«La guerra non può mai essere santa, la pace sola è santa»
P. Charles Delhez - Belgio 
(Direttore del settimanale cattolico "Dimanche Express")

L'11 settembre 2001, il mondo è precipitato. Poco più di dieci anni prima, nel novembre 1989, cadeva il muro di Berlino. Il nostro pianeta sembrava riunificato. E in qualche modo lo era. L'attentato al cuore profondo dell'America lo ha messo in evidenza. Se nessuno può più vivere lontano dal mercato mondiale capitalista e sfuggire alla nostra "società iperconsumistica", la gente non può più neppure essere al riparo dalle rivoluzioni della nostra storia.

Ormai la guerra non ha più frontiere, soprattutto quando essa si scatena sotto forma di terrorismo. Gli attentati dell'11 settembre hanno fatto capire che la globalizzazione tocca anche l'universo della religione. L'Islam - il migliore e il peggiore - si è spinto in primo piano. Da allora, l'Europa e tutti i Paesi occidentali hanno preso coscienza sempre più chiaramente di non essere più "cristiani". Sotto lo shock dell'ateismo, allora si era potuto credere di non doverci più interessare della religione. Il fenomeno delle sette e la nebulosa del New Age - che negli anni Novanta hanno tanto interessato i nostri Paesi - avevano già fatto capire che le cose non erano così semplici. Con il "coming out" dell'Islam, la questione religiosa diviene inevitabile.

In Francia, cifre recenti mostrano che tremila persone all'anno si convertono all'Islam, una cifra quasi identica a quella del battesimo degli adulti nell'Esagono. In Belgio, l'Università 'Cattolica' di Lovanio apre una sezione di formazione islamica per gli iman e gli insegnanti di questa religione.

Un richiamo ai cristiani. A che punto sono nella conoscenza della propria religione? La loro religione è all'altezza dell'evoluzione culturale della nostra società? Possono accontentarsi di "una religione vale l'altra" o sono spinti a riscoprire la specificità del Dio di Gesù Cristo? Essa deve essere cercata a fianco dell'alleanza unica tra l'umano e il divino e del rispetto radicale da parte di Dio della nostra libertà, vista non in maniera individualistica ma come responsabilità. L'avvenire dell'Europa, del nostro pianeta, è affidato a noi. Lo costruiremo giocando le carte del dialogo, della fraternità, dell'uguaglianza oppure quelle del potere e dunque della guerra?
________________________
[Fonte: SIR: 11 settembre 2006]


Vedi precedente

«Ma i predicatori d'odio non hanno alibi»
Magdi Allam, Corriere della Sera 11 settembre 2006

Non solo comprendo ma condivido la denuncia del Papa (1) nei confronti dell'Occidente che disprezza Dio e dileggia il sacro. Tuttavia mi preoccupa che essa non solo coincida con l'accusa dei predicatori d'odio islamici, ma rischia di essere strumentalizzata per legittimare i loro crimini. Proprio in concomitanza con la ricorrenza dell'11 settembre, l'apoteosi della loro «guerra santa» volta ad annientare l'insieme dell'Occidente. È del tutto ovvio che il messaggio di Benedetto XVI è assolutamente costruttivo. In linea con l'appello lanciato da Giovanni Paolo II quando, all'indomani del crollo del Muro di Berlino nel 1989, prendendo atto del dilagare della cultura laicista, consumistica e relativistica, affermò la necessità di «ricristianizzare» l'Occidente. Offrendo cioè il recupero della fede cristiana come soluzione alla profonda crisi di valori e di identità collettiva di un Occidente che era riuscito a sconfiggere il comunismo ma che si scopriva fragile dentro, senza solide radici etiche e ideali condivisi. È pertanto ineccepibile la fotografia fatta dal Papa della realtà interiore dell'Occidente, lungamente e approfonditamente analizzata sul piano storico, filosofico e teologico quando era ancora il cardinale Ratzinger. Ma nel nostro mondo la realtà oggettiva, al pari dei valori assoluti, si collocano sempre in un contesto storico contingente permeato dalla soggettività umana e dagli interessi relativi. Ebbene è proprio la contestualizzazione della denuncia del Papa che ne evidenzia la problematicità. Tanto è vero che, anche se nel discorso pronunciato a Monaco non vi è alcuna esplicita menzione dell'islam, quel riferimento è apparso evidente a tutti laddove il Papa ha detto: «La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà». Con un'allusione altrettanto chiara alla vicenda delle vignette su Maometto, pubblicate dal quotidiano danese Jyllands-Posten il 30 settembre 2005, che fece esplodere una violenta crisi internazionale, con decine di morti e la distruzione di chiese, moschee e sedi diplomatiche. Ebbene proprio quella vicenda mise in luce il ruolo subdolo e malefico dei predicatori d'odio islamici che, approfittando e strumentalizzando la debolezza e la divisione dell'Occidente, aizzarono le masse alla violenza contro i «nemici dell'islam», intesi come gli occidentali criminalizzati in modo indiscriminato e generalizzato. A cominciare da Youssef Qaradawi, il leader spirituale dei Fratelli Musulmani in Europa, che nel sermone pronunciato nella moschea centrale di Doha il 3 febbraio 2006, disse: «Questi danesi e i loro simili non sono né cristiani, né Gente del Libro. La gran parte di loro è senza Dio. La loro religione è rincorrere i piaceri sensuali e fare una vita peccaminosa, a partire dal vizio dell'omosessualità». Ebbene è questo sconcertante parallelismo tra la condanna dell'Occidente da parte del Papa e degli estremisti islamici che mi preoccupa come musulmano laico e liberale, impegnato nella promozione del valore della sacralità della vita e della libertà della persona. A maggior ragione mi inquieta il fatto che i predicatori d'odio islamici possano individuare nella condanna del Papa una qualsivoglia giustificazione alla loro strategia della violenza, che colpisce indiscriminatamente tutti e di cui gli stessi musulmani sono le principali vittime. Mentre il Papa, giustamente, è intento a recuperare nell'ovile del cristianesimo le proprie «pecorelle smarrite», nel rispetto della libertà di coscienza dei singoli, gli estremisti islamici, che hanno già istituito delle solide roccaforti in Occidente, mirano a sottomettere al loro arbitrio tutti noi, cristiani, musulmani, ebrei o di altra fede e ideologia, volenti o nolenti. Questo è l'insegnamento principale che dovremmo tener presente oggi, nel quinto anniversario dell'11 settembre.



(1) Pubblichiamo i punti salienti dell'omelia del Papa, pronunciata a Monaco il 10 settembre, citati da Allam:

[...] Il fatto sociale e il Vangelo non si possono scindere tra loro così facilmente. Dove portiamo agli uomini soltanto conoscenze, abilità, capacità tecniche e strumenti, là portiamo troppo poco. Allora sopravvengono ben presto i meccanismi della violenza, e la capacità di distruggere e di uccidere diventa la capacità prevalente, la capacità per raggiungere il potere – un potere che una volta o l'altra dovrebbe portare il diritto, ma che non ne sarà mai capace. In questo modo ci si allontana sempre di più dalla riconciliazione, dall'impegno comune per la giustizia e l'amore. I criteri, secondo i quali la tecnica entra a servizio del diritto e dell'amore, si smarriscono; ma è proprio da questi criteri, che tutto dipende: criteri che non sono soltanto teorie, ma che illuminano il cuore portando così la ragione e l'agire sulla retta via.

Le popolazioni dell'Africa e dell'Asia ammirano le prestazioni tecniche dell’Occidente e la nostra scienza, ma al contempo si spaventano di fronte ad un tipo di ragione che esclude totalmente Dio dalla visione dell'uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da imporre anche alle loro culture. La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio morale per i futuri successi della ricerca. Cari amici, questo cinismo non è il tipo di tolleranza e di apertura culturale che i popoli aspettano e che tutti noi desideriamo! La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timor di Dio – il rispetto di ciò che per altri è cosa sacra. Questo rispetto per ciò che gli altri ritengono sacro presuppone tuttavia che noi stessi impariamo nuovamente il timor di Dio. Questo senso di rispetto può essere rigenerato nel mondo occidentale soltanto se cresce di nuovo la fede in Dio, se Dio sarà di nuovo presente per noi ed in noi.

La nostra fede non la imponiamo a nessuno. Un simile genere di proselitismo è contrario al cristianesimo. La fede può svilupparsi soltanto nella libertà. Facciamo però appello alla libertà degli uomini di aprirsi a Dio, di cercarlo, di prestargli ascolto. Noi qui riuniti chiediamo al Signore con tutto il cuore di pronunciare nuovamente il suo "Effatà!", di guarire la nostra debolezza d'udito per Dio, per il suo operare e per la sua parola, di renderci capaci di vedere e di ascoltare. Gli chiediamo di aiutarci a ritrovare la parola della preghiera, alla quale ci invita nella liturgia e la cui formula essenziale ci ha insegnato nel Padre nostro. 

Il mondo ha bisogno di Dio. Noi abbiamo bisogno di Dio. Di quale Dio abbiamo bisogno? Nella prima lettura, il profeta si rivolge a un popolo oppresso dicendo: “La vendetta di Dio verrà” (vgl 35,4). Noi possiamo facilmente intuire come la gente si immaginava tale vendetta. Ma il profeta stesso rivela poi in che cosa essa consiste: nella bontà risanatrice di Dio. E la spiegazione definitiva della parola del profeta, la troviamo in Colui che è morto per noi sulla Croce: in Gesù, il Figlio di Dio incarnato che qui ci guarda così insistentemente. La sua “vendetta” è la Croce: il “No” alla violenza, “l’amore fino alla fine”. È questo il Dio di cui abbiamo bisogno. Non veniamo meno al rispetto di altre religioni e culture, non veniamo meno al profondo rispetto per la loro fede, se confessiamo ad alta voce e senza mezzi termini quel Dio che alla violenza ha opposto la sua sofferenza; che di fronte al male e al suo potere innalza, come limite e superamento, la sua misericordia. A Lui rivolgiamo la nostra supplica, perché Egli sia in mezzo a noi e ci aiuti ad essergli testimoni credibili. Amen!

Il passo lungo di Benedetto XVI, la verità contro il cinismo
Davide Rondoni, su Avvenire 12 settembre 2006

C'è lui che va avanti, pensa, propone. Con speranza, ma senza negare i problemi evidenti. E ci son loro, i rimestatori. Coloro che, incuranti dei mutamenti dei tempi, continuano a rimestare - magari in buona fede - vecchi argomenti. Lui è anziano, ma appare audace, atletico nell'interpretazione dei tempi e delle urgenze per tutti. Loro, i rimestatori, appaiono appesantiti e noiosi. Ma dovremo abituarci. O meglio: non abituarci. Alle sorprese di questo Papa. E alla noia dei suoi detrattori. Che non potendo opporre ragionamenti credibili, provvedono a sviarlo. A scrivere sui loro giornali cose che il Papa non ha detto. A commentare il Papa che vorrebbero che lui fosse. E che invece non è. Perché lui è più avanti. Tenace, paziente. Indifeso, propositivo. Dovremo allenarci ad ascoltare la sua fede semplice, ma non ingenua. Che nutre una intelligenza ben più attiva e vivace di quanti invece spesso ne commentano gli interventi.

L'altro giorno durante la Messa celebrata a Monaco ha ripetuto alcuni dei concetti già rilanciati nella seguitissima intervista concessa alle tv tedesche in agosto. Siamo diventati sordi a Dio, ha detto, non ne vediamo più i segni nella realtà. E questo sta spegnendo i nostri sensi interiori, e la nostra ragione. E sta riducendo l'uomo occidentale a un uomo a due dimensioni. Capace di grandi performance tecniche ma afflitto da nanismo nell'anima. Non è forse vero? Basta guardarsi attorno. Guardarsi dentro. E ha aggiunto che le popolazioni dell'Africa e dell'Asia che vengono in contatto con la civiltà occidentale e le sue abilità restano stupite e sentono come estraneità nemica tale negazione di Dio dalla vita. «La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio morale per i futuri successi della ricerca. Cari amici - continuava il Papa - questo cinismo non è il tipo di tolleranza e di apertura culturale che i popoli aspettano e che tutti noi desideriamo. La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timor di Dio - il rispetto di ciò che per altri è cosa sacra. Questo rispetto per ciò che gli altri ritengono sacro presuppone che noi stessi impariamo nuovamente il timor di Dio».

La storia ci insegna che veri fedeli di grandi religioni diverse hanno più convissuto che combattuto. Quando il potere e i soldi han contato più del timor di Dio allora sono scoppiate le guerre. Ma subito i rimestatori sui loro potenti media hanno voluto far di queste parole sacrosante e chiare la oscura traccia di un Papa che vuol cancellare le libertà moderne. Che vuole strane alleanze tra un Occidente in preda all'oscurantismo cristiano e il fanatismo islamico. E altre baggianate del genere.

Il discorso di Papa Benedetto è stato chiaro, appassionato e quieto, lo può leggere e capire chiunque (è pubblicato a pagina 4). I rimestatori si agitano sui loro scranni. Il motivo è semplice: il parlar di Dio del Papa è pieno di rispetto per la libertà e per la ragione. Per questo vanno in fibrillazione. La proposta di fede e il richiamo sociale del Papa è segnato da un grande amore per la razionalità e per una ampia, ricca idea di libertà. Insomma, sta togliendo loro la terra sotto i piedi. Hanno costruito questo nostro mondo e le loro cattedre professandosi sacerdoti della vera ragione e della vera libertà. Hanno furbescamente e falsamente imputato alla Chiesa ogni genere di oscurantismo. E ora si trovano un Papa che sta smontando la ristrettezza delle loro tesi e la presunzione della loro "illuminazione". E che legge le tensioni del mondo moderno meglio di loro. Rivolti all'indietro non capiscono, o fan finta di non capire.


Vedi anche:
Lectio Magistralis tenuta da Benedetto XVI presso l'Università di Ratisbona
Incontri di civiltà: come Benedetto XVI guarda l'Islam
Islam e democrazia in un incontro segreto a Castel Gandolfo
Molte e fondamentali le differenze tra cristianesimo e islamismo
Islam al bivio tra progetto "identitario" e integrazione
Fondamentalismo: diabolica unità tra religione e politica
Altri testi d'interesse sull'Islam, nella sezione Studi-riflessioni

| indietro | | inizio pagina |