Dopo tanti anni di difficoltà, quello avvenuto in Vaticano dal 4 al
6 novembre è il
primo incontro cristiano-islamico a
livello internazionale. Il gruppo musulmano
proveniva dal mondo arabo, africano, dall’America; vi hanno
partecipato anche alcuni imam occidentali convertiti e alcuni
dall’estremo oriente (Indonesia, Malaysia, ecc..).
Anche i membri cattolici provenivano da tutti i continenti. Il
Consiglio per il dialogo interreligioso aveva studiato apposta
questa eterogeneità. Dalle due parti vi erano pure delle donne.
Vera fraternità
L’elemento più importante da sottolineare è il clima di serenità,
amicizia, rispetto per tutto il tempo, sia nei momenti pubblici che
in quelli a tu per tu. Talvolta vi è stato nervosismo, ma davvero
poco. Questo clima è stato favorito dal Mufti di Sarajevo, Mustafa
Cerić , e del card. Tauran: entrambi hanno sempre insistito sul
voler parlarci “da fratelli, da amici”.
Anche il programma ha aiutato: ogni giorno vi erano 2 brevi
contributi di 30 minuti ognuno, cristiano e musulmano, in modo
parallelo. Ciò ha permesso di percepire le due visioni distinte, ma
che cercano di incontrarsi. Tutto il resto della giornata vi sono
stati interventi a commento e domande all’uno o all’altro. Ciò
significa che per almeno 5 ore vi era il tempo di scambiarsi
opinioni e vedute. Tutti siamo stati attenti e ligi alle regole e
alle modalità di intervento. Anche durante il pranzo si avevano
rapporti liberi. Insomma tutto è stato avvolto da un clima di
fratellanza non formale, ma di vera amicizia.
Un altro punto da sottolineare è la qualità e la serietà dei
partecipanti, di altissimo livello dal punto di vista intellettuale
e spirituale. Questo ha dato un’impronta di forte serietà al nostro
dialogare. Anche gli imam occidentali, convertiti all’Islam, avevano
una cultura molto vasta sia del mondo islamico, che di quello
cristiano, con conoscenza delle fonti medievali e di san Tommaso
d’Aquino. La relazione di Seyyed Hossein Nasr [filosofo iraniano,
professore negli Usa] ad esempio è stata davvero superba. Questo ha
contribuito a un dialogo fruttuoso e pieno di serenità.
Qualcuno potrà rilevare che il documento conclusivo (vedi:
La Dichiarazione comune di cattolici e
musulmani) è troppo generico.
Ma dobbiamo tener conto che questo è il primo di una serie. La cosa
più importante di questo Forum è che esso è un inizio.
I nn. 14 e 15 della Dichiarazione affermano che questo è l’inizio di
un processo e entro due anni dovremo fare un altro incontro in un
Paese musulmano da determinare. Ciò significa che è iniziato un
processo lento, ma continuo, che potrà portare sempre più frutti e
avvicinare le due comunità.
Le difficoltà
Il dialogo è stato franco: non ci siamo nascosti le difficoltà. Per
l’incontro avevamo scelto il titolo “Amore di Dio e amore del
prossimo”. Malgrado alcune pressioni per rimanere solo nell’ambito
teologico spirituale, vi è stato un accordo per affrontare gli
argomenti teologici il primo giorno; al secondo giorno i temi della
dignità umana e del rispetto reciproco. Qualcuno aveva paura di
questi temi, perché essi rischiano di sollevare problemi
imbarazzanti soprattutto per l’Islam, coinvolgendo la libertà di
religione, la testimonianza pubblica, la missione, ecc. Alla fine
siamo stati tutti d’accordo nell’affrontare questi temi sia a
livello filosofico, per fondare questi temi nella fede, sia a
livello pratico per suggerire alcune applicazioni. E anche questo
dialogo è stato molto fruttuoso. Anzi, soprattutto i musulmani hanno
messo in luce le fatiche del mondo islamico ad accettare temi come
l’uguaglianza fra tutti gli uomini, la comune dignità, la libertà di
professare la propria fede, ecc… Alcuni musulmani hanno quasi
invidiato i cristiani europei, che hanno compiuto un cammino storico
più lungo e profondo per conquistare la distinzione fra fede e
politica; fra Chiesa e Stato, arrivando per questo anche alla
guerra. “Tutte queste lotte - diceva qualche musulmano – ha portato
la vostra Chiesa a ripensare il rapporto fra religione e Stato. Noi
abbiamo avuto meno problemi. Ma questo non ha permesso di andare a
fondo della distinzione. Quando poi l’Europa è giunta nei nostri
Paesi, non abbiamo potuto assorbire questo insegnamento perché
l’Europa è entrata con un volto coloniale e nemico e questo ha
irrigidito le posizioni”.
Questa mi pare un’analisi valida, anche se non sufficiente. La
distinzione fra religione e politica non è solo frutto di lotte
storiche, ma di principio: essa ha radici nello stesso Vangelo, dove
Gesù rifiuta sempre di comportarsi come un capo politico o sociale.
Invece, il contesto delle tribù arabe nel VII secolo, ha spinto
Maometto a fare delle scelte socio-politiche.
Questo ha portato a un interessante dibattito su laicità,
secolarizzazione e secolarismo. Qualche musulmano ha fatto la
distinzione fra la laicità dello Stato, che “noi musulmani possiamo
accettare” e la laicità nel senso del secolarismo ateo “che è da
combattere”.
Questa sottolineatura è un contributo per tutti, anche per le nostre
società occidentali, che affondano in un ateismo pratico e . Diversi
hanno citato (e apprezzato) più volte la posizione del papa sulla
“laicità aperta” [alla dimensione religiosa- v.
il discorso di Regensburg]. Soprattutto da parte musulmana si è sottolineato che
questo problema del secolarismo unisce cristiani e musulmani. Le
chiese si svuotano, ci dicevano; le moschee di meno, ma questa
ripresa delle moschee può essere un rifugio identitario, per
agganciarsi a qualcosa. Vi sono stati contributi di tipo teologico,
sociologico, filosofico dalle due parti, con grande arricchimento
per tutto. Tutto il problema del secolarismo meriterebbe un convegno
a sé.
Da qui si è passati al problema della libertà di coscienza e di
religione, un tema molto delicato, che è stato toccato con
discrezione, e che è riemerso al momento di accettare il documento
finale.
Nella Dichiarazione comune, al punto 5 è emerso “il diritto di
persone e comunità a praticare la propria religione in privato e in
pubblico”. Qui sono emerse difficoltà forti. Alcuni musulmani
dicevano: “Se aggiungete queste parole ci mettete in difficoltà. La
libertà di religione nei nostri Paesi è gestita da leggi dello
Stato. Come facciamo a diffondere un documento se è contrario alle
leggi dello Stato? Il rischio è di essere squalificati ed emarginati
nella nostra società”. Alcuni musulmani hanno suggerito di togliere
almeno le parole “in privato e in pubblico”.
C’era anche una formulazione che difendeva il diritto di diffondere
la propria fede come “Da’wa” (la missione per l’Islam) o come
Tabshir (la missione cristiana). Ma questa è stata ritenuta troppo
forte e l’abbiamo eliminata.
Tutte le difficoltà sono state sbloccate dal gran Mufti. Mustafa
Cerić ha ricordato che la formula sulla libertà religiosa usata nel
documento comune “è quella della Dichiarazione sui diritti dell’uomo
dell’Onu. E molti governi musulmani hanno sottoscritto questa
Dichiarazione. Dunque essi devono accettarla, anche se magari non la
praticano”. E questo ha risolto il problema e ha disincagliato
l’adesione a tutto il documento finale. I problemi rimangono, ma
almeno abbiamo affermato il principio della libertà. Del resto, nel
Corano vi sono dei versetti che confortano questa posizione.(1)
Il problema della libertà religiosa ha aperto anche la questione di
come attuare la dichiarazione. Siamo stati tutti d’accordo di
tradurla nelle nostre lingue e diffonderla il più possibile ovunque,
sensibilizzando anche i nostri governi, anche se non abbiamo la
forza di costringerli a trasformare le loro leggi.
Un altro modo per rendere fruttuoso questo incontro è l’educazione
delle nuove generazioni a maggiore oggettività e al rispetto
dell’altra religione, sia nei testi scolastiche che nelle
pubblicazioni in genere. Tutti siamo stati d’accordo che “non
possiamo continuare a trasmettere degli errori. Per questo i libri
che parlano dei cristiani dovrebbero essere scritti da cristiani e
viceversa: i libri che parlano dell’Islam dovrebbero essere scritti
da musulmani e adottati anche nelle scuole cattoliche”. Il tema
dell’educazione potrebbe essere il tema di un altro appuntamento del
Forum.
La sfida comune: la modernità senza Dio
In conclusione, l’incontro è stato molto positivo, ma ha
aperto anche questioni che richiedono approfondimenti. Sulla libertà
religiosa, ad esempio, la tradizione musulmana afferma la libertà di
coscienza, ma non garantisce l’espressione comunitaria perché vede
nella testimonianza di un’altra fede il rischio di scandalo per la
comunità islamica, e perciò è qualcosa da condannare.
Ma la questione più cocente è quella del secolarismo verso di cui si
apre lo spazio di una missione comune. Per alcuni degli intervenuti
musulmani, la secolarizzazione del mondo è la cosa più angosciante,
verso cui reagire e per questo essi vogliono che i cattolici
reagiscano con loro. C’è il rischio di cadere in una visione
fondamentalista, in cui esigiamo dai governi delle garanzie sulle
religioni, ma alla fine credo che questa esigenza sia molto onesta.
Il problema che vi è al fondo è quello della modernità attuale
che si presenta antireligiosa. I musulmani vorrebbero costruire una
modernità non antireligiosa, ma aperta a Dio, come continua a
predicare lo stesso Benedetto XVI.
I musulmani cercano i cristiani
Ho avuto la netta percezione che nel mondo musulmano ci sia una
maggior ricerca dell’incontro coi cristiani. Un fattore che ha
spinto all’incontro in Vaticano, è il sentire da parte islamica che
abbiamo una tradizione comune, la cosiddetta tradizione abramitica.
Da notare che il Corano riconosce cristianesimo e ebraismo. Ma
mentre con gli ebrei i rapporti si sono rovinati, l’amicizia con i
cristiani è testimoniata fino all’ultima sura. C’è poi anche un
incosciente motivo politico: il mondo di oggi è dominato
dall’occidente, esso è di tradizione cristiana e perciò vale la pena
discutere con i cristiani e soprattutto con i cattolici. Un fatto
curioso è la “confessione” fatta da alcuni musulmani sunniti che
hanno dichiarato di sentirsi più vicini ai cattolici che ai
protestanti “perché voi e noi ci riferiamo alla tradizione come un
valore normativo e perché insieme rappresentiamo più di un terzo del
mondo”.
Un ultimo motivo è il desiderio di essere aiutati dai cristiani per
essere difesi dall’islamofobia. Le personalità musulmane sentono che
il mondo bolla la loro religione come violenta, terrorista, ecc..
Nella prima stesura della Dichiarazione finale c’era la parola
“terrorismo”: i musulmani hanno voluto che si togliesse,
sostituendola con una più generica (“violenza”). Il motivo è “perché
la gente associa terrorismo e Islam”. C’è il rischio che in questo
modo si voglia condannare l’Islam in toto. E invece non era quella
l’idea sottostante al documento.
Il papa nel suo
discorso
ha comunque
precisato che dobbiamo essere contrari alla violenza, anche a quella
che viene esercitata “in nome di Dio”. I musulmani si sentono
attaccati da tutti e accusati da tutti di terrorismo. Uno di loro ha
detto: “Io non sono Bin Laden. Perché fate portare a me il peso di
quanto fa Bin Laden?”. Essi riconoscono che chi li attacca non sono
i cristiani, ma il mondo secolarizzato e ateo e per questo chiedono
aiuto ai cristiani.
C’è quindi il desiderio di superare schemi e scontri per affrontare
insieme la sfida del secolarismo nei confronti delle religioni. Un
musulmano ha detto di non accettare più la divisione fra “Casa della
Pace (Dar-al-Islam)” e “Casa della guerra (Dar al-Harb)”, che
risente di una divisione politico-religiosa del mondo e che fomenta
il jihad contro l’occidente. Egli preferisce allora la definizione
di “Casa della testimonianza”: ovunque, nei Paesi islamici e nei
Paesi occidentali, l’importante è testimoniare la propria fede. E in
fondo questi musulmani vorrebbero che musulmani e cristiani offrano
una testimonianza comune di fronte alla secolarizzazione.
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(1) Nota di InternEtica.
Volendo approfondire, si rileva che nel 1981 è stata firmata una
“Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo” e leggiamo:
“In effetti, la dichiarazione del 1981 scaturisce da varie critiche
dirette da paesi prevalentemente islamici, come Sudan, Pakistan,
Iran ed Arabia Saudita, verso la Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo per la mancanza di considerazione per le “esigenze
religiose e culturali” dei paesi islamici.
Essa è stata preceduta da un intervento presso le Nazioni Unite da
parte del rappresentante iraniano Sa'id Rajaie Khorasani, secondo il
quale Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo rappresentava
“una interpretazione laica della tradizione giudaico-cristiana” che
non avrebbe potuto essere attuata dai musulmani senza violare la
legge del’Islam.”
Poi,
“Nel 1990, al Cairo, la 19a Conferenza Islamica dei Ministri degli
Esteri (dal 31 luglio al 5 agosto) ha proclamato la Dichiarazione
del Cairo dei Diritti Umani dell’Islam, un testo molto più compatto
in 25 articoli ed un breve preambolo che sembra non riconoscere
l’esistenza della Dichiarazione di Parigi…”
v. anche:
Incontro in
Vaticano 4-6 novembre 2008
Il
Vaticano si prepara all'incontro, 12 febbraio 2008
138 Musulmani
scrivono al Papa
Testo integrale della
lettera in formato .pdf
La reazione della Chiesa
Commento Pontificio Istituto Studi Arabi
Cautela di Benedetto XVI
Commento di Samir K. Samir 9
gennaio 2008
Commento di Samir
K. Samir 12 ottobre 2007