Dal forum "Noi e gli altri"
di Magdi Allam sul Corriere
della Sera
Pubblichiamo i
documenti che seguono, in quanto rispecchiano la realtà del nostro tempo,
completati dalle riflessioni, scaturite anche dalla recente sentenza de
L'Aquila sulla estromissione del Crocefisso da un'aula scolastica,
innestate nella irrinunciabile esigenza di dialogo per evitare
rischiose contrapposizioni
La risposta al
dialogo tra l'unico religioso cattolico proveniente dall'islam e
residente in Italia, e un connazionale turco che vorrebbe anch'egli
convertirsi al cristianesimo ma ha paura
Il 3 settembre scorso ho ricevuto una lettera
inviata da Mehmet Ali, un venticinquenne turco studioso di Lingua
italiana all’Università di Istanbul. Si trattava di un commento
alla mia intervista a frate Antuan, un musulmano turco convertitosi al
cattolicesimo e alla missione sacerdotale, pubblicata
sul Corriere della Sera il 3 settembre scorso. Mehmet
Ali scrive: “Vorrei complimentarmi con questo frate, perché la sua
scelta esige molto coraggio. Anch'io per qualche anno ho
frequentato una comunità protestante, poi una chiesa cattolica ma
alla fine pur essendo convinto non ho avuto il coraggio di affrontare
le conseguenze che il battesimo mi avrebbe portato! Come lo dice bene
anche Antuan,
la Turchia è un paese "laico" ma non più di tanto!
Ho paura che in un futuro la polizia turca a questo frate faccia
pagare tutto ciò che dice e tutto ciò che fa, anche se non dice e
non fa nulla di male al suo paese! Ammiro il suo coraggio ed il
desiderio che ha per ritornare qui in Turchia. Non ci sarebbe la
possibilità di mettersi in contatto con lui?”. Ho
rigirato la sua lettera a frate
Antuan. Oggi pubblichiamo la sua risposta. Il risultato è un eccezionale
dialogo tra un musulmano turco convertito al cristianesimo e
che ha deciso di dedicare la sua vita alla diffusione del Vangelo
nella sua patria, e un
connazionale che vorrebbe convertirsi ma ne teme le conseguenze.
Il messaggio
di frate Antuan è chiaro e forte: non avere paura! Difendi la
tua libertà religiosa perché in questo modo difendi la libertà di
tutti i turchi! Frate Antuan si sta rivelando un personaggio
straordinario. Ha trasformato la sua battaglia personale per la libertà
di religione in un battaglia di civiltà di tutto il suo popolo. Noi
lo seguiremo e lo sosterremo.
Magdi Allam
Egregio, io mi chiamo
Mehmet Ali, ho
25 anni, sono della Turchia e studio la lingua italiana
all'Università di Istanbul. Ho letto il 3 di settembre scorso
l'intervista che ha fatto a un frate turco di nome Antuan (pubblicata
dal Corriere della Sera, ndr). Avrei voluto che la sua
intervista fosse stata più lunga e le sue risposte più approfondite.
Spero che lo faccia in un futuro non molto lontano, anche perché
sarei curioso di sapere come andrà finire il suo processo presso i
tribunali turchi. Vorrei comunque complimentarmi con questo frate,
perché la sua scelta esige molto coraggio. Anch'io per qualche anno
ho frequentato una comunità protestante, poi una chiesa cattolica ma
alla fine pur essendo convinto non ho avuto il coraggio di affrontare
le conseguenze che il battesimo mi avrebbe portato! Come lo dice bene
anche Antuan, la Turchia è un paese "laico" ma non più di
tanto! Ho paura che in un futuro la polizia turca a questo frate
faccia pagare tutto ciò che dice e tutto ciò che fa, anche se non
dice e non fa nulla di male al suo paese! Ammiro il suo coraggio ed il
desiderio che ha per ritornare qui in Turchia. Non ci sarebbe la
possibilità di mettersi in contatto con lui? Grazie e buon lavoro.
mehmet78
(l'intervento
di Frate Antuan, l'unico religioso cattolico proveniente dall'islam e
residente in Italia, ndr)
Carissimo
Mehmet Ali, mi ha fatto molto piacere leggere il tuo messaggio,
e ti ringrazio di cuore per le tue parole incoraggianti. Può essere
vero, senza dubbio, che la scelta che ho fatto sia una scelta assai
difficile e in un certo senso possa avere delle conseguenze
altrettanto difficili.
Prima di tutto mi
complimento con te per il tuo italiano, e mi
fa altrettanto piacere sapere che ci sono dei ragazzi turchi che
seguono anche i giornali italiani: ciò, senza dubbio, è un
segno evidente del desiderio - che noi Turchi in gran maggioranza
portiamo nel nostro cuore - d’apertura all’Occidente, di conoscere
la sua cultura. Magari è anche un’occasione di paragonare e di
notare il livello altissimo di qualità e libertà d’espressione che
hanno e che manca purtroppo in gran parte ai nostri quotidiani!
Se ti consola
neanche la mia conversione al Cattolicesimo, è stata indolore.
Avevo una laurea in Amministrazione pubblica, conseguita in una delle
migliori università del nostro paese, e quindi delle prospettive
interessanti per il futuro, la possibilità di fare una carriera
considerevole sia nell’Amministrazione pubblica sia –volendo-
nell’esercito. Ma con la conversione al Cattolicesimo le cose
sarebbero andate diversamente! Mi spiego bene: - come lo affermi anche
tu -
la Turchia, a differenza di altri Paesi islamici quali l’Iran, la
Siria, ecc, ha scelto di essere uno stato “laico” e,
quindi, tendente alla libertà religiosa; di solito, quando si parla
della laicità, si suole intendere divisione fra gli affari religiosi da
una parte e gli affari politici e cosiddetti temporali dall’altra; e
per divisione fra la religione e gli affari dello Stato, si intende
soprattutto che lo Stato o chi per esso, si astiene di intromettersi
nelle questioni religiose, perché queste ultime appartengono al
dominio della coscienza personale di ciascun cittadino.
Ma,
come costaterai da vicino anche tu, ciò purtroppo non succede nel
nostro Paese. Sebbene lo Stato in nome di quella
“laicità”, si guardi bene, dal fare la minima allusione
all’Islam nelle Costituzioni, si impegna però a tenere sotto
controllo tutto ciò che tocca da vicino o da lontano la religione.
Contraddizione. In Turchia tuttora non ci sono né colonnelli, né
generali cristiani od ebrei neppure prefetti o sottoprefetti che non
siano musulmani. Allora per uno che si converte al Cattolicesimo si
chiudono immediatamente le porte della carriera! Un po' d’ironia ci
sta bene: mi piace definire “zoppo” il laicità del nostro paese,
aggiungo subito che non è destinato a rimanerlo per sempre!
Non
ho paura di rientrare in Turchia come sacerdote; se il Buon Dio
lo vorrà ci ritornerò tra qualche anno. E mi metterò al servizio di
tutti, siano essi cristiani o musulmani. Non voglio soltanto di
assistere le Comunità cristiane già esistenti o i ragazzi turchi in
ricerca, ma “sogno” anche di essere un “ponte” tra lo Stato
turco e la giovane Chiesa cattolica della Turchia. Oggi il nostro
paese, in vista di un eventuale ingresso nell’UE, se anche non sono
sufficienti, ha fatto grandi passi, e credo dobbiamo esserne fieri.
È una
cosa paradossale che tutte queste “riforme” che non si facevano da
40 anni (40 anni fa, il 12 settembre 1963, la Turchia aveva
firmato il Trattato d’Ankara con la CEE)
siano state realizzate, in un anno soltanto, da un partito che
oggi si dichiara “conservatore democratico” ma che è stato
fondato sulle macerie dei due precedenti, sciolti dalle nostre
istituzioni laiche con l’accusa di fondamentalismo! In questo senso
anche io confermo il mio apprezzamento per gli sforzi che il nostro
Paese, guidato ora da questo partito “islamico moderato AKP
(Giustizia e Sviluppo)” sta compiendo per soddisfare le richieste
dell’Unione: si tratterà ora soltanto di verificare l’ampiezza e
l’efficacia d’applicazione delle riforme realizzate.
Io
e tu siamo giovani e credo che abbiamo il dovere di lavorare, con
tutti gli altri giovani Turchi, per il progresso della Turchia,
per la libertà d’espressione, di religione, ecc. Questa è l’ora
giusta. Lo vedo anche in te (lo deduco facilmente dalle espressioni
forti che usi): noi
Turchi ci portiamo dentro un timore considerevole nei riguardi della
Polizia; credo che un’occidentale faccia fatica a comprendere
le ragioni di questa paura. No, Mehmet Ali! Noi dobbiamo superare
anche questo. Ti ringrazio di cuore, ma non condivido il tuo
“mettermi in guardia”: perché la Polizia mi avrebbe dovuto “far
pagare tutto ciò che dico e tutto ciò che faccio?!”
Com’è stato già
chiesto qualche settimana fa dai rappresentanti d’alto livello di
tutte le Chiese cristiane della Turchia a Mehmet Elkatmis, Presidente
della Commissione Parlamentare per i Diritti umani, ormai le
autorità Turche – tra cui anche la Polizia – devono incominciare
a non considerare i cittadini Turchi cristiani come un potenziale
pericolo per la sicurezza e l’unità del “nostro” paese.
Noi amiamo il nostro paese, e convertiti o nativi cristiani che sono,
continuiamo volentieri ad essere sui cittadini a pieno titolo.
Quelle
del Papa, pronunciate all’ambasciatrice turca in Udienza
l’11 dicembre 2001, sono espressioni forti sulle quali invito a
riflettere te e tutti quelli che si interessano alla Turchia: Egli
ribadisce che, nell’attuale fase internazionale, data la sua
importanza geopolitica e socio-culturale,
la Turchia potrebbe “essere un importante ponte” tra culture e
fedi e un esempio di “Stato laico aperto alla
trascendenza”. La Turchia “largamente
musulmana, profondamente segnata da una gran tradizione religiosa e
culturale che viene dai primi secoli dell’Islam” ma che “guarda
anche all’Occidente con le sue radici cristiane” e “continua
ancora l’antica interazione tra Occidente cristiano e Oriente
musulmano, più intensa e complessa di quanto sia solitamente
riconosciuto”. Per cui “in un tempo in cui la
causa della pace deve essere servita promovendo il dialogo tra le
culture religiose del mondo, in particolare tra Islam e cristianesimo,
la comunità internazionale guarda con speranza a questa nazione”.
Quanto al processo per
ottenere il cambio del mio nome nei documenti ufficiali, ormai mancano
pochissimi giorni: devi sapere che la mia richiesta risale al mese di
settembre del 2002: il caso è stato rifiutato dal Tribunale di Prima
Istanza d’Ankara, quindi ho dovuto fare appello alla Corte di
Cassazione (YARGITAY) la quale ha rigettato il rifiuto del primo non
nella sostanza ma nella forma, e così mi trovo ora di fronte a un
nuovo processo. Ho piena fiducia nella giustizia turca e nel fatto che
la Turchia sia uno Stato di diritto, quindi serbo una piena speranza
che otterrò ciò che desidero. Se per caso quel “ciò” non sarà
successo, pur dispiacendomi tanto, non esiterò, in nome della libertà
religiosa, a rivolgermi alle competenti Istituzioni europee.
Quindi
coraggio fratello, fa’ quello che ti senti nel tuo cuore,
senza smettere di collaborare e combattere per il raggiungimento dei
valori democratici europei desiderati da Mustafa Kemal Ataturk e dalla
stragrande maggioranza dei “popoli” che vivono nel nostro
meraviglioso paese.
Frate Antuan
Stralcio dal Corriere della Sera del 3 settembre 2003
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[...]
Frate Antuan fa tenerezza. Veste un semplice saio marrone. Pizzetto
curato. Sguardo mite e riflessivo. Ha subito vessazioni in patria ed
è stato vittima di aggressioni verbali e fisiche in Italia. Ma lui
non demorde. Ha un carattere tenace. Con un radicato senso della
vita come missione: «Già all’università avevo cominciato a
mettere in discussione la mia religione. Avevo scoperto che non mi
soddisfacevano spiritualmente le cose che facevo, la preghiera, la
lettura del Corano. Il Signore che desideravo così vicino a me,
nell’islam lo scoprivo molto lontano. Padrone di ogni cosa, ma non
un Dio che sta con noi. Piuttosto un Dio irraggiungibile».
Sottolinea la serietà con cui affrontò la sua crisi interiore: «Ho
voluto leggere il Corano in turco. Nel mio piccolo ho cominciato a
scoprire alcune contraddizioni. Del tipo: in un passo si parla
dell’amore e dell’elemosina per i poveri, in un altro si parla
della guerra contro gli infedeli e del bottino. Non riuscivo a
conciliare queste differenze».
Poi il destino che si compie: «Per caso, un giorno sono entrato in
una chiesa cattolica a Mersin, nel sud della Turchia. Avevo finito
l'università. La chiesa è retta da una comunità di religiosi
cappuccini di Parma. Lì ho conosciuto il bibliotecario, padre
Raimondo Bardelli, un anziano che a me è sembrato come Simeone del
tempio di cui si parla nel Vangelo. Mi dava i libri da leggere. Poi
con amorevole pazienza rispondeva alle mie domande. Per la mia
conversione è stato importante vedere in questa persona la
disponibilità, la pazienza, l’amore, il desiderio di annunciare
agli altri la fede in Cristo».
Infine la svolta, la scelta di vita: «A un certo punto ho
cominciato a frequentare la messa. All’inizio l’ho fatto per
curiosità. Veniva celebrata in turco. Nella mia conversione è
stato importante il fatto di capire le parole della preghiera
rivolte a Dio. Seguivo la messa cristiana recitata in turco, ma non
comprendevo la preghiera islamica pronunciata in arabo. L’islam è
una religione che ho praticato nell’esteriorità. Questa è una
delle ragioni per cui voglio tornare in Turchia quando diventerò
sacerdote. Voglio celebrare la messa in turco, confessare in turco.
La mia esperienza dimostra che in Turchia ci sono veramente molti
ragazzi alla ricerca della verità. Questi ragazzi, se entrano in
chiesa e parlano con un sacerdote, devono essere accolti da un
sacerdote che conosca la lingua e la cultura turca. Così il loro
cammino spirituale va avanti».
[...]
_________________
L'intero testo dell'articolo, dal
titolo: Le nuove
catacombe degli islamici convertiti
Riflessioni, pertinenti con la
tematica, non pubblicate torna su
In tutto questo dibattere sul
diritto di esporre o non esporre il crocifisso, il rischio più serio
alla fine è quello di "cosificarlo" o comunque banalizzarne
il significato. In ogni caso a ciò,
dobbiamo riconoscere con dolore, stanno già ampiamente provvedendo i
vuoti e le mode della secolarizzazione imperante.
Io sono cristiana e,
personalmente, il fatto di vedere esposta l'immagine del mio Signore
nel momento della massima espressione del Suo amore per me e per
l'umanità intera mi conforta e mi aiuta a lasciarmene compenetrare
sempre più. Non bisogna tuttavia dimenticare che l'evento della croce è
seguito dalla Risurrezione, che pure e soprattutto coinvolge i
credenti cristiani, che è da lì che sono nati.
Purtroppo nel corso della
storia, uomini sedicenti cristiani hanno brandito la croce
trasformandola da simbolo di vita in simbolo di morte, fornendo una
contro-testimonianza della realtà profonda che essa rappresenta. Ed
anche ora, attraverso la grancassa mediatica, continueranno a
brandirla molti che di cristiano hanno solo l'etichetta; il che
oltretutto serve a offrire un comodo alibi a chi, figlio della cultura
del "sospetto", vede nella fede solo pastoie che gli
impedirebbero di perseguire la propria estrema autodeterminazione.
Il nostro dramma di oggi è che
nelle aule scolastiche non sempre c'è qualcuno in grado di spiegare
ai ragazzi CHI è il Crocifisso, che rimane solo una presenza non
rilevante, cara vecchia abitudine o tradizione. E invece in quella
croce sta una sfida radicale, che in fondo è per un SÌ o un NO alla
Vita. Se qualcuno venisse almeno a dirlo, anche nelle tante Agorà
televisive, e avesse la faccia di uno che ci crede e lo conosce!
Premesso questo richiamo al
significato profondo del simbolo, ed alle tante strumentalizzazioni di
cui è stato ed è fatto oggetto, mi piacerebbe che nella mia patria,
nella quale ho ricevuto una eredità esistenziale e culturale
impregnata di cristianesimo, non ci fosse chi venga ad impormi una sua
realtà diversa, pur con tutto il rispetto che io ho per essa.
D'altronde non mi pare che in Italia manchino le moschee o che i
musulmani siano discriminati in alcun modo; la stessa Chiesa esprime
continui richiami al dialogo, favorito dal mutuo riconoscimento e dall’approfondimento
della reciproca conoscenza nel rispetto delle differenze, che non
possono essere eliminate; il che resta valido non solo nei confronti
dell’Islam, ma anche di tutte le altre religioni, quella ebraica in
primis, nella quale sono le radici della nostra fede.
Conosco e riconosco molti valori
dell'Islàm; ma credo che tutti temiamo che prevalgano i
fondamentalismi sulla moderazione. In ogni caso non entra in campo solo il
fondamentalismo islamico, ma anche quello di quei guerrafondai
occidentali, che hanno dichiarato di voler combattere
Saddam per vincere il male; altre forme di fondamentalismo potrebbero
svilupparsi nella malaugurata ipotesi dovesse ingenerarsi una
contrapposizione di religioni o di civiltà.
Lo sfaldamento dell’Occidente,
in una emancipazione che tende a cancellare i valori fondanti di un
vivere ed un convivere umano e umanizzante prima ancora che civile,
rischia di prestare il fianco all’imporsi di un tipo di Islam, che
non è un monolite ed ha tante sfaccettature, portatore di valori
senza emancipazione.
È pur vero che la laicità
impostasi nell’Occidente, portando fino alle estreme conseguenze la
separazione tra religione e politica, tende a far scomparire la
dimensione trascendente dalla vita pubblica. Ed è allora che può
farsi strada il disprezzo per la libertà e la dignità umane, che
degenerano in licenza e manipolazione.
Per uno Stato laico, la sfida
consiste nell'essere davvero aperto alla trascendenza: cioè fondarsi
su una visione della persona umana creata a immagine di Dio e
portatrice dunque di diritti inalienabili ed universali. Esistono
infatti alcuni diritti che sono universali, perché sono radicati
nella natura della persona umana, piuttosto che sulle particolarità
di una cultura.
Quanto alle nostre leggi, io
vorrei che, oltre a tutelare le minoranze (qualcosa mi dice che oggi anch'io ne
faccio parte, ma non mi sento molto tutelata) ed il giusto rispetto per le etnie e le culture diverse,
promuovessero anche il riconoscimento e il rispetto da parte loro
della cultura in cui sono inserite. Non mi sembra che nei Paesi
islamici sia molto presente questo concetto di reciprocità, se non in
termini teorici più che pratici, e solo da parte di chi è più
illuminato o più tollerante e che ritengo in ogni caso anch'esso
facente parte di una minoranza.(1)
In ogni caso va bene discutere,
ma non è bene banalizzare questioni coinvolgente la Croce per civetteria
culturale o forzoso pretesto politico. Il Crocifisso non lo merita e
non ce lo consente neppure la nostra dignità civile.
Con molta stima e simpatia
Ieri due mie
riflessioni, forse la prima un po' lunga, ma entrambe dichiaratamente
confessionali, non hanno avuto diritto di cittadinanza su questo Forum
[Noi e gli altri sul Corriere della Sera ndr]
Ci riprovo ma con
scarsa speranza.
Come cristiana, più
che il simbolo amo Colui cui esso rimanda ed ero convinta che molti fossero in grado di vedere in esso - attraverso una lettura anche
soltanto storica - una grande prova d'amore. Tuttavia, non tutti
ricordano che l'evento della croce sfocia nella Risurrezione: è da
qui che sono nati i cristiani. Anche di questo nel "foro
pubblico" non si odono voci.
Il problema è che nel
nostro occidente secolarizzato, in cui lo Stato laico sta raggiungendo
il culmine della separazione tra religione e politica, manca
l'aggancio alla trascendenza, che molti hanno il diritto di rifiutare
per la libertà che tutti abbiamo ricevuto da Dio e che comunque hanno
perso di vista per effetto dei disvalori innescati da un secolarismo
portato alle estreme conseguenze; ma se ne stanno
vedendo i frutti: vuoto, smarrimento, sfaldamento dei principi
fondanti della vera libertà e dignità umane.
Se per colmare i vuoti
di una emancipazione senza valori dovesse affermarsi l'Islam - che
certamente non è un monolite, ma presenta tante sfaccettature -
portatore di valori senza emancipazione, corriamo il rischio che si
sveglino i fondamentalismi presenti sia nell'oriente islamico che
nell'occidente non più cristiano, cioè di coloro che o misconoscono
la Croce o la brandiscono strumentalizzandola. L'unica soluzione positiva è quella di
favorire un vero dialogo ed un impegno comune sui problemi veramente
importanti del nostro tempo, possibile solo se c'è conoscenza e
rispetto reciproci, riconoscendo e accettando anche le differenze,
senza volerle abolire perché sono ineliminabili.
Con stima e simpatia.
Maria Guarini
28.10.2003
_________________________
(1)
Seguendo la cronaca dei giorni successivi, che ha messo in luce la
scarsa rappresentatività nell'ambito della comunità musulmana del
Sig. Smith, promotore dell'iniziativa che ha suscitato tanto scalpore,
la reazione immediata, emotiva, ha lasciato il posto a più razionali
e meditate considerazioni.
L'unica soluzione resta sempre il dialogo; ma bisogna essere
consapevoli che il vero dialogo nasce da identità mature: solo la
forza della nostra identità può permetterci di aprirci all'altro
senza paura, ed eventualmente cambiare insieme, arricchendoci di altre
visioni del mondo senza buttare a mare le nostre. Per dialogare,
però, oltre a riconoscere e rispettare l'altro, c'è bisogno di
essere riconosciuti e rispettati a nostra volta.
Quel che più mi colpisce in questo frangente è una sorta di
atteggiamento difensivo che ci viene spontaneo nel rapportarci con
l'Islam e che vinciamo solo quanto entra in campo la razionalità.
Credo che, visto che esiste, esso sia fondato sul fatto che, mentre
vediamo i nostri valori sfaldarsi e facciamo tanta fatica a viverli e
ad affermarli nel nostro ambito - e non sempre ci riusciamo -,
percepiamo nei musulmani un maggiore radicamento in una tradizione forte,
portante .... Il fatto è che l'Occidente sembra essersi affrancato
dagli elementi oscurantisti della propria tradizione; ma a che prezzo?
Le vicende del nostro tempo ci aiuteranno a trovare una strada
maestra, attraverso una illuminata sintesi delle nostre esperienze?
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