Saltano
i progetti di Benedetto XVI che avrebbe voluto accettare l’invito di
Bartolomeo I per la solennità di Sant’Andrea del 30 novembre.
Dietro il rinvio, l’intreccio di questioni politiche e tatticismi.
Messaggio di
Benedetto XVI all' incontro di civiltà di Antiochia
ANTAKIA (TURCHIA), 26 settembre - Nell'era della globalizzazione va
rafforzata la dignità della persona, così il Papa all'incontro
delle civiltà di Antiochia. Nel messaggio di saluto al 1° Incontro
delle Civiltà di Hatay-Antiochia, Benedetto XVI sottolinea che “ciò
è particolarmente urgente in un'era in cui può esserci il pericolo
che valori fondamentali umani siano sacrificati nel nome del progresso
o siano persi a causa di ideologie secolari distruttive”.(ANSA)
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La
diplomazia a volte insegue delle logiche strane. Non si potrebbe dire
altrimenti di fronte all’iter che ha caratterizzato l’invito del
governo turco a Benedetto XVI per una visita nel paese.
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Quali
saranno mai le ragioni che hanno condotto il governo di Ankara a una
indelicatezza tanto gratuita e plateale nei confronti del Pontefice da
poco eletto? Invitato ufficialmente da Bartolomeos I, patriarca
ortodosso di Costantinopoli, per celebrare insieme la festa di
Sant'Andrea, il prossimo 30 novembre, Benedetto XVI si è visto, di
fatto, "rinviare il visto". Potrà sì andare in Turchia, ma
in una data da definirsi nel corso del 2006. Nel frattempo, secondo
indiscrezioni trapelate da fonti turche solitamente bene informate,
Ankara lavorerà perché il Papa abbia a mutare opinione circa
l'ammissione della Turchia nell'Unione Europea, cercando addirittura
di ottenere una sua favorevole dichiarazione nel corso della futura
visita.
Con tutta
la simpatia per le aspirazioni della Turchia a veder definita in senso
vantaggioso una questione che si trascina da tempo, è difficile non
restare esterrefatti di fronte a un comportamento che a prima vista si
direbbe autolesionista al limite dell'idiozia. Ma come, Ankara sa di
avere gli occhi del mondo puntati addosso, di dover conquistare
un'opinione pubblica europea in parte ancora ostile nei confronti
della sua adesione, e se ne esce con un'azione così piccata e
infantile da essere giornalisticamente rubricata come inqualificabile?
Alla
ricerca delle possibili ragioni, va subito chiarito un punto. È
difficile concepire che la decisione del governo turco sia
riannodabile alla tradizione rigidamente laica ereditata da Atatürk,
per cui sono le autorità politiche a stabilire quando un capo di
Stato straniero può visitare il Paese. Non è certo facendo la voce
grossa con i cattolici e con gli ortodossi che ancora risiedono nel
Paese che il partito islamico moderato al governo attesterà la
propria laicità o rassicurerà i partner europei sul rispetto della
libertà religiosa. Ed appare altrettanto ingenuo che qualcuno
all'interno delle istituzioni turche possa aver pensato che un
semplice tatticismo basti a far mutare idea a Benedetto XVI, rispetto
a quanto affermato dal cardinal Ratzinger circa le cautele da
osservare per una piena membership turca nell'Unione. Ben altri
gesti, orientati all'accoglienza e alla disponibilità, possono
impressionare l'opinione pubblica e dunque presumibilmente anche chi,
senza potere alcuno, gode però di un'enorme autorità spirituale e
morale.
Viene allora da chiedersi se questo gesto, unito ad altri, non indichi
piuttosto un deficit di apertura democratica, di una cultura cioè
capace di investire fiducia e di distribuirla a 360 gradi, senza
calcoli preventivi e senza sottigliezze bizantine. Non osiamo neppure
pensare infatti che al fondo ci possa essere un surrettizio intento a
provocare una rottura da esibire come offesa all'orgoglio nazionale.
Del
resto, che il cammino verso l'adesione di Ankara all'Ue sia irto di
ostacoli politici, è stato testimoniato ancora ieri dalla battuta a
vuoto registrata nell'incontro tra i 25 Paesi della Ue che avrebbero
dovuto formalizzare una risposta da dare alla Turchia, dopo il suo no
al riconoscimento di Cipro. Un altro tassello mancante, quindi, in
vista dei negoziati che dovrebbero iniziare il 3 ottobre.
Insomma,
la decisione di procrastinare la visita pastorale - anzi ecumenica -
del Papa rientra di fatto in un momento complessivamente difficile,
con un'opinione pubblica turca in fase di raffreddamento nei confronti
dell'adesione all'Unione che, secondo il recentissimo rapporto «Transatlantic
Trends», è sceso addirittura di dieci punti. E proprio nell'anno in
cui l'Unione europea ha aperto ufficialmente il negoziato d'adesione.
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(1)
Ratzinger: la
cultura turca non è europea
Il cardinale Joseph Ratzinger si è detto contrario all'ingresso
della Turchia nell'Unione Europea. «Nella storia, la Turchia ha
sempre rappresentato un continente diverso, in permanente contrasto
con l'Europa», ha dichiarato il prefetto della Congregazione per la
dottrina della fede in un'intervista al settimanale allegato a
"Le Figaro". «Sarebbe un errore rendere uguali i due
continenti, significherebbe una perdita di ricchezza, la scomparsa
della cultura in favore dei benefici in campo economico». Il
cardinale è tornato poi a stigmatizzare il fatto che nella
Costituzione europea non si accenni alle radici cristiane del
Vecchio Continente. «Dovremmo continuare a discuterne», ha detto,
«perché credo che dietro all'opposizione» di alcuni paesi a
inserire un riferimento «si nasconda un odio che l'Europa ha verso
se stessa e la sua grande storia». [Tratto da "Avvenire" del 12 agosto 2004]