve essere aperto
alla conoscenza delle esigenze della natura umana, della persona umana
come tale.
Nonostante i suoi interventi, la Santa Sede non ha potuto far
in modo che il preambolo della Costituzione europea menzionasse le
radici cristiane dell'Europa. Che cosa ne pensa?
Sono convinto che si tratti di un errore. L'Europa è un continente
culturale e non geografico. È la sua cultura che le dona una identità
comune. Le radici che hanno formato e permesso la formazione di questo
continente sono quelle del cristianesimo. Si tratta di un fatto
storico. Mi è quindi difficile comprendere le resistenze manifestate
contro il riconoscimento di un tale fatto indiscutibile. Se lei mi
dice che si tratta di un tempo lontano, le rispondo che la rinascita
dell'Europa dopo la Seconda Guerra mondiale è stata resa possibile
grazie a degli uomini politici che avevano delle forti radici
cristiane, sia che si tratti di persone come Schuman, Adenauer, de
Gaulle, De Gasperi o di altri. Sono loro che si sono trovati di fronte
alle distruzioni provocate dai totalitarismi atei e anticristiani.
Tacere su questa realtà è una cosa molto strana e anche pericolosa.
Bisognerebbe proseguire il dibattito su questa questione, poiché temo
che dietro a questa opposizione si celi un odio che l'Europa ha verso
se stessa e la sua grande storia.
Lo studio della candidatura della Turchia
diviene più rigoroso. La sua entrata nell'Unione europea
rappresenterebbe per lei uno choc o un arricchimento delle culture?
Abbiamo parlato dell'Europa come di un continente
culturale e non geografico. In questo senso, la Turchia ha sempre
rappresentato nel corso della storia un altro continente, in
permanente contrasto con l'Europa. Ci sono state le guerre con
l'Impero bizantino, pensi anche alla caduta di Constantinopoli, alle
guerre balcaniche e alla minaccia per Vienna e l'Austria... Penso
quindi questo: sarebbe un errore identificare i due continenti.
Significherebbe una perdita di ricchezza la scomparsa della cultura in
favore dei benefici in campo economico. La Turchia, che si considera
uno Stato laico, ma fondato sull'Islam, potrebbe tentare di dar vita
ad un continente culturale con alcuni paesi arabi vicini e divenire
così la protagonista di una cultura che possieda la propria identità,
ma che sia in comunione con i grandi valori umanisti che noi tutti
dovremmo riconoscere. Questa idea non si oppone a forme di
associazione e di collaborazione stretta e amichevole con l'Europa e
permetterebbe il sorgere di una forza comune che si opponga a
qualsiasi forma di fondamentalismo.
Per quanto riguarda il fondamentalismo
religioso, la crescita del laicismo in Francia non è una reazione di
difesa di fronte a questo fenomeno?
Secondo la mia opinione, la crescita del
fondamentalismo è essa stessa provocata, almeno in parte, da un
laicismo accanito. Si tratta di un rifiuto da parte di questo mondo
che rigetta Dio e che rifiuta di rispettare ciò che è sacro; che si
sente totalmente autonomo, che non conosce le leggi innate alla
persona umana e che ricostruisce l'uomo secondo i propri schemi di
pensiero. Questa perdita del senso del sacro e del rispetto dell'altro
provoca una reazione di autodifesa all'interno del mondo arabo e
islamico. Un disprezzo profondo vi si esprime di fronte alla perdita
del soprannaturale che è inteso come una decadenza dell'uomo. Il
laicismo assolutizzato non è quindi la risposta alla terribile sfida
del fondamentalismo. Solo un senso religioso che sia in unione
profonda con la ragione, può moderare questi radicalismi e permettere
di trovare un equilibrio nel dialogo tra le culture.
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Intervista di Sophie de Ravinel
Figaro Magazine (13 agosto 2004)
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Il Cardinale
Ratzinger, in un successivo discorso a Velletri, secondo quanto riferito da “Il
Giornale del Popolo” e da un dispaccio dell’Ansa del 20 settembre ha ribadito:
“Storicamente e culturalmente la Turchia ha poco da spartire con
l'Europa: perciò sarebbe un errore grande inglobarla nell'Unione
Europea. Meglio sarebbe se la Turchia facesse da ponte tra Europa e
mondo arabo oppure formasse un suo continente culturale insieme con
esso. L'Europa non è un concetto geografico, ma culturale, formatosi
in un percorso storico anche conflittuale imperniato sulla fede
cristiana, ed è un fatto che l'impero ottomano è sempre stato in
contrapposizione con l'Europa. Anche se Kemal Ataturk negli anni Venti
ha costruito una Turchia laica, essa resta il nucleo dell'antico
impero ottomano, ha un fondamento islamico e quindi è molto diversa
dall'Europa che pure è un insieme di stati laici ma con fondamento
cristiano, anche se oggi sembrano ingiustificatamente negarlo.
Perciò l'ingresso della Turchia nell’UE sarebbe antistorico”.
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