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La Messa non è finita!
Il Vetus e il Novus Ordo nell'unica Messa sempre valida!
Viviamo nell’epoca degli slogan e di grande confusione,
agli slogan si attribuiscono niente meno che verità dottrinali che spesse
volte, però, non sono affatto conosciute da chi li grida o li pronuncia!
In ambiente fondamentalista cattolico, per esempio, per
accusare il Novus Ordo Missae il dire “La Messa è finita” si intende proprio
in senso dispregiativo come a voler dire appunto: è finita!
Così come ci sono altri tipi di fondamentalisti
(modernisti) i quali accusano ingiustamente il Rito san Pio V per dire che
la Messa “ERA” finita…..
In verità la frase “La Messa è finita”, nella sua
originale composizione, non ha mai voluto intendere il concetto di “fine”
bensì è un segno di congedo, di dimissione per iniziare la propria
testimonianza, avviare la missione.
Il termine stesso "Messa", deriva dalla
locuzione finale "ite, missa est", ossia "andate, atto di
congedare=dimissione", che col tempo ha assunto il significato, non
propriamente corretto, di "la messa è finita" per indicare la fine della
celebrazione.
La parola "messa" nasce, dunque, come atto di "dimettere"
è vero, ma si usava per i catecumeni e i penitenti i quali, come suggerito
dalla stessa Didachè, non essendo ancora Battezzati (e i penitenti dovevano
scontare la loro penitenza) non prendevano parte all'Eucarestia e dunque
venivano congedati, dimessi prima della celebrazione Eucaristica, dopo la
lettura delle Scritture. Con il tempo, e siamo già circa al III sec. si
perfeziona "ite missa est", ossia dal "rendimento di grazie (gr.
eukaristein)
che avete ricevuto, l'assemblea è sciolta, è dimessa, per portare
Cristo nel mondo" .
Così la spiega Benedetto XVI nella
Sacramentum Caritatis:
Il congedo: « Ite, missa est »
51. Infine, vorrei soffermarmi su quanto i Padri sinodali
hanno detto circa il saluto di congedo al termine della Celebrazione
eucaristica. Dopo la benedizione, il diacono o il sacerdote congeda il
popolo con le parole: Ite, missa est. In questo saluto ci è dato di
cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la missione cristiana nel
mondo. Nell'antichità « missa » significava semplicemente «
dimissione ». Tuttavia essa ha trovato nell'uso cristiano un significato
sempre più profondo. L'espressione « dimissione », in realtà, si
trasforma in « missione ». Questo saluto esprime sinteticamente la
natura missionaria della Chiesa. Pertanto, è bene aiutare il Popolo di Dio
ad approfondire questa dimensione costitutiva della vita ecclesiale,
traendone spunto dalla liturgia. In questa prospettiva può essere utile
disporre di testi, opportunamente approvati, per l'orazione sul
popolo e la benedizione finale che esplicitino tale legame.(154)
Il termine "Eucaristia", tanto per restare in campo
storico e culturale, designava quindi tre realtà:
-
la "conoscenza delle Scritture mediante l'ascolto della
Parola";
-
la "condivisione delle offerte che i fedeli portavano o
in danari o in vestiario o in cibo";
-
la "comunione" con la preghiera eucaristica (altrimenti
detta Canone).
La Messa, appunto, che si faceva la Domenica, ogni
Domenica, mentre i presbiteri la facevano più volte durante la settimana,
insieme al vescovo a seconda delle necessità.
Presto la preghiera eucaristica, a partire all'incirca da
Tertulliano (II sec.), verrà chiamata "sacrificiorum orationes",
preghiere del/i sacrificio/i, ciò che poi venne chiamato “Canone”.
Vale la pena ora leggere come insegna la Chiesa
attraverso il noto Catechismo:
IV. La celebrazione liturgica dell'Eucaristia
La Messa lungo i secoli
1345 Fin dal secondo secolo, abbiamo la testimonianza
di san Giustino martire riguardo
alle linee fondamentali dello svolgimento della celebrazione eucaristica.
Esse sono rimaste invariate fino ai
nostri giorni in tutte le grandi famiglie liturgiche.
Ecco ciò che egli scrive, verso il 155, per spiegare
all'imperatore pagano Antonino Pio (138-161) ciò che fanno i cristiani:
« Nel giorno chiamato del sole ci si raduna tutti
insieme, abitanti delle città o delle campagne. Si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei profeti, finché il
tempo consente. Poi quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce
ed esorta ad imitare questi buoni esempi.
Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo
preghiere » 173 « sia per noi stessi [...] sia per tutti gli altri, dovunque
si trovino, affinché, appresa la verità, meritiamo di essere nei fatti buoni
cittadini e fedeli custodi dei precetti, e di conseguire la salvezza eterna.
Finite le preghiere, ci salutiamo l'un l'altro con un
bacio.
Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e
una coppa d'acqua e di vino temperato. Egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell'universo nel nome del
Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie, per essere stati
fatti degni da lui di questi doni.
Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di
grazie, tutto il popolo presente acclama: Amen. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha
acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei
presenti il pane, il vino e l'acqua "eucaristizzati" e ne portano agli
assenti ». 174
1346 La
liturgia dell'Eucaristia si svolge secondo una struttura fondamentale che,
attraverso i secoli, si è conservata fino a noi.
Essa si articola in due grandi momenti, che formano un'unità originaria:
— la convocazione, la liturgia della Parola, con le letture, l'omelia
e la preghiera universale;
— la liturgia eucaristica, con la presentazione del pane e del vino,
l'azione di grazie consacratoria e la Comunione.
Liturgia della Parola e liturgia
eucaristica costituiscono insieme « un solo atto di culto »;
175 la mensa preparata per noi nell'Eucaristia è infatti ad un tempo quella
della Parola di Dio e quella del Corpo del Signore. 176
1347 Non si è forse svolta in questo modo la Cena pasquale di Gesù
risorto con i suoi discepoli? Lungo il cammino spiegò loro le Scritture,
poi, messosi a tavola con loro, « prese il pane, disse la benedizione, lo
spezzò e lo diede loro » (Lc 24,30). 177
Lo svolgimento della celebrazione
1348 Tutti si riuniscono. I cristiani accorrono in uno stesso
luogo per l'assemblea eucaristica. Li precede Cristo stesso, che è il
protagonista principale dell'Eucaristia. È il Sommo Sacerdote della Nuova
Alleanza. È lui stesso che presiede in modo invisibile ogni celebrazione
eucaristica. Proprio in quanto lo rappresenta, il Vescovo o il
presbitero (agendo in persona Christi Capitis – nella persona di Cristo
Capo) presiede l'assemblea, prende la parola dopo le letture, riceve le
offerte e proclama la preghiera eucaristica. Tutti hanno la loro
parte attiva nella celebrazione, ciascuno a suo modo: i lettori, coloro che
presentano le offerte, coloro che distribuiscono la Comunione,
e il popolo intero che manifesta la
propria partecipazione attraverso l'Amen.
1349 La liturgia della Parola comprende « gli scritti dei
profeti », cioè l'Antico Testamento, e « le memorie degli Apostoli », ossia
le loro lettere e i Vangeli; all'omelia, che esorta ad accogliere questa
parola come è veramente, quale Parola di Dio 178 e a metterla in pratica,
seguono le intercessioni per tutti gli uomini, secondo la parola
dell'Apostolo: « Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano
domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i
re e per tutti quelli che stanno al potere » (1 Tm 2,1-2).
1350 La presentazione dei doni (l'offertorio): vengono recati
poi all'altare, talvolta in processione, il pane e il vino che
saranno offerti dal sacerdote in nome di Cristo nel sacrificio eucaristico,
nel quale diventeranno il suo Corpo e il suo Sangue. È il gesto stesso di
Cristo nell'ultima Cena, « quando prese il pane e il calice ». « Soltanto la
Chiesa può offrire al Creatore questa oblazione pura, offrendogli con
rendimento di grazie ciò che proviene dalla sua creazione ». 179 La
presentazione dei doni all'altare assume il gesto di Melchisedek e pone i
doni del Creatore nelle mani di Cristo. È lui che, nel proprio sacrificio,
porta alla perfezione tutti i tentativi umani di offrire sacrifici.
1351 Fin dai primi tempi, i cristiani, insieme con il pane e con il
vino per l'Eucaristia, presentano i
loro doni perché siano condivisi con coloro che si trovano in necessità.
Questa consuetudine della colletta, 180 sempre attuale, trae
ispirazione dall'esempio di Cristo che si è fatto povero per arricchire noi:
181 « I facoltosi e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno
quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto.
Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per
qualche altra causa; e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di
noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno ». 182
1352 L'anafora. Con la preghiera eucaristica,
preghiera di rendimento di grazie e di consacrazione, arriviamo al cuore e
al culmine della celebrazione:
Nel prefazio la Chiesa rende grazie al Padre, per mezzo di Cristo,
nello Spirito Santo, per tutte le sue opere, per la creazione, la redenzione
e la santificazione. In questo modo l'intera comunità si unisce alla lode
incessante che la Chiesa celeste, gli angeli e tutti i santi cantano al Dio
tre volte Santo.
1353 Nell'epiclesi essa prega il Padre di mandare il suo Santo
Spirito (o la potenza della sua benedizione 183) sul pane e sul vino,
affinché diventino, per la sua potenza, il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo
e perché coloro che partecipano all'Eucaristia siano un solo corpo e un solo
spirito (alcune tradizioni liturgiche situano l'epiclesi dopo l'anamnesi).
Nel racconto dell'istituzione l'efficacia delle parole e dell'azione
di Cristo, e la potenza dello Spirito Santo, rendono sacramentalmente
presenti, attraverso la Consacrazione - che non è più racconto è 'fatto' -
sotto le specie del pane e del vino il suo Corpo e il suo Sangue, il suo
sacrificio offerto sulla croce una volta per tutte.
1354 Nell'anamnesi che segue, la Chiesa fa memoria della
passione, della risurrezione e del ritorno glorioso di Gesù Cristo; essa
presenta al Padre l'offerta di suo Figlio che ci riconcilia con lui.
Nelle intercessioni, la Chiesa manifesta che l'Eucaristia viene
celebrata in comunione con tutta la Chiesa del cielo e della terra, dei vivi
e dei defunti - e quindi quella di ieri di oggi e di domani, e nella
comunione con i Pastori della Chiesa, il Papa, il Vescovo della diocesi, il
suo presbiterio e i suoi diaconi, e tutti i Vescovi del mondo con le loro
Chiese.
1355 Nella Comunione, preceduta dalla preghiera del Signore e
dalla frazione del pane, i fedeli ricevono « il pane del cielo » e « il
calice della salvezza », il Corpo e il Sangue di Cristo che si è dato « per
la vita del mondo » (Gv 6,51).
Poiché questo pane e questo vino sono stati «
eucaristizzati », 184 come tradizionalmente si dice,
« questo cibo è chiamato da noi
Eucaristia, e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i
nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la
remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha
insegnato ». 185
La Messa dunque….non è mai finita, tanto meno può dirsi
“finita” a causa delle varie Riforme che si sono succedute nel tempo poiché
sempre la Chiesa, che è Mater et Magistra e cammina con i tempi, è in
continua riforma. Disse così Giovanni Paolo II:
La Liturgia e la vita sono realtà indissociabili. Una
Liturgia che non avesse un riflesso nella vita diventerebbe vuota e
certamente non gradita a Dio .
3. La celebrazione liturgica è un atto della virtù di
religione che, coerentemente con la sua natura, deve caratterizzarsi per un
profondo senso del sacro. In essa l’uomo e la comunità devono essere
consapevoli di trovarsi in modo speciale dinanzi a Colui che è tre volte
santo e trascendente. Di conseguenza l’atteggiamento richiesto non può che
essere permeato dalla riverenza e dal senso dello stupore che scaturisce dal
sapersi alla presenza della maestà di Dio.
Non voleva forse esprimere questo Dio nel
comandare a Mosè di togliersi i sandali dinanzi al roveto ardente? Non
nasceva forse da questa consapevolezza l’atteggiamento di Mosè e di Elia,
che non osarono guardare Iddio facie ad faciem?
Il Popolo di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti
e nei diaconi un comportamento
pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare le cose
invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni.
Nel Messale Romano, detto di San
Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con
le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza
di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi
Liturgia.
La celebrazione liturgica presieduta dal sacerdote è
un’assemblea orante, radunata nella fede e attenta alla Parola di Dio. Essa
ha come scopo primario quello di presentare alla divina Maestà il Sacrificio
vivo, puro e santo, offerto sul Calvario una volta per sempre dal Signore
Gesù, che si fa presente ogni volta che la Chiesa celebra la Santa Messa per
esprimere il culto dovuto a Dio in spirito e verità.
«MESSAGGIO» di Sua Santità Giovanni Paolo II all’Assemblea Plenaria
della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti
(21 settembre 2001)
Sant’Alfonso Maria de Liguori, il quale non potrà essere
associato di certo ad una scelta tra il Vetus e il Novus Ordo, ebbe a
scrivere ai sacerdoti sciatti quanto segue:
LA MESSA STRAPAZZATA
<< Non mai alcun sacerdote dirà la messa colla divozione
dovuta, se non ha la stima che merita un tanto sacrificio. È certo
che non può un uomo fare un'azione più sublime e più santa, che celebrare
una messa: Nullum aliud opus, dice il concilio di Trento, adeo sanctum a
Christi fidelibus tractari posse, quam hoc tremendum mysterium1. Dio stesso
non può fare che vi sia nel mondo un'azione più grande, che del celebrarsi
una messa.
Tutti i sacrificj antichi, con cui fu tanto onorato
Iddio, non furono che un'ombra e figura del nostro sacrificio dell'altare .
Tutti gli onori che han dati giammai e daranno a Dio gli angeli co' loro
ossequj, e gli uomini colle loro opere, penitenze e martiri, non han potuto
né potranno giungere a dar tanta gloria al Signore, quanta glie ne dà una
sola messa; mentre tutti gli onori delle creature sono onori finiti; ma
l'onore che riceve Iddio nel sacrificio dell'altare, venendogli ivi offerta
una vittima d'infinito valore, è un onore infinito. La messa dunque è
un'azione che reca a Dio il maggior onore che può darsegli: è l'opera che
più abbatte le forze dell'inferno; che apporta maggior suffragio all'anime
del purgatorio; che maggiormente placa l'ira divina contro i peccatori, e
che apporta maggior bene agli uomini in questa terra.>>
Non è mai finita la Messa, piuttosto sono venute meno
certe “regole” (le famose NORME Ecclesiali) non perché “qualcuno” le abbia
tolte, ma semplicemente perché “qualcuno” ha pensato bene (magari anche in
buona fede, ma illudendosi) di usare la propria creatività per cercare di
rendere SVELABILE IL MISTERO DELLA MESSA…. Si! La Messa contiene un MISTERO
che NON è possibile svelare, non perché non lo si voglia svelare, ma perché
è impossibile essendo l’Eucarestia non solo il Mistero dei Misteri, ma anche
il prodigio più grande, unico e soprattutto che si perpetua per mezzo delle
parole e della promessa di Gesù nostro Signore! Se la Messa fosse
spiegabile fin dentro il mistero che la compone, allora non sarebbe più un
dono di Dio, ma bensì una CREAZIONE umana, infatti ciò che l’uomo crea ed
inventa può e deve essere spiegabile, al contrario ciò che riguarda Dio è la
ragione stessa che conduce ad ACCOGLIERE IL MISTERO stesso di questo
rapporto fra il mondo materiale e quello soprannaturale….
Dice san Paolo nella 1Cor. 13
9 La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la
nostra profezia. 10 Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è
imperfetto scomparirà. 11 Quand'ero bambino, parlavo da bambino,
pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da
bambino l'ho abbandonato. 12 Ora
vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia
a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma
allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. 13 Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la
carità; ma di tutte più grande è la carità!
E poco prima, al capitolo 4 della medesima Lettera, san
Paolo dice:
1 Ognuno ci consideri come ministri di Cristo
e amministratori dei misteri di Dio.
2 Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno
risulti fedele.
Dunque vi è una richiesta indiscutibile: “ognuno risulti
fede” e di considerare gli Apostoli “Ministri di Cristo e amministratori dei
MISTERI di Dio”….
La Messa è pertanto è quell’Ufficio Divino e Sacro nella
quale sono contenuti i misteri e il Mistero per eccellenza, per questo la
Messa NON, in tema dottrinale, può essere fatta oggetto di modifiche
da nessuno, neppure dal Papa, diverso è parlare di Riforma per rendere la
MEDESIMA DOTTRINA che si è ricevuta, più comprensibile.
Dice infatti la Sacrosanctum Concilium:
L'ordinamento liturgico compete alla gerarchia
22.
- Regolare la sacra liturgia compete unicamente all'autorità
della Chiesa, la quale risiede nella Sede apostolica e, a norma del
diritto, nel vescovo.
- In base ai poteri concessi dal diritto, regolare la liturgia
spetta, entro limiti determinati, anche alle competenti assemblee
episcopali territoriali di vario genere legittimamente costituite.
Di conseguenza assolutamente nessun altro, anche se sacerdote,
osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in
materia liturgica.
Dice infatti ancora san Paolo:
"Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di
questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.
Ciascuno, pertanto - ammonisce Paolo -
esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di
questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del
Signore, mangia e beve la propria condanna"
(1Cor 11,26. 28-29). Però chi riconosce il corpo del Signore, questo
Corpo… sarà a sua volta riconosciuto dal Signore come suo amico, e come tale
sarà presentato al Padre che saprà onorarlo come a Lui conviene. Così
come se colui che riconoscendo questo Corpo lo prenderà in modo INDEGNO, ne
subirà le conseguenze perché Dio se è vero che è misericordioso è anche vero
che è giusto Giudice e per questo ci ha donato con l’Eucarestia il
Sacramento della RICONCILIAZIONE…
Tito 1:5-6
5 Per questo ti ho lasciato a Creta
perché regolassi ciò che rimane da fare
e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che
ti ho dato
…la Messa non è mai finita…. Né “era” finita come dicono
coloro che hanno creduto, illudendosi, di di SVELARE LA MESSA per tentare
di”comprenderla” meglio…. Non era questa l’intenzione del Concilio! Vaticano
II quando si parlò di “Riforma”.
Il Concilio cercò solamente di rendere la Messa più
“partecipativa” ossia, aiutare i fedeli a ritrovarsi in quella offerta
unitamente al Sacrificio di Cristo per mezzo del Presbitero, nulla di più.
Scrive così Benedetto XVI nel MP
Summorum Pontificum
nella Lettera ai Vescovi che lo accompagna:
<< Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale,
pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni
Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria
– della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum,
anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa
Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece,
essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica.
Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se
fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e
medesimo Rito.
Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della
Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo
Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di
principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo
Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso
possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe
trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul
posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano
fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era
per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il
movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione
liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della
Celebrazione liturgica.
Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la
fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di
questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità.
Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del
Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano
tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia;
questo avvenne anzitutto perché in molti
luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale,
ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un
obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia
al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io
quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto
profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della
Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.>>
Benedetto XVI dice:
Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo
… E ho visto quanto profondamente
siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone
che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa
….. molti di noi possono dire queste frasi, usare la medesima espressione,
molti l’hanno detto ma venivano “messi da parte” venivano guardati male,
definiti con disprezzo “lefebvriani-tradizionalisti” … a questo stillicidio
si associa appunto lo slogan “ma quella Messa ERA FINITA, era superata, era
vecchia….” Oggi altri dicono, perché erroneamente si soffermano sulle
deformazioni e creatività sottolineate dal Papa, “la Messa è finita”
scuotendo il capo in senso di profondo dolore…
Né l’uno né l’altro, la Messa è più viva che mai e
Benedetto XVI ce lo sta dimostrando!
Inoltre è in uscita il libro di mons. Nicola Bux (di
recente nominato dal Santo Padre nel gruppo che si occupa delle Cerimonie
Liturgiche del Pontefice con a capo mons. Guido Marini) “La Riforma di
Benedetto XVI” , - quello che papa Ratzinger vuol fare nella sua
paziente opera di riforma è rinnovare la vita del cristiano – i gesti, le
parole, il tempo del quotidiano – restaurando nella liturgia un sapiente
equilibrio tra innovazione e tradizione. Facendo con ciò emergere l’immagine
di una Chiesa sempre in cammino, capace di riflettere su se stessa e di
valorizzare i tesori di cui è ricco il suo scrigno millenario - .
La Messa non è dunque finita, ma è un congedo da ciò
che abbiamo appreso
per mezzo della Parola udita e da ciò che abbiamo
preso,
attraverso la Santa Eucarestia,
per portarlo nel mondo,
per viverlo noi stessi e donarlo a nostra volta al nostro Prossimo.
È tradizione che Beith-el , la casa di Dio, la
pietra eretta da Giacobbe (cf Gen 28,17-19), sia divenuta Beith-lehem,
la casa del pane, Betlemme.
Per la nascita del Messia, la casa di pietra è trasformata in casa del pane
(e del pane eucaristico), non di un pane materiale ma
spirituale; e questo contro il tentatore di ogni tempo. Gesù non si rifiutò
di moltiplicare il pane materiale,
però respinse sempre, senza esitazione, ogni tentativo di trasformare la
comunità dei credenti in una società di beneficenza, e non era questa la sua
intenzione quando istituì l’Eucarestia ampiamente spiegata in Giovanni cap.6;
Gesù spezzò il pane, perché egli per primo si lasciò spezzare dalla
nostra miseria. Si legge (una citazione del Vangelo tra le molte
possibili) che, "essendoci molta folla che non aveva da mangiare, Gesù
chiamò a sé i discepoli e disse loro: "Sento compassione di questa folla,
perché già da tre giorni mi sta dietro e non ha da mangiare. Se li rimando
digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono
da lontano"" (Mc 8,1-3). È questa compassione, vera
partecipazione alla nostra sofferenza, che gli fa moltiplicare il pane e
diventa LUI stesso NUTRIMENTO nell’Eucarestia. Si direbbe che per
spezzare il pane, secondo lo stile e lo spirito di Gesù, è necessario
lasciarsi prima spezzare il cuore da chi è nell'indigenza, ossia, provare
anche noi quella com-passione che spinse Gesù a diventare EUCARESTIA=GRAZIA
per noi.
La Messa è perciò la PARTECIPAZIONE di questa folla per
la quale Gesù prova com-passione .
La Riforma in sé, dunque, non ha modificato affatto
l’assetto della Messa, è stata piuttosto la sua applicazione (come
appunto denuncia spesso lo stesso Pontefice e Giovanni Paolo II prima di lui
nella Ecclesia de Eucharestia) a spezzare con la Tradizione, lasciandosi
andare alla creatività, all’abusivismo, alla disobbedienza delle Norme e
peggio ancora, per tentare di SPIEGARE IL MISTERO CONTENUTO NELLA MESSA:
Ciascuno, pertanto -
ammonisce Paolo - esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di
questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del
Signore, mangia e beve la propria condanna"
(1Cor 11,26. 28-29).
Riconoscere questo “Corpo” non significa “svelarlo” o
modificare l’essenza della Messa per renderla più “comprensibile”, San
Tommaso d’Aquino, il cantore dell’Eucarestia parla di FEDE: l’Eucarestia può
essere capita e “vista” solo attraverso l’umiltà e la fede anzi, dice il
Dottore angelico, l’Eucarestia sviluppa il settimo senso, quello della
FEDE, quello del soprannaturale e non a caso il Vetus Ordo Miassae che
si è sempre celebrato, ha sempre generato Santi e Sante, Dottori, e Martiri,
Beati ed ha sempre dato la spinta a molte persone di dare origine a
fondazioni di opere di Carità, sostegno ai poveri, alle vedove e a gli
orfani. Non a caso l’epoca in cui si perfezionò e si affermò il Rito detto
san Pio V, fu una delle epoche più ricche e rigogliose di vita devota, sia
religiosa quanto laica. Questo non vuol dire che il Novus Ordo non abbia
portato o non porti frutti di santità, al contrario, anch’esso proprio
perché non proviene da una invenzione umana ma semplicemente da una Riforma,
tale Novus Ordo è indissolubile dal Vetus, sono entrambi inseparabili dalla
Messa.
Dice giustamente Benedetto XVI nella Lettera che
accompagna il Summorum Pontificum:
<< Non è appropriato parlare di queste due stesure del
Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso
duplice dell’unico e medesimo Rito.>>
Così ci ricorda sant’Ambrogio quando, nel commento
al Padre nostro, applica all’Eucaristia la richiesta " Dacci
oggi il nostro pane quotidiano": "Se il pane è
quotidiano, perché lo riceveresti dopo un anno...? Ricevi ogni giorno ciò
che ti deve giovare ogni giorno! Vivi in modo tale da meritare di riceverlo
ogni giorno. Chi non
merita di riceverlo ogni giorno, neppure merita di riceverlo dopo un anno...
Dunque, tu senti dire che ogni volta che viene offerto il sacrificio, viene
annunziata tramite segno la morte del Signore, la risurrezione del Signore,
l’ascensione del Signore e la remissione dei peccati; e poi non ricevi ogni
giorno questo pane di vita? Chi ha
una ferita, cerca la medicina. La ferita è che siamo sotto il peccato; la
medicina è il celeste e venerabile sacramento" (De
sacramentis 5,25).
Riguardo dunque agli abusi di coloro che
strumentalizzando la Riforma modificando la Messa, dandogli significati
interrotti dalla Tradizione ed inseriti in una nuova tradizione come ad
esempio le catechesi sulla Messa del Cammino Neocatecumenale (un esempio
fra i tanti perché è l’unico gruppo cattolico che abbia modificato la
Messa a tal punto da aver modificato anche l’assetto di alcune Chiese
eliminando il Presbiterio e cambiando l’Altare… dando origine ad una nuova
tradizione culturale della Messa apparecchiando l’altare in modo NUOVO E
DIVERSO dalla Tradizione) nelle quali il fine e lo scopo della Messa non
appartengono alla Tradizione che abbiamo ricevuto, risponde Benedetto XVI
senza mezzi termini che dice nella Lettera ai Vescovi che accompagna la
Summorum Pontificum:
<< La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI
possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel
celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende
visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale .>>
…… in
conformità alle prescrizioni … la Messa NON
è finita, è venuta meno l’obbedienza a queste prescrizioni, si è
arrivati fin anche a cambiarle abusivamente il termine con: LA CENA DEL
SIGNORE per modificare la Tradizione che ci riporta invece AL SENSO DEL
SACRIFICIO e non semplicemente al banchetto. Se è vero che l’uno NON esclude
l’altro, anzi sono COMPLEMENTARI E INDIVISIBILI, INDISSOCIABILI, in molte
catechesi non cattoliche si è data invece maggior enfasi al banchetto
nascondendo il senso del Sacrificio…. si sono fatte liturgie omettendo
queste prescrizioni ed inserendone di nuove, distaccandosi così (forse
anche in buona fede) dalle vere intenzioni della Riforma, dando origine ad
una nuova tradizione che “aiuti a spiegare meglio la Messa” … La sparizione
degli inginocchiatoi ha fatto venire meno quella riverenza dovuta, tanto per
fare un altro esempio….
La Messa non si “spiega” nel senso comune del termine,
piuttosto per lei e in lei CI SI PIEGA …. Si può
trasmettere quello che abbiamo ricevuto aiutando alla COM-PRENSIONE del Rito
e dei segni, dice infatti Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis:
40. L'attenzione
e l'obbedienza alla struttura propria del rito, mentre esprimono il
riconoscimento del carattere di dono dell'Eucaristia, manifestano la volontà
del ministro di accogliere con docile gratitudine tale ineffabile dono.
41. Il legame profondo tra la bellezza e la liturgia
deve farci considerare con attenzione tutte le espressioni artistiche poste
al servizio della celebrazione.(122)
Una componente importante dell'arte sacra è
certamente l'architettura delle chiese,(123) nelle quali deve
risaltare l'unità tra gli elementi propri del presbiterio: altare,
crocifisso, tabernacolo, ambone, sede.
Catechesi mistagogica
64. La grande tradizione liturgica della Chiesa ci
insegna che, per una fruttuosa partecipazione, è necessario impegnarsi a
corrispondere personalmente al mistero che viene celebrato, mediante
l'offerta a Dio della propria vita, in unità con il sacrificio di Cristo per
la salvezza del mondo intero. Per questo motivo, il Sinodo dei Vescovi ha
raccomandato di curare nei fedeli l'intima concordanza delle disposizioni
interiori con i gesti e le parole. Se questa mancasse, le nostre
celebrazioni, per quanto animate, rischierebbero la deriva del ritualismo.
Pertanto occorre promuovere un'educazione alla fede eucaristica che disponga
i fedeli a vivere personalmente quanto viene celebrato. Di fronte
all'importanza essenziale di questa participatio personale e
consapevole, quali possono essere gli strumenti formativi adeguati? I Padri
sinodali all'unanimità hanno indicato, al riguardo, la strada di una
catechesi a carattere mistagogico, che porti i fedeli a addentrarsi sempre
meglio nei misteri che vengono celebrati.(186) In particolare, per la
relazione tra ars celebrandi e
actuosa participatio si deve
innanzitutto affermare che « la migliore catechesi sull'Eucaristia è la
stessa Eucaristia ben celebrata ».(187) Per natura sua, infatti, la liturgia
ha una sua efficacia pedagogica nell'introdurre i fedeli alla conoscenza del
mistero celebrato. Proprio per questo, nella tradizione più antica della
Chiesa il cammino formativo del cristiano, pur senza trascurare
l'intelligenza sistematica dei contenuti della fede, assumeva sempre un
carattere esperienziale in cui determinante era l'incontro vivo e persuasivo
con Cristo annunciato da autentici testimoni. In questo senso, colui che
introduce ai misteri è innanzitutto il testimone. Tale incontro certamente
si approfondisce nella catechesi e trova la sua fonte e il suo culmine nella
celebrazione dell'Eucaristia. Da questa struttura fondamentale
dell'esperienza cristiana prende le mosse l'esigenza di un itinerario
mistagogico, in cui devono sempre essere tenuti presenti tre elementi.
a) Si tratta innanzitutto della interpretazione
dei riti alla luce degli eventi salvifici, in conformità con la
tradizione viva della Chiesa. In effetti, la celebrazione dell'Eucaristia,
nella sua infinita ricchezza, contiene continui riferimenti alla storia
della salvezza. In Cristo crocifisso e risorto ci è dato di celebrare
davvero il centro ricapitolatore di tutta la realtà (cfr Ef 1,10).
Fin dall'inizio la comunità cristiana ha letto gli avvenimenti della vita di
Gesù, ed in particolare del mistero pasquale, in relazione a tutto il
percorso veterotestamentario.
b) La catechesi mistagogica si dovrà preoccupare,
inoltre, di introdurre al senso dei segni contenuti nei riti. Questo
compito è particolarmente urgente in un'epoca fortemente tecnicizzata come
l'attuale, in cui c'è il rischio di perdere la capacità percettiva in
relazione ai segni e ai simboli. Più che informare, la catechesi mistagogica
dovrà risvegliare ed educare la sensibilità dei fedeli per il linguaggio dei
segni e dei gesti che, uniti alla parola, costituiscono il rito.
c) Infine, la catechesi mistagogica deve preoccuparsi
di mostrare il significato dei riti in relazione alla vita cristiana
in tutte le sue dimensioni, di lavoro e di impegno, di pensieri e di
affetti, di attività e di riposo. È parte dell'itinerario mistagogico porre
in evidenza il nesso dei misteri celebrati nel rito con la responsabilità
missionaria dei fedeli. In tal senso, l'esito maturo della mistagogia è la
consapevolezza che la propria esistenza viene progressivamente trasformata
dai santi Misteri celebrati. Scopo di tutta l'educazione cristiana, del
resto, è di formare il fedele, come « uomo nuovo », ad una fede adulta, che
lo renda capace di testimoniare nel proprio ambiente la speranza cristiana
da cui è animato.
Per poter svolgere all'interno delle nostre comunità
ecclesiali un tale compito educativo occorre avere formatori adeguatamente
preparati. Certamente tutto il Popolo di Dio deve sentirsi impegnato in
questa formazione. Ogni comunità cristiana è chiamata ad essere luogo di
introduzione pedagogica ai misteri che si celebrano nella fede. A questo
riguardo, i Padri durante il Sinodo hanno sottolineato l'opportunità di un
maggior coinvolgimento delle Comunità di vita consacrata, dei movimenti e
delle aggregazioni che, in forza dei loro propri carismi, possono arrecare
nuovo slancio alla formazione cristiana.(188) Anche nel nostro tempo lo
Spirito Santo non lesina certo l'effusione dei suoi doni per sostenere la
missione apostolica della Chiesa, a cui spetta di diffondere la fede e di
educarla fino alla sua maturità.(189)
Unirsi a Gesù Eucaristia
PREGHIERA DI OGNI GIORNO
O Gesù, io ti credo presente in tutte le chiese del mondo, dove t’immoli
Vittima al Padre per noi, e vi rimani come nostro Cibo e nostro Ospite
divino.
In questo tuo stato di offerta, Gesù, ti vedo corrisposto con tanta
indifferenza e ingratitudine, che desidero risarcire con la mia riparazione
di amore.
A tale scopo, Gesù, mi unisco alla tua Messa, ti ricevo nel mio cuore, e con
te voglio trascorrere questo giorno inserendo le mie continue azioni nel tuo
ininterrotto Sacrificio.
O Maria, con la tua ispirazione materna, previeni e accompagna tutte le mie
azioni affinché, presentate sulle tue mani, siano pure e accette al momento
del Sacrificio santo e immacolato del tuo Gesù.
Amen.
La Messa NON finirà dunque, fino quando resterà un
Tabernacolo ed un Sacerdote legittimamente Ordinato!
Ma viene spontaneo chiederci: ci sono ancora
Tabernacoli nelle nostre Chiese? E se ci sono, come vengono trattati?
Senza ripercorrere tutta la storia sul Tabernacolo che
qui sarebbe lunga, concentriamoci sull’insegnamento della Chiesa che ci lega
alla Tradizione.
(Dal Catechismo della Chiesa Cattolica n.1362, 1364,
1366 ).
-
L'Eucaristia non è solo l'Assemblea
-
L'Eucaristia non è solo la lettura della Parola
-
L'Eucaristia non è solo la Comunione
-
L'Eucaristia è il Sacrificio della Croce di Nostro
Signore Gesù Cristo che viene reso presente e attuale sull'altare
Dunque l’Eucarestia è anche ADORAZIONE, SILENZIO,
MEDITAZIONE, CONTEMPLAZIONE è per tanto a nostra disposizione per essere
Adorato, ascoltato, meditato, contemplato ….
E questo è possibile solo davanti al Tabernacolo o quando
Gesù viene esposto in forma solenne nell’Ostensorio…. A tal proposito
suggerisco di leggere le Omelie dei Pontefici (almeno recenti) durante la
Processione del Corpus Domini!
Lasciamoci istruire dalle parole di Benedetto XVI tratte
dalla Sacramentum Caritatis:
66. Uno dei momenti più intensi del Sinodo è stato quando
ci siamo recati nella Basilica di San Pietro, insieme a tanti fedeli per
l'adorazione eucaristica. Con tale gesto di preghiera, l'Assemblea dei
Vescovi ha inteso richiamare l'attenzione, non solo con le parole,
sull'importanza della relazione intrinseca tra Celebrazione eucaristica e
adorazione. In questo significativo aspetto della fede della Chiesa si
trova uno degli elementi decisivi del cammino ecclesiale, compiuto dopo il
rinnovamento liturgico voluto dal
Concilio Vaticano II. Mentre la
riforma muoveva i primi passi, a volte
l'intrinseco rapporto tra la santa Messa e
l'adorazione del Ss.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito.
Un'obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo
secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere
contemplato, ma per essere mangiato. [v. anche Costituzione sulla Sacra
Liturgia
Sacrosanctum Concilium]
In realtà, alla luce dell'esperienza di preghiera della
Chiesa, tale contrapposizione si rivelava priva di ogni fondamento. Già
Agostino aveva detto: « nemo
autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando
– Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la
adorassimo ».(191)
Nell'Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene
incontro e desidera unirsi a noi; l'adorazione eucaristica non è che l'ovvio
sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più
grande atto d'adorazione della Chiesa.(192) Ricevere l'Eucaristia significa
porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così
e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo,
in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste. L'atto di adorazione al
di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s'è fatto nella
Celebrazione liturgica stessa.
Infatti, « soltanto nell'adorazione può maturare un'accoglienza profonda e
vera. E proprio in questo atto personale di
incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che
nell'Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il
Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni
dagli altri ».(193)
La pratica dell'adorazione eucaristica
67. Insieme all'Assemblea sinodale, pertanto, raccomando
vivamente ai Pastori della Chiesa e al Popolo di
Dio la pratica dell'adorazione
eucaristica, sia personale che comunitaria.(194) A
questo proposito, di grande giovamento sarà un'adeguata catechesi in cui
si spieghi ai fedeli l'importanza di questo atto di culto che permette di
vivere più profondamente e con maggiore frutto la stessa Celebrazione
liturgica. Nel limite del possibile, poi, soprattutto nei centri più
popolosi, converrà individuare chiese od oratori da riservare appositamente
all'adorazione perpetua.
Inoltre, raccomando che nella formazione catechistica, ed in particolare
negli itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si introducano i
fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in compagnia di Gesù,
coltivando lo stupore per la sua presenza nell'Eucaristia.
Vorrei qui esprimere ammirazione e sostegno a tutti
quegli Istituti di vita consacrata i cui membri dedicano una parte
significativa del loro tempo all'adorazione eucaristica .
In tal modo essi offrono a tutti l'esempio di persone che si lasciano
plasmare dalla presenza reale del Signore. Desidero ugualmente incoraggiare
quelle associazioni di fedeli, come anche le Confraternite, che assumono
questa pratica come loro speciale impegno, diventando così fermento di
contemplazione per tutta la Chiesa e richiamo alla centralità di Cristo per
la vita dei singoli e delle comunità.
Forme di devozione eucaristica
68. Il rapporto personale che il singolo fedele instaura
con Gesù, presente nell'Eucaristia, lo rimanda sempre all'insieme della
comunione ecclesiale, alimentando in lui la consapevolezza della sua
appartenenza al Corpo di Cristo. Per questo, oltre ad invitare i singoli
fedeli a trovare personalmente del tempo da trascorrere in preghiera davanti
al Sacramento dell'altare , ritengo
doveroso sollecitare le stesse parrocchie e gli altri gruppi ecclesiali a
promuovere momenti di adorazione comunitaria.
Ovviamente, conservano tutto il loro valore le già esistenti forme di
devozione eucaristica. Penso, ad esempio, alle processioni eucaristiche,
soprattutto alla tradizionale processione nella solennità del Corpus
Domini, alla pia pratica delle Quarant'ore, ai Congressi eucaristici
locali, nazionali e internazionali, e alle altre iniziative analoghe.
Opportunamente aggiornate e adattate alle circostanze diverse, tali forme di
devozione meritano di essere anche oggi coltivate.(195)
Il luogo del tabernacolo nella chiesa
69. In relazione all'importanza della custodia
eucaristica e dell'adorazione e riverenza nei confronti del sacramento del
Sacrificio di Cristo, il Sinodo dei Vescovi si è interrogato riguardo
all'adeguata collocazione del tabernacolo all'interno delle nostre
chiese.(196) La sua corretta posizione, infatti, aiuta a riconoscere la
presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento. È necessario pertanto
che il luogo in cui vengono conservate le specie eucaristiche sia facilmente
individuabile, grazie anche alla lampada perenne, da chiunque entri in
chiesa. A tale fine, occorre tenere conto della disposizione
architettonica dell'edificio sacro: nelle chiese in cui non esiste la
cappella del Santissimo Sacramento e permane l'altare maggiore con il
tabernacolo, è opportuno continuare
ad avvalersi di tale struttura per la conservazione ed adorazione
dell'Eucaristia, evitando di collocarvi innanzi la sede del celebrante.
Nelle nuove chiese è bene predisporre la cappella del
Santissimo in prossimità del presbiterio ; ove ciò
non sia possibile, è preferibile situare il tabernacolo nel presbiterio,
in luogo sufficientemente elevato, al centro della zona absidale, oppure in
altro punto ove sia ugualmente ben visibile. Tali accorgimenti concorrono a
conferire dignità al tabernacolo, che deve sempre essere curato anche sotto
il profilo artistico. Ovviamente è necessario tener conto di quanto afferma
in proposito l'Ordinamento Generale del Messale Romano.(197) Il
giudizio ultimo su questa materia spetta comunque al Vescovo diocesano.
Di proposito non ho voluto aggiungere, né aggiungerò
nulla, alle parole del Santo Padre perché un altro danno che abbiamo fatto è
stato quello di INTERPRETARE anche il Magistero Pontificio a seconda delle
nostre necessità … Come abbiamo letto, invece, le parole del Papa sono
chiarissime e non necessitano di interpretazioni, tanto meno di
“aggiustamenti” per giustificare magari dei personali dissensi o avvalorare
personali interpretazioni liturgiche.
Una cosa va spiegata invece:
quando il Papa dice “spetta al Vescovo diocesano” è ovvio
che anche il Vescovo deve attenersi all’obbedienza delle Norme stabilite
dalla Chiesa, ossia, in queste decisioni che spetta Lui prendere, non sono
contemplate iniziative che non sono in comunione con TUTTA la Chiesa.
Le stesse “concessioni” che un Vescovo diocesano può dare
in determinati casi, devono tenere conto della Tradizione ed in comunione
con la Sede Apostolica.
Infine diamo uno sguardo al PRECETTO DELLA DOMENICA….
Sempre attraverso la Sacramentum Caritatis
« Iuxta dominicam viventes » – Vivere secondo la domenica
72. Questa radicale novità che l'Eucaristia introduce
nella vita dell'uomo si è rivelata
alla coscienza cristiana fin dall'inizio. I fedeli
hanno subito percepito il profondo influsso che la Celebrazione eucaristica
esercitava sullo stile della loro vita. Sant'Ignazio di Antiochia esprimeva
questa verità qualificando i cristiani come « coloro che sono giunti alla
nuova speranza », e li presentava come
coloro che vivono « secondo la domenica »
(iuxta dominicam viventes).(204) Questa formula del grande martire
antiocheno mette chiaramente in luce il nesso tra la realtà eucaristica e
l'esistenza cristiana nella sua quotidianità. La consuetudine
caratteristica dei cristiani di riunirsi
nel primo giorno dopo il sabato
per celebrare la risurrezione di Cristo – secondo il racconto di san
Giustino martire(205) – è anche il dato che definisce la forma
dell'esistenza rinnovata dall'incontro con Cristo. La formula di
sant'Ignazio – « Vivere secondo la domenica » – sottolinea pure il valore
paradigmatico che questo giorno santo possiede per ogni altro giorno della
settimana. Esso, infatti, non si distingue in base alla semplice sospensione
delle attività solite, come una sorta di parentesi all'interno del ritmo
usuale dei giorni. I cristiani hanno sempre sentito questo giorno come il
primo della settimana, perché in esso si fa memoria della radicale novità
portata da Cristo. Pertanto, la domenica è il giorno in cui il cristiano
ritrova quella forma eucaristica della sua esistenza secondo la quale è
chiamato a vivere costantemente. « Vivere secondo la domenica » vuol dire
vivere nella consapevolezza della liberazione portata da Cristo e svolgere
la propria esistenza come offerta di se stessi a Dio, perché la sua vittoria
si manifesti pienamente a tutti gli uomini attraverso una condotta
intimamente rinnovata.
Vivere il precetto festivo
73. I Padri sinodali, consapevoli di questo principio
nuovo di vita che l'Eucaristia pone nel cristiano, hanno ribadito
l'importanza per tutti i fedeli del
precetto domenicale come fonte di libertà autentica,
per poter vivere ogni altro giorno secondo quanto hanno celebrato nel «
giorno del Signore ». La vita di fede, infatti, è in pericolo quando non si
avverte più il desiderio di partecipare alla Celebrazione eucaristica in cui
si fa memoria della vittoria pasquale. Partecipare all'assemblea liturgica
domenicale, insieme a tutti i
fratelli e le sorelle con i quali si forma un solo corpo in Cristo Gesù, è
richiesto dalla coscienza cristiana e al tempo stesso forma la coscienza
cristiana. Smarrire il senso della domenica come giorno del Signore da
santificare è sintomo di una perdita del senso autentico della libertà
cristiana, la libertà dei figli di Dio (206).
Rimangono preziose, a questo riguardo, le osservazioni fatte dal mio
venerato predecessore, Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica
Dies Domini
(207), a proposito delle diverse dimensioni della domenica per i
cristiani: essa è Dies Domini, in riferimento all'opera della
creazione; Dies Christi in quanto giorno della nuova creazione e del
dono che il Signore Risorto fa dello Spirito Santo; Dies Ecclesiae
come giorno in cui la comunità cristiana si ritrova per la celebrazione;
Dies hominis come giorno di gioia, riposo e carità fraterna.
Un tale giorno, pertanto, si manifesta come festa
primordiale, nella quale ogni fedele, nell'ambiente in cui vive, può farsi
annunziatore e custode del senso del tempo. Da questo giorno, in effetti,
scaturisce il senso cristiano dell'esistenza ed un nuovo modo di vivere il
tempo, le relazioni, il lavoro, la vita e la morte .
È bene, dunque, che nel giorno del Signore le realtà ecclesiali organizzino,
intorno alla Celebrazione eucaristica domenicale, manifestazioni proprie
della comunità cristiana: incontri amichevoli, iniziative per la formazione
nella fede di bambini, giovani e adulti, pellegrinaggi, opere di carità e
momenti diversi di preghiera. A motivo di questi valori così importanti –
per quanto giustamente il sabato sera sin dai Primi Vespri appartenga già
alla Domenica e sia permesso adempiere in esso al precetto domenicale – è
necessario rammentare che è la domenica in se stessa che merita di essere
santificata, perché non finisca per risultare un giorno « vuoto di Dio ».(208)
Appare evidente così che le catechesi riguardanti la
Domenica hanno la precedenza ASSOLUTA, la concessione che viene fatta della
Messa al Sabato sera non può costituire la catechesi PRINCIPALE di nessun
gruppo che voglia definirsi cattolico….
La Messa NON è finita! La Messa è più viva che mai e ci
spinge ad impegnarci concretamente nelle Promesse Battesimali,
nell’adempimento della Parola ASCOLTATA, nella missione resa forte
dall’Eucarestia appena adorata e ricevuta, nell’obbedienza alla Professione
di Fede pronunciata nel Credo, fino all’umile servizio nell’accogliere
quanto abbiamo ricevuto dalla Tradizione e nel donarlo a nostra volta senza
nulla aggiungere, né togliere, ma nella costante applicazione delle
prescrizioni ricevute per donare a noi stessi e al prossimo la Verità !
Fraternamente CaterinaLD
12.10.2008 San Serafino da Montegranaro
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