angolo
   
Come è andata davvero a Vienna. Avanti adagio...
Paolo D'Andrea

Ecco perché il summit tra cattolici e ortodossi non ha registrato svolte epocali ma neanche marce indietro. Fermati i "talebani" dell'ortodossia

Una regola aurea dell'ecumenismo, distillata in decenni di esperienza da quelli che hanno avuto più a cuore il ripristino della piena unità tra i cristiani, suggerisce di evitare l'ottimismo melenso o il pessimismo disfattista quando si tratta di giudicare gli stop forzati, le apparenti marce indietro e le ripartenze di slancio nel cammino teso a superare divisioni e incomprensioni incallite nei secoli. Il consiglio torna utile se si vuole capire davvero l'ultimo caso controverso nei rapporti tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa.

La nuova contesa interpretativa si è accesa intorno agli esiti dell'ultima riunione della Commissione teologica mista tra la Chiesa cattolica e tutte le Chiese ortodosse autocefale, conclusasi a Vienna lunedì scorso. L'organismo bilaterale, composto in misura paritaria da una sessantina di rappresentanti delegati delle Chiese sorelle - cardinali, metropoliti, vescovi, teologi e accademici - a partire dalla riunione di Ravenna del 2007 ha con fatica abbordato per la prima volta la questione che da sempre rappresenta la pietra d'inciampo nei rapporti tra il cattolicesimo e l'Oriente cristiano: il ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa universale.

Nella sessione di Vienna, proseguendo sulla tabella di marcia concordata da tempo, i delegati avrebbero dovuto concludere la discussione tesa a limare, emendare e possibilmente approvare un documento di lavoro che esprimesse una visione condivisa del ruolo esercitato del vescovo di Roma nella comunione di tutta la Chiesa durante il primo millennio.

I due co-presidenti della Commissione - il vescovo cattolico Kurt Koch, neo-ministro vaticano per l'ecumenismo, e il grande teologo Ioannis Zizioulas, metropolita del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli - alla fine dei lavori avevano tracciato un bilancio positivo del summit, senza entrare troppo nei dettagli. «Non ci sono nubi di incomprensione tra le nostre due Chiese» aveva dichiarato il capo della delegazione ortodossa, aggiungendo fiducioso che il ritorno all'unità potrebbe essere il risultato «non di una riforma, che è un termine troppo forte, ma di un adattamento da entrambe le parti. Gli ortodossi devono rafforzare la loro concezione del primato. E forse la parte cattolica deve rafforzare di più la dimensione della sinodalità». A stretto giro, da Mosca è arrivato un commento senz'altro più articolato e ruvido delle giornate di Vienna, subito trasformato dai taglia e cuci delle agenzie occidentali nell'ennesimo siluro post-sovietico sulle speranze ecumeniche accreditate da Koch e Zizioulas.

Il metropolita russo ortodosso Hilarion, che al summit di Vienna rappresentava il potente Patriarcato di Mosca, in una nota rilanciata dall'agenzia Interfax ha tenuto a far sapere che nella sessione dei lavori «non è stato compiuto nessun grande balzo in avanti», puntualizzando che la bozza sotto esame relativa al ruolo del vescovo di Roma nel primo Millennio «ha bisogno di ulteriori correzioni» e comunque il suo statuto per ora è quello di un testo di lavoro da usare per preparare ulteriori documenti, senza alcun profilo di pronunciamento ufficiale e vincolante.

Hilarion ha implicitamente indicato tra i limiti del documento sotto esame il suo «carattere puramente storico» (ipotizzando la stesura di un altro documento che metta in luce le implicazioni teologiche del dibattito sul primato) e una concentrazione esclusiva sul ruolo del vescovo di Roma, che «può indurre a un'errata comprensione di come i poteri erano distribuiti nella Chiesa antica» e oscurare il dato storico - fondamentale agli occhi degli ortodossi - della totale assenza, anche nel primo Millennio, di una vera e propria giurisdizione del vescovo di Roma sulle Chiese d'Oriente. Solo nella prossima sessione, e dopo aver riempito questi spazi bianchi - ha concluso Hilarion - ci si potrà pronunciare sul valore reale del testo in elaborazione.

Puntualizzazioni puntigliose, certo. E magari anche il tentativo di mettere in anticipo qualche paletto sul futuro cammino delle trattative. Eppure la lettura a tinte forti delle parole di Hilarion da sola non basta a provare la fatale inutilità delle discussioni teologiche intorno al punctum dolens del primato. In realtà, il summit di Vienna non ha registrato svolte epocali, ma neppure marce indietro o sintomi di congelamento. Piuttosto, ha confermato che il ritmo di questo dialogo teologico è e rimarrà quello dell'avanti adagio, con juicio.

A Vienna si è ultimata la lettura riga per riga del documento sul ruolo del vescovo di Roma nella comunione nella Chiesa nel primo millennio. Sono state raccolte tutte le richieste di modifiche, tagli e correzioni che verranno apportati al testo di lavoro dalla sottocommissione - anch'essa bilaterale e paritaria - incaricata di riequilibrare il testo secondo alcune linee guida suggerite dagli ortodossi: una maggiore sottolineatura del principio della sinodalità, visto in legittima e proficua tensione dialettica con quello del primato, e una focalizzazione accentuata sugli argomenti teologici più che su quelli storici. Il testo emendato, dopo un ulteriore lavoro di armonizzazione redazionale, verrà sottoposto di nuovo alla prossima plenaria della Commissione, in programma tra due anni in un Paese a maggioranza ortodossa.

Al di là dei singoli punti, negli interventi "d'interdizione" effettuati da molti rappresentanti ortodossi è affiorata la preoccupazione - espressa anche dal comunicato di Hilarion - di non attribuire al documento sotto esame nessuna patente di vincolante ufficialità. A tali obiezioni, le risposte di parte cattolica sono state tranquillizzanti: è ovvio - hanno concordato il cardinale Schönborn, il vescovo Roland Minnerath, il domenicano Charles Morerod e gli altri delegati della Chiesa di Roma - che i documenti della commissione teologica rimangono testi di lavoro di tale organismo, e assumeranno valore normativo solo se e quando verranno riconosciuti e approvati dal Papa e dai sinodi delle singole Chiese ortodosse.

Se il lavoro di discernimento comune sul ruolo del Papa nel primo Millennio procede lentamente, le cose si complicheranno quando si passerà al secondo Millennio, quello dell'infallibilità e dei dogmi definiti dai papi di Roma senza il consenso degli ortodossi. Le istanze minimizzanti espresse da alcuni rappresentanti ortodossi si spiegano soprattutto tenendo conto dei forti partiti anti-ecumenici attivi all'interno di diverse Chiese ortodosse. Il primo documento approvato dalla Commissione mista a Ravenna nel 2007 conteneva già una definizione condivisa del principio del Primato, insieme al riconoscimento che nei primi secoli cristiani il vescovo di Roma era universalmente riconosciuto come il primus, in quanto titolare della Prima Sedes, la chiesa di Roma. Tanto è bastato ai gruppuscoli ortodossi contrari all'ecumenismo (quelli che Zizioulas definisce «talebani ortodossi») per mettere sotto accusa le rispettive leadership ecclesiali, attaccando il loro «servilismo» nei confronti di quella Roma che nella propaganda degli integralisti rimane la «meretrice di Babilonia». Nel dialogo ecumenico, anche i riflessi psicologici vanno tenuti da conto. Nessuno seguirà le avanguardie ecumeniche dell'Ortodossia, se il ritorno alla comunione col vescovo di Roma viene percepito come un andare a Canossa.
© Copyright Il Secolo d'Italia, 30 settembre 2010

Nota. Appare evidente che nessuno parla del primato petrino come voluto da Cristo per l'autorevole conferma nella fede e non come supremazia.


v. anche:
nel 2005, nuove attese dalla Russia
nel 2005, attese dal Fanar
nel 2005, al Fanar
nel 2006, a Belgrado
nel 2006, cattolici e ortodossi per l’Europa
nel 2007, a Ravenna
nel 2009 a Paphos, Cipro
nel 2010 a Vienna
>Progressi tra cattolici e ortodossi uniti nella diversità
>Gelo da parte del Patriarcato di Mosca

| home |

| inizio pagina |

   
angolo