Capitolo V

 

Realtà virtuale. È comunicazione?

Non vuol essere un discorso moralista, ma è il grido di allarme di una persona che vive in parte con disagio, ma anche con entusiasmo, speranza e partecipazione le vicende del suo tempo prima di tutto come essere umano e, poi, come donna, come madre, come cittadina e, in quanto tale, interessata e partecipe delle attività della polis.

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Vorrei ricordare che ho evidenziato soltanto alcuni aspetti della problematica in cui ci stiamo addentrando. Quelli analizzati finora riguardano l’approccio al medium televisione e quello in chiave di apprendimento con le banche dati oggi esistenti. È necessario a questo punto procedere oltre nell’approccio con gli altri inediti aspetti della Società dell’Informazione.

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Ci si propone in un immediato futuro, che sia pure in maniera non ancora pervasiva, è già presente, il problema della realtà virtuale come possibile medium; il che non può essere riduttivamente ricondotto al campo tecnico ma, per le implicazioni che comporta, deve essere collocato nell’ambito più ampio di una complessa concezione dell’uomo e della realtà, che contempla un approccio interdisciplinare che tenga conto di tutte le dimensioni dell’essere-uomo e richiede una lettura anche socio-psicologica.

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Lo spirito di avventura e la curiosità innati nella natura umana fanno cogliere gli aspetti più esaltanti di questa così grande, affascinante anche se rischiosa -vedremo il perché- apertura, sull’immensa distesa del possibile, dove il possibile non è più inteso come un dato appartenente alla realtà oggettuale esterna, ma come una dimensione dell’essere-uomo.

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Anche se, invece, lo stato attuale delle tecnologie del cosiddetto Cyberspazio (parola derivante dalla fusione lessicale tra cibernetica [24] + spazio, che sta a designare uno spazio pilotato, governato, in qualche modo anche creato) fa sì che l’utente del sistema in esso possa letteralmente immergersi, con tutte le impressioni sensoriali che gli danno la sensazione di vivere in uno spazio reale.

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Il primo pensiero che si affaccia alla mente è l’analogia tra l’esperienza consentita dal cyberspazio ed il "viaggio" provocato dalla droga.

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Cosa cambia nell’atteggiamento mentale, che è poi stile di vita, habitus comportamentale - esistenziale di chi fa uso di droga e di chi si allontana dalla realtà immergendosi nel cyberspazio?

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Mi si potrebbe obiettare che è anche questione di misura. Ma chi ci assicura che sia così innocuo e senza effetti psico-biologici il dare spazio a simili esperienze che potrebbero, poi, come altre cose prendere la mano o generare dipendenza, quanto meno psicologica; il che non la rende meno dannosa per l’equilibrio della persona? Quanto meno è bene essere consapevoli dei rischi.

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Per chiamare le cose con il loro nome, dobbiamo definire entrambe le esperienze come fuga dalla realtà.

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Il fatto che l’evoluzione tecnologica consenta una grande raffinatezza e vadano dischiudendosi vastissime possibilità di interagire con le situazioni virtuali, modificandole, rovesciandole, "esperimentandole" virtualmente, ricevendo contemporaneamente sensazioni visive e tattili di qualità non inferiore a quelle reali, non cambia il fatto che si tratta di una contraffazione, della sostituzione di un universo fittizio a quello reale.

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È innegabile, infatti che il grado di realtà è limitato all’aspetto formale, di sensazione e non già esteso anche al contenuto materiale.
Si verifica sostanzialmente un corto circuito nel rapporto che da sempre l’uomo sperimenta con l’"altro-da-sé".

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Se la fonte dell’essere viene posta nella coscienza soggettiva, non si determina altro che l’insediarsi dell’uomo al posto di Dio. È il culmine della parabola dell’opzione ateistica di una parte della modernità occidentale. È il perpetuarsi, il dispiegarsi, nella forma più sofisticata e raffinata, del peccato di origine.

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Si potrebbe facilmente obiettare che si tratta di un dato di fede. Ma mi sembra legittimo chiedersi se non sia anche un dato di ragione, se guardiamo agli aspetti di degrado e di non senso che permeano la nostra società proprio per effetto di questo assolutizzarsi dell’agire umano senza darsi punti di riferimento che non siano la propria ragione e la propria volontà, spesso avendo come fondamento il nulla.

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Due autori americani, Arthur Kroker e Michael A. Weinstein, in un recente volume dal titolo Data Trasch, ovvero "Spazzatura digitale", come conseguenza di questa inedita esperienza del mondo, disegnano uno scenario che "implica la catastrofe, teorizza e prevede una forma incredibilmente raffinata di suicidio collettivo.

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Suicidio dell’anima, s’intende; una lenta agonia celata da una prigione senza limiti né fini, ma tanto estesa e rutilante da permettere alla nietzschiana volontà di potenza di esprimere la sua inutile tensione. Ecco la domanda: in tutto questo dov’è la vibrazione della vita e dove il suo sentimento? Non certo in un astratto e ancorché fallimentare ‘sentire’. Forse, è vero, l’epoca delle realtà virtuali sarà marchiata dal fallimento della carne (provocando, l’esperienza della virtualità, un progressivo assopimento della corporeità); ma forse, e ancor più, sarà segnata dalla ribellione dello spirito umano" [25

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In ogni caso esperire la virtualità è una attività, anche se sembra sommamente improprio definirla tale, realizzandosi il paradosso del massimo della passività nel massimo dell’apparente attività, che non fa altro che sottrarre l’uomo alla concretezza del quotidiano (che è il luogo in cui si scrive la sua storia e quella del mondo) in un clima di deresponsabilizzazione e solipsismo, che distoglie da ogni impegno e dalla quotidiana fatica in cui si misura e si rivela il nostro essere-nel-mondo e che è la sola a incidere sulla storia.

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Impensierisce il fatto che una realtà così subdolamente portatrice di vuoto e di degrado, si faccia strada gradualmente, mascherata magari da esperienza "liberante" (disancorante lo è certamente) o, quanto meno, foriera di una "moda" come un’altra, per riempire il vuoto di ore senza scopo di una vita senza senso, pseudoesperienza, dall’aspetto apparentemente innocuo se non invitante ed esaltante, ma dagli effetti devastanti di una progressiva disumanizzazione, dal momento che è innegabile che nuovi campi d’azione implicano nuovi effetti psicologici.

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Il più grande fascino della realtà virtuale, che è anche il suo più grande inganno, consiste nell’escludere ogni contatto vero e quindi ogni rischio di incontro. Non può non trattarsi di una tragica ambiguità, quando la vera comunicazione per realizzarsi necessita di un incontro vivo e reale.

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L’unico dato certo è che un mondo virtuale plurisensoriale non favorirebbe certamente la fissazione di idee, concetti, che finora è stata frutto di faticosa conquista: l’avventura dell’apprendere, conoscere e amare ciò che si conosce, comunicandolo ad altri.

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Dove andrebbe a finire la circolazione delle idee che è innanzi tutto lettura (nel senso più ampio del termine), riflessione, interpretazione, condivisione, confronto?

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Che ne sarà del rischio, ma anche del fascino di una realtà nella quale alla presenza viene sostituita la rappresentazione?

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La realtà virtuale è ben più della finzione cinematografica e televisiva: è una esperienza che ingloba, coinvolge la totalità della persona. Io non trascurerei le turbe psichiche possibili in soggetti dalla personalità non ben strutturata (giovanissimi, ad esempio, e quant’altri) per effetto dell’irrompere dell’irrazionale a causa della innaturale confusione tra un mondo sostanzialmente onirico come quello virtuale e la realtà.

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Umberto Eco, circa gli atteggiamenti delle persone nei diversi approcci alle nuove tecnologie, parlava in termini di "apocalittici" (coloro che ne vedono solo gli aspetti negativi) o di "integrati" (coloro che le accettano acriticamente). Io vorrei pormi nella categoria dei "realisti", non sentendomi aprioristicamente né apocalittica né integrata, anche se mi accorgo che il mio realismo ha assunto toni apocalittici. Vorrei tuttavia che esso servisse ad una riflessione capace di immetterci "cum grano salis" nel nuovo che avanza.

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Esaurisco qui l’analisi sulla realtà virtuale, che non è esaustiva, come non lo sono del resto le analisi precedenti, che, pure, meriterebbero ulteriori approfondimenti, che rimando ad altre occasioni, volendo essere questo lavoro un excursus urgente, quasi a volo d’uccello, inframmezzato da tappe di essenziale riflessione, sulla nuova fisionomia della realtà che emerge dal delinearsi della Società dell’Informazione.
                                                                                    

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