Dal forum "Noi e gli altri" di Magdi Allam sul Corriere della Sera

Pubblichiamo i documenti che seguono, in quanto rispecchiano la realtà del nostro tempo, completati dalle riflessioni, scaturite anche dalla recente sentenza de L'Aquila sulla estromissione del Crocefisso da un'aula scolastica, innestate nella irrinunciabile esigenza di dialogo per evitare rischiose contrapposizioni


>Non avere paura!    Magdi Allam, Corriere della Sera 1 ottobre 2003
>Sul frate turco La lettera di Mehmet
>Sì a Cristo, No alla paura  La risposta di Frate Antuan
>Frate Antuan Intervista dal Corriere della Sera del 3 settembre 2003
>Dal Corano al saio Intervista su Il nuovo diario messaggero, 13 sett 2003
>Ancora frate Antuan Intervista a La Razón, 8 ottobre 2003
>Magdi Allam Islam ed Ebrei in Turchia. Corriere, 16 nov 2003
>Il Crocefisso e l'Islam

Riflessioni inviate al Forum e non pubblicate, che ci sembrano comunque utili per una condivisione e maggiore presa di coscienza. 
Se vi interessa una versione più completa e meditata



 

Non avere paura!      torna su

La risposta al dialogo tra l'unico religioso cattolico proveniente dall'islam e residente in Italia, e un connazionale turco che vorrebbe anch'egli convertirsi al cristianesimo ma ha paura

Il 3 settembre scorso ho ricevuto una lettera inviata da Mehmet Ali, un venticinquenne turco studioso di Lingua italiana all’Università di Istanbul. Si trattava di un commento alla mia intervista a frate Antuan, un musulmano turco convertitosi al cattolicesimo e alla missione sacerdotale, pubblicata sul Corriere della Sera il 3 settembre scorso. Mehmet Ali scrive: “Vorrei complimentarmi con questo frate, perché la sua scelta esige molto coraggio. Anch'io per qualche anno ho frequentato una comunità protestante, poi una chiesa cattolica ma alla fine pur essendo convinto non ho avuto il coraggio di affrontare le conseguenze che il battesimo mi avrebbe portato! Come lo dice bene anche Antuan, la Turchia è un paese "laico" ma non più di tanto! Ho paura che in un futuro la polizia turca a questo frate faccia pagare tutto ciò che dice e tutto ciò che fa, anche se non dice e non fa nulla di male al suo paese! Ammiro il suo coraggio ed il desiderio che ha per ritornare qui in Turchia. Non ci sarebbe la possibilità di mettersi in contatto con lui?”. Ho rigirato la sua lettera a frate Antuan. Oggi pubblichiamo la sua risposta. Il risultato è un eccezionale dialogo tra un musulmano turco convertito al cristianesimo e che ha deciso di dedicare la sua vita alla diffusione del Vangelo nella sua patria, e un connazionale che vorrebbe convertirsi ma ne teme le conseguenze. Il messaggio di frate Antuan è chiaro e forte: non avere paura! Difendi la tua libertà religiosa perché in questo modo difendi la libertà di tutti i turchi! Frate Antuan si sta rivelando un personaggio straordinario. Ha trasformato la sua battaglia personale per la libertà di religione in un battaglia di civiltà di tutto il suo popolo. Noi lo seguiremo e lo sosterremo.

Magdi Allam

 


Sul frate turco        torna su

Egregio, io mi chiamo Mehmet Ali, ho 25 anni, sono della Turchia e studio la lingua italiana all'Università di Istanbul. Ho letto il 3 di settembre scorso l'intervista che ha fatto a un frate turco di nome Antuan (pubblicata dal Corriere della Sera, ndr). Avrei voluto che la sua intervista fosse stata più lunga e le sue risposte più approfondite. Spero che lo faccia in un futuro non molto lontano, anche perché sarei curioso di sapere come andrà finire il suo processo presso i tribunali turchi. Vorrei comunque complimentarmi con questo frate, perché la sua scelta esige molto coraggio. Anch'io per qualche anno ho frequentato una comunità protestante, poi una chiesa cattolica ma alla fine pur essendo convinto non ho avuto il coraggio di affrontare le conseguenze che il battesimo mi avrebbe portato! Come lo dice bene anche Antuan, la Turchia è un paese "laico" ma non più di tanto! Ho paura che in un futuro la polizia turca a questo frate faccia pagare tutto ciò che dice e tutto ciò che fa, anche se non dice e non fa nulla di male al suo paese! Ammiro il suo coraggio ed il desiderio che ha per ritornare qui in Turchia. Non ci sarebbe la possibilità di mettersi in contatto con lui? Grazie e buon lavoro.

mehmet78




“Sì a Cristo, No alla paura”     torna su

(l'intervento di Frate Antuan, l'unico religioso cattolico proveniente dall'islam e residente in Italia, ndr)

Carissimo Mehmet Ali, mi ha fatto molto piacere leggere il tuo messaggio, e ti ringrazio di cuore per le tue parole incoraggianti. Può essere vero, senza dubbio, che la scelta che ho fatto sia una scelta assai difficile e in un certo senso possa avere delle conseguenze altrettanto difficili.

Prima di tutto mi complimento con te per il tuo italiano, e mi fa altrettanto piacere sapere che ci sono dei ragazzi turchi che seguono anche i giornali italiani: ciò, senza dubbio, è un segno evidente del desiderio - che noi Turchi in gran maggioranza portiamo nel nostro cuore - d’apertura all’Occidente, di conoscere la sua cultura. Magari è anche un’occasione di paragonare e di notare il livello altissimo di qualità e libertà d’espressione che hanno e che manca purtroppo in gran parte ai nostri quotidiani!

Se ti consola neanche la mia conversione al Cattolicesimo, è stata indolore. Avevo una laurea in Amministrazione pubblica, conseguita in una delle migliori università del nostro paese, e quindi delle prospettive interessanti per il futuro, la possibilità di fare una carriera considerevole sia nell’Amministrazione pubblica sia –volendo- nell’esercito. Ma con la conversione al Cattolicesimo le cose sarebbero andate diversamente! Mi spiego bene: - come lo affermi anche tu - la Turchia, a differenza di altri Paesi islamici quali l’Iran, la Siria, ecc, ha scelto di essere uno stato “laico” e, quindi, tendente alla libertà religiosa; di solito, quando si parla della laicità, si suole intendere divisione fra gli affari religiosi da una parte e gli affari politici e cosiddetti temporali dall’altra; e per divisione fra la religione e gli affari dello Stato, si intende soprattutto che lo Stato o chi per esso, si astiene di intromettersi nelle questioni religiose, perché queste ultime appartengono al dominio della coscienza personale di ciascun cittadino.

Ma, come costaterai da vicino anche tu, ciò purtroppo non succede nel nostro Paese.  Sebbene lo Stato in nome di quella “laicità”, si guardi bene, dal fare la minima allusione all’Islam nelle Costituzioni, si impegna però a tenere sotto controllo tutto ciò che tocca da vicino o da lontano la religione. Contraddizione. In Turchia tuttora non ci sono né colonnelli, né generali cristiani od ebrei neppure prefetti o sottoprefetti che non siano musulmani. Allora per uno che si converte al Cattolicesimo si chiudono immediatamente le porte della carriera! Un po' d’ironia ci sta bene: mi piace definire “zoppo” il laicità del nostro paese, aggiungo subito che non è destinato a rimanerlo per sempre!

Non ho paura di rientrare in Turchia come sacerdote; se il Buon Dio lo vorrà ci ritornerò tra qualche anno. E mi metterò al servizio di tutti, siano essi cristiani o musulmani. Non voglio soltanto di assistere le Comunità cristiane già esistenti o i ragazzi turchi in ricerca, ma “sogno” anche di essere un “ponte” tra lo Stato turco e la giovane Chiesa cattolica della Turchia. Oggi il nostro paese, in vista di un eventuale ingresso nell’UE, se anche non sono sufficienti, ha fatto grandi passi, e credo dobbiamo esserne fieri.

È una cosa paradossale che tutte queste “riforme” che non si facevano da 40 anni (40 anni fa, il 12 settembre 1963, la Turchia aveva firmato il Trattato d’Ankara con la CEE)  siano state realizzate, in un anno soltanto, da un partito che oggi si dichiara “conservatore democratico” ma che è stato fondato sulle macerie dei due precedenti, sciolti dalle nostre istituzioni laiche con l’accusa di fondamentalismo! In questo senso anche io confermo il mio apprezzamento per gli sforzi che il nostro Paese, guidato ora da questo partito “islamico moderato AKP (Giustizia e Sviluppo)” sta compiendo per soddisfare le richieste dell’Unione: si tratterà ora soltanto di verificare l’ampiezza e l’efficacia d’applicazione delle riforme realizzate.

Io e tu siamo giovani e credo che abbiamo il dovere di lavorare, con tutti gli altri giovani Turchi, per il progresso della Turchia, per la libertà d’espressione, di religione, ecc. Questa è l’ora giusta. Lo vedo anche in te (lo deduco facilmente dalle espressioni forti che usi): noi Turchi ci portiamo dentro un timore considerevole nei riguardi della Polizia; credo che un’occidentale faccia fatica a comprendere le ragioni di questa paura. No, Mehmet Ali! Noi dobbiamo superare anche questo. Ti ringrazio di cuore, ma non condivido il tuo “mettermi in guardia”: perché la Polizia mi avrebbe dovuto “far pagare tutto ciò che dico e tutto ciò che faccio?!”

Com’è stato già chiesto qualche settimana fa dai rappresentanti d’alto livello di tutte le Chiese cristiane della Turchia a Mehmet Elkatmis, Presidente della Commissione Parlamentare per i Diritti umani, ormai le autorità Turche – tra cui anche la Polizia – devono incominciare a non considerare i cittadini Turchi cristiani come un potenziale pericolo per la sicurezza e l’unità del “nostro” paese. Noi amiamo il nostro paese, e convertiti o nativi cristiani che sono, continuiamo volentieri ad essere sui cittadini a pieno titolo.

Quelle del Papa, pronunciate all’ambasciatrice turca in Udienza l’11 dicembre 2001, sono espressioni forti sulle quali invito a riflettere te e tutti quelli che si interessano alla Turchia: Egli ribadisce che, nell’attuale fase internazionale, data la sua importanza geopolitica e socio-culturale, la Turchia potrebbe “essere un importante ponte” tra culture e fedi e un esempio di “Stato laico aperto alla trascendenza”. La Turchia “largamente musulmana, profondamente segnata da una gran tradizione religiosa e culturale che viene dai primi secoli dell’Islam” ma che “guarda anche all’Occidente con le sue radici cristiane” e “continua ancora l’antica interazione tra Occidente cristiano e Oriente musulmano, più intensa e complessa di quanto sia solitamente riconosciuto”. Per cui “in un tempo in cui la causa della pace deve essere servita promovendo il dialogo tra le culture religiose del mondo, in particolare tra Islam e cristianesimo, la comunità internazionale guarda con speranza a questa nazione”.

Quanto al processo per ottenere il cambio del mio nome nei documenti ufficiali, ormai mancano pochissimi giorni: devi sapere che la mia richiesta risale al mese di settembre del 2002: il caso è stato rifiutato dal Tribunale di Prima Istanza d’Ankara, quindi ho dovuto fare appello alla Corte di Cassazione (YARGITAY) la quale ha rigettato il rifiuto del primo non nella sostanza ma nella forma, e così mi trovo ora di fronte a un nuovo processo. Ho piena fiducia nella giustizia turca e nel fatto che la Turchia sia uno Stato di diritto, quindi serbo una piena speranza che otterrò ciò che desidero. Se per caso quel “ciò” non sarà successo, pur dispiacendomi tanto, non esiterò, in nome della libertà religiosa, a rivolgermi alle competenti Istituzioni europee.

Quindi coraggio fratello, fa’ quello che ti senti nel tuo cuore, senza smettere di collaborare e combattere per il raggiungimento dei valori democratici europei desiderati da Mustafa Kemal Ataturk e dalla stragrande maggioranza dei “popoli” che vivono nel nostro meraviglioso paese.

Frate Antuan 

 



Stralcio dal Corriere della Sera del 3 settembre 2003     
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Frate Antuan fa tenerezza. Veste un semplice saio marrone. Pizzetto curato. Sguardo mite e riflessivo. Ha subito vessazioni in patria ed è stato vittima di aggressioni verbali e fisiche in Italia. Ma lui non demorde. Ha un carattere tenace. Con un radicato senso della vita come missione: «Già all’università avevo cominciato a mettere in discussione la mia religione. Avevo scoperto che non mi soddisfacevano spiritualmente le cose che facevo, la preghiera, la lettura del Corano. Il Signore che desideravo così vicino a me, nell’islam lo scoprivo molto lontano. Padrone di ogni cosa, ma non un Dio che sta con noi. Piuttosto un Dio irraggiungibile». Sottolinea la serietà con cui affrontò la sua crisi interiore: «Ho voluto leggere il Corano in turco. Nel mio piccolo ho cominciato a scoprire alcune contraddizioni. Del tipo: in un passo si parla dell’amore e dell’elemosina per i poveri, in un altro si parla della guerra contro gli infedeli e del bottino. Non riuscivo a conciliare queste differenze».

Poi il destino che si compie: «Per caso, un giorno sono entrato in una chiesa cattolica a Mersin, nel sud della Turchia. Avevo finito l'università. La chiesa è retta da una comunità di religiosi cappuccini di Parma. Lì ho conosciuto il bibliotecario, padre Raimondo Bardelli, un anziano che a me è sembrato come Simeone del tempio di cui si parla nel Vangelo. Mi dava i libri da leggere. Poi con amorevole pazienza rispondeva alle mie domande. Per la mia conversione è stato importante vedere in questa persona la disponibilità, la pazienza, l’amore, il desiderio di annunciare agli altri la fede in Cristo».

Infine la svolta, la scelta di vita: «A un certo punto ho cominciato a frequentare la messa. All’inizio l’ho fatto per curiosità. Veniva celebrata in turco. Nella mia conversione è stato importante il fatto di capire le parole della preghiera rivolte a Dio. Seguivo la messa cristiana recitata in turco, ma non comprendevo la preghiera islamica pronunciata in arabo. L’islam è una religione che ho praticato nell’esteriorità. Questa è una delle ragioni per cui voglio tornare in Turchia quando diventerò sacerdote. Voglio celebrare la messa in turco, confessare in turco. La mia esperienza dimostra che in Turchia ci sono veramente molti ragazzi alla ricerca della verità. Questi ragazzi, se entrano in chiesa e parlano con un sacerdote, devono essere accolti da un sacerdote che conosca la lingua e la cultura turca. Così il loro cammino spirituale va avanti».
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L'intero testo dell'articolo, dal titolo: Le nuove catacombe degli islamici convertiti


Riflessioni, pertinenti con la tematica, non pubblicate   torna su

In tutto questo dibattere sul diritto di esporre o non esporre il crocifisso, il rischio più serio alla fine è quello di "cosificarlo" o comunque banalizzarne il significato. In ogni caso a ciò, dobbiamo riconoscere con dolore, stanno già ampiamente provvedendo i vuoti e le mode della secolarizzazione imperante.

Io sono cristiana e, personalmente, il fatto di vedere esposta l'immagine del mio Signore nel momento della massima espressione del Suo amore per me e per l'umanità intera mi conforta e mi aiuta a lasciarmene compenetrare sempre più. Non bisogna tuttavia dimenticare che l'evento della croce è seguito dalla Risurrezione, che pure e soprattutto coinvolge i credenti cristiani, che è da lì che sono nati.

Purtroppo nel corso della storia, uomini sedicenti cristiani hanno brandito la croce trasformandola da simbolo di vita in simbolo di morte, fornendo una contro-testimonianza della realtà profonda che essa rappresenta. Ed anche ora, attraverso la grancassa mediatica, continueranno a brandirla molti che di cristiano hanno solo l'etichetta; il che oltretutto serve a offrire un comodo alibi a chi, figlio della cultura del "sospetto", vede nella fede solo pastoie che gli impedirebbero di perseguire la propria estrema autodeterminazione.

Il nostro dramma di oggi è che nelle aule scolastiche non sempre c'è qualcuno in grado di spiegare ai ragazzi CHI è il Crocifisso, che rimane solo una presenza non rilevante, cara vecchia abitudine o tradizione. E invece in quella croce sta una sfida radicale, che in fondo è per un SÌ o un NO alla Vita. Se qualcuno venisse almeno a dirlo, anche nelle tante Agorà televisive, e avesse la faccia di uno che ci crede e lo conosce!

Premesso questo richiamo al significato profondo del simbolo, ed alle tante strumentalizzazioni di cui è stato ed è fatto oggetto, mi piacerebbe che nella mia patria, nella quale ho ricevuto una eredità esistenziale e culturale impregnata di cristianesimo, non ci fosse chi venga ad impormi una sua realtà diversa, pur con tutto il rispetto che io ho per essa. D'altronde non mi pare che in Italia manchino le moschee o che i musulmani siano discriminati in alcun modo; la stessa Chiesa esprime continui richiami al dialogo, favorito dal mutuo riconoscimento e dall’approfondimento della reciproca conoscenza nel rispetto delle differenze, che non possono essere eliminate; il che resta valido non solo nei confronti dell’Islam, ma anche di tutte le altre religioni, quella ebraica in primis, nella quale sono le radici della nostra fede.

Conosco e riconosco molti valori dell'Islàm; ma credo che tutti temiamo che prevalgano i fondamentalismi sulla moderazione. In ogni caso non entra in campo solo il fondamentalismo islamico, ma anche quello di quei guerrafondai occidentali, che hanno dichiarato di voler combattere Saddam per vincere il male; altre forme di fondamentalismo potrebbero svilupparsi nella malaugurata ipotesi dovesse ingenerarsi una contrapposizione di religioni o di civiltà.

Lo sfaldamento dell’Occidente, in una emancipazione che tende a cancellare i valori fondanti di un vivere ed un convivere umano e umanizzante prima ancora che civile, rischia di prestare il fianco all’imporsi di un tipo di Islam, che non è un monolite ed ha tante sfaccettature, portatore di valori senza emancipazione.

È pur vero che la laicità impostasi nell’Occidente, portando fino alle estreme conseguenze la separazione tra religione e politica, tende a far scomparire la dimensione trascendente dalla vita pubblica. Ed è allora che può farsi strada il disprezzo per la libertà e la dignità umane, che degenerano in licenza e manipolazione.

Per uno Stato laico, la sfida consiste nell'essere davvero aperto alla trascendenza: cioè fondarsi su una visione della persona umana creata a immagine di Dio e portatrice dunque di diritti inalienabili ed universali. Esistono infatti alcuni diritti che sono universali, perché sono radicati nella natura della persona umana, piuttosto che sulle particolarità di una cultura.

Quanto alle nostre leggi, io vorrei che, oltre a tutelare le minoranze (qualcosa mi dice che oggi anch'io ne faccio parte, ma non mi sento molto tutelata) ed il giusto rispetto per le etnie e le culture diverse, promuovessero anche il riconoscimento e il rispetto da parte loro della cultura in cui sono inserite. Non mi sembra che nei Paesi islamici sia molto presente questo concetto di reciprocità, se non in termini teorici più che pratici, e solo da parte di chi è più illuminato o più tollerante e che ritengo in ogni caso anch'esso facente parte di una minoranza.(1)

In ogni caso va bene discutere, ma non è bene banalizzare questioni coinvolgente la Croce per civetteria culturale o forzoso pretesto politico. Il Crocifisso non lo merita e non ce lo consente neppure la nostra dignità civile.

Con molta stima e simpatia


Ieri due mie riflessioni, forse la prima un po' lunga, ma entrambe dichiaratamente confessionali, non hanno avuto diritto di cittadinanza su questo Forum [Noi e gli altri sul Corriere della Sera ndr]

Ci riprovo ma con scarsa speranza.

Come cristiana, più che il simbolo amo Colui cui esso rimanda ed ero convinta che molti fossero in grado di vedere in esso - attraverso una lettura anche soltanto storica - una grande prova d'amore. Tuttavia, non tutti ricordano che l'evento della croce sfocia nella Risurrezione: è da qui che sono nati i cristiani. Anche di questo nel "foro pubblico" non si odono voci.

Il problema è che nel nostro occidente secolarizzato, in cui lo Stato laico sta raggiungendo il culmine della separazione tra religione e politica, manca l'aggancio alla trascendenza, che molti hanno il diritto di rifiutare per la libertà che tutti abbiamo ricevuto da Dio e che comunque hanno perso di vista per effetto dei disvalori innescati da un secolarismo portato alle estreme conseguenze; ma se ne stanno vedendo i frutti: vuoto, smarrimento, sfaldamento dei principi fondanti della vera libertà e dignità umane.

Se per colmare i vuoti di una emancipazione senza valori dovesse affermarsi l'Islam - che certamente non è un monolite, ma presenta tante sfaccettature - portatore di valori senza emancipazione, corriamo il rischio che si sveglino i fondamentalismi presenti sia nell'oriente islamico che nell'occidente non più cristiano, cioè di coloro che o misconoscono la Croce o la brandiscono strumentalizzandola. L'unica soluzione positiva è quella di favorire un vero dialogo ed un impegno comune sui problemi veramente importanti del nostro tempo, possibile solo se c'è conoscenza e rispetto reciproci, riconoscendo e accettando anche le differenze, senza volerle abolire perché sono ineliminabili.

Con stima e simpatia.
Maria Guarini
28.10.2003

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(1) Seguendo la cronaca dei giorni successivi, che ha messo in luce la scarsa rappresentatività nell'ambito della comunità musulmana del Sig. Smith, promotore dell'iniziativa che ha suscitato tanto scalpore, la reazione immediata, emotiva, ha lasciato il posto a più razionali e meditate considerazioni.
L'unica soluzione resta sempre il dialogo; ma bisogna essere consapevoli che il vero dialogo nasce da identità mature: solo la forza della nostra identità può permetterci di aprirci all'altro senza paura, ed eventualmente cambiare insieme, arricchendoci di altre visioni del mondo senza buttare a mare le nostre. Per dialogare, però, oltre a riconoscere e rispettare l'altro, c'è bisogno di essere riconosciuti e rispettati a nostra volta.
Quel che più mi colpisce in questo frangente è una sorta di atteggiamento difensivo che ci viene spontaneo nel rapportarci con l'Islam e che vinciamo solo quanto entra in campo la razionalità. Credo che, visto che esiste, esso sia fondato sul fatto che, mentre vediamo i nostri valori sfaldarsi e facciamo tanta fatica a viverli e ad affermarli nel nostro ambito - e non sempre ci riusciamo -, percepiamo nei musulmani un maggiore radicamento in una tradizione forte, portante .... Il fatto è che l'Occidente sembra essersi affrancato dagli elementi oscurantisti della propria tradizione; ma a che prezzo? Le vicende del nostro tempo ci aiuteranno a trovare una strada maestra, attraverso una illuminata sintesi delle nostre esperienze?

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