All’inizio degli otto giorni di
preghiera per l’unità parla il vescovo Vincenzo Paglia: «Non è
solo una questione intraecclesiale, ma un lievito di comunione in grado
di fermentare la società»
Quarant'anni dalla fine
del Concilio, quarant'anni di preghiere per l'unità dei cristiani. Con
l'ormai tradizionale Settimana - che inizia oggi sul tema Dove due o
tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro - a fare da
ideale pietra miliare di un cammino «ancora lungo», ma che «ha già
fatto notevoli passi avanti». La pensa così anche monsignor Vincenzo
Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia e presidente della Commissione
episcopale della Cei per l'ecumenismo e il dialogo, che afferma:
«L'appuntamento di quest'anno, il primo del pontificato di Benedetto
XVI, già ci proietta verso nuovi orizzonti. Perché l'ecumenismo non
è solo un fatto religioso, ma un fermento di comunione per tutta la
società».
Perché è stato scelto come tema il noto passo del Vangelo di
Matteo?
«L'unità è un dono che viene dall'alto e va invocato con la
preghiera. Ma il tema ci ricorda anche che l'unità non si fa attorno a
se stessi, ma intorno al Signore. Per questo bisogna avanzare con
sempre maggiore convinzione sulla strada dell'ecumenismo spirituale,
che non è astrattezza, ma fiducia accogliente del dono di Dio. È
ovvio che la preghiera presuppone nelle Chiese, nei credenti, negli
uomini e nelle donne di buona volontà un impegno concreto. A tutti
oggi è quindi richiesta una rinnovata responsabilità ecumenica. Non
dobbiamo lasciare nulla di intentato per ricomporre le lacerazioni
esistenti».
Quale contributo hanno dato, da questo punto di vista, le Settimane
di preghiera?
«Un primo fondamentale contributo è stato quello di aver fatto capire
a tutti che l'ecumenismo non è un'attitudine tattico-diplomatica dei
vertici, ma un modo di vivere la fede intrinseco alla stessa fede
cristiana. Oggi la Settimana è celebrata da un numero crescente di
parrocchie e di comunità ed è diventata come una pietra miliare che
ci spinge a continuare il cammino. Inoltre questo appuntamento annuale
ha permesso una maggiore conoscenza a livello di vertice. È un'
occasione per incontri anche tra i diversi responsabili delle Chiese,
oltre che il momento di maggiore visibilità dell'unità dei
cristiani».
Quella di quest'anno è anche la prima Settimana del pontificato di
Benedetto XVI.
«Sì e il Papa, fin dal primo discorso fatto nella Cappella
Sistina,
il giorno dopo l'elezione, ha dimostrato la sua grande sensibilità
ecumenica, confermandola poi in molte occasioni successive, come ad
esempio il Congresso eucaristico di Bari e la
Gmg di Colonia. Benedetto
XVI ha dato priorità assoluta all'ecumenismo, sollecitando passi
visibili verso l'unità. Prova ne sia il fatto che sarà proprio il
Santo Padre a chiudere questa Settimana, il prossimo 25 gennaio nella
Basilica di San Paolo fuori le Mura, con una particolare preghiera alla
quale saranno presenti 150 rappresentanti di tutte le Chiese e
confessioni cristiane d'Europa, che iniziano qui a Roma il cammino
verso l'assemblea ecumenica europea in programma a Sibiu nel
2007».
Qual è il valore dell'appuntamento che si svolgerà in Romania?
«Dopo le tappe di Basilea e di Graz è la prima assemblea che si
svolge in una nazione a maggioranza ortodossa. Perciò Sibiu 2007
mostra che il legame ecumenico tra le Chiese cristiane europee non solo
non si interrompe, ma si irrobustisce. Un messaggio, questo,
particolarmente importante in un tempo in cui il sogno europeo stenta a
decollare. L'ecumenismo, infatti, non è solo una questione
intraecclesiale, ma un lievito di unità, un fermento di comunione che
i cristiani sono chiamati a immettere nel corpo del nostro continente.
E qui il nome di Benedetto evoca una straordinaria vicenda spirituale,
culturale e anche sociale che ha reso l'Europa una terra di accoglienza
e di missione, di integrazione e di futuro, nonostante i momenti bui
della storia».
Eppure nuovi ostacoli, ad esempio in campo etico, sembrano
aggiungersi alle difficoltà del dialogo teologico.
«Non c'è dubbio che negli ultimi tempi sia emersa anche una
frontiera etica sulla quale sarà necessario un supplemento di
incontro. Non possiamo testimoniare una fede astratta o distante da
temi come la bioetica, la questione ambientale e quella antropologica.
Ma proprio in questo campo potrebbero essere compiuti alcuni dei passi
concreti auspicati da Papa Ratzinger. Anzi, un punto significativo di
accordo è stato trovato nell'ipotesi di una giornata comune di
riflessione sulla salvaguardia del creato».
In Italia, in particolare, qual è la situazione ecumenica?
«Dal Concilio ad oggi sono stati fatti passi davvero decisivi, ma il
lavoro che ci aspetta è particolarmente arduo. Si tratta di far
crescere la coscienza dell'ecumenismo come dimensione ordinaria della
fede. Inoltre le diocesi italiane debbono affrontare i nuovi orizzonti
ecumenici rappresentati anche dalle ultime migrazioni (si pensi che
oggi sono i fedeli ortodossi il gruppo religioso più grande nel nostro
Paese). E questo, ovviamente, se finora ha interrogato soprattutto
l'accoglienza caritativa, oggi chiama in causa anche l'accoglienza
religiosa e pastorale».
Lei ha proposto di tenere a Terni un incontro ecumenico nazionale.
Con quale finalità?
«L'incontro ecumenico che si terrà nel mese di maggio viene
organizzato da cattolici, evangelici e ortodossi. Insieme rifletteremo
sulla Carta ecumenica, per inserirci nel cammino che porta
a Sibiu».