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Il Papa al popolo turco: le parole dell'Angelus, le percepiamo come segnali di forza o di debolezza?
Maria Guarini, 27 novembre 2006

Alla vigilia del viaggio del Papa in Turchia in una piazza di Istanbul circa 25.000 turchi stavano manifestando contro l'arrivo del Papa(1); in un'altra piazza (San Pietro), nel corso del tradizionale Angelus della domenica, il Papa stesso rivolgeva ai turchi queste parole.

 

"Un saluto cordiale al caro popolo turco, ricco di storia e di cultura". "A tale Popolo e ai suoi rappresentanti esprimo sentimenti di stima e di sincera amicizia".

Non ci sono dubbi che le intenzioni del Papa sono le migliori. Lo abbiamo constatato anche successivamente alle strumentalizzazioni della sua lectio magistralis di Ratisbona: nessuna scusa, ma rammarico di essere stato frainteso e intelligente convocazione dei rappresentanti diplomatici degli stati islamici, gli interlocutori giusti in quanto gli unici a garantire rappresentatività in una società teocratica come quella islamica e nella galassia di diverse connotazioni che configurano l’Islam.

Dopo le sue parole di ieri possiamo chiederci se queste frasi, questo modo di proporsi, può suscitare perplessità o come viene percepito dalla nostra gente, che quotidianamente inizia a vivere il disagio dell'incontro con uomini e donne di cultura Islamica.

Non è discorso un accademico. Non conta infatti solo quello che il Papa dirà nel suo viaggio o quello che gli "esperti" analizzeranno puntigliosamente. Conta molto come la gente percepirà questo viaggio, a partire da questi inizi… Chissà se lo si percepirà come un messaggio di debolezza? Il Papa sta assumendo un atteggiamento ‘troppo’ vicino, sotto l’effetto della precedente esperienza, per allontanare il rischio di errori diplomatici o fraintendimenti culturali e religiosi, oppure sta cercando solo di avvicinarsi in modo rispettoso e delicato ad una realtà culturale, politica e religiosa tutt'altro che facile? E qual è l’aspetto prevalente? Quello evangelico...o quello politico?

Non dobbiamo sottovalutare che alla fine sarà quello su cui i giornalisti "giocheranno" nel loro tentativo sempre portato all'eccesso, di "forzare" mediaticamente i contenuti di qualunque parola che esca dalla bocca del Papa e di qualunque suo gesto... Facciamo quindi attenzione alla lettura che dei fatti daranno i media e la conseguente percezione la gente si farà del viaggio.

Basti pensare (solo per fare un esempio su quanto i media possano deformare, semplificare o di fatto ignorare le cose) quanto le motivazioni prioritarie del viaggio del Papa siano del tutto passate sotto silenzio: l'incontro con la comunità Cattolica turca: le poche migliaia di cristiani, tra milioni di musulmani, nella terra in cui il cristianesimo mosse i primi passi, che attendono il conforto della sua presenza e le sue parole sulla difesa delle minoranze religiose... e l'incontro con i cristiani ortodossi.

Siamo consapevoli che la "forzatura mediatica" – inevitabile – non è fine a se stessa o neutra, un fato oscuro e necessario, risponde invece agli intenti ideologici o politici di ciascun giornale. Fino a forzare i fatti, come è già successo e come avviene ogni giorno anche per altri temi e argomenti. Per distinguere tra opinione pubblicata e opinione pubblica, possiamo prendere in considerazione proprio le notizie sulla manifestazione di ieri ad Istanbul: in piazza non erano "quasi un milione", se non si intende per "quasi un milione" le circa 25.000 persone che il sito del Corriere ha avuto l'onestà di indicare.

I frutti di questo viaggio spero ci siano e che col tempo si vedano, cioè che siano duraturi sia con i fratelli ortodossi che con quelli islamici. Anche se molti remano contro, fin da Ratisbona e non solo nell'islam. Non so se le parole all'Angelus siano state prova di forza o di debolezza, mi sono sembrate parole sincere, semplici e serene. E la debolezza (la definirei meglio mitezza, delicatezza) non sono certo estranee ad un cristiano, anzi. Io comunque, insieme ai cristiani di tutto il mondo, prego. Non dimentichiamo che San Paolo rischiò anche il linciaggio in questa terra.

Non ci sono dubbi che il Papa è mosso dalle migliori intenzioni, ma quando parliamo dobbiamo pensare anche a 'chi è' il nostro interlocutore e non possiamo dimenticare che per i musulmani ogni nostro atteggiamento 'civile' o 'tollerante' è considerato decadenza, debolezza, mancanza di saldezza nella nostra identità.

Certo una cosa del genere non si può dire del nostro Papa. L’importante è che si realizzi quello che si è prefisso: in termini politici il tentativo di imbastire un dialogo, difficile ma necessario con coloro che sono in grado - si spera - di influire in maniera meno oscurantista e autoreferenziale sulla popolazione; in termini spirituali un incontro storico e non solo con i fratelli ortodossi e l'esigua comunità cristiana e non credo potrà rimanere senza effetti la sua presenza e la sua preghiera (è come se ci tornasse il Signore!) nei luoghi degli inizi della nostra fede...

Ci vorrebbero dei veri 'costruttori di ponti', come appunto ci chiama il Papa, tra gli operatori dell'informazione, perché abbiamo visto com'è facile fraintenderlo da chi legge tutto in chiave ideologica o davvero spesso non ha nemmeno "orecchi per intendere". Durante il viaggio (8.11.2006, sull'aereo per Ankara) ha detto: "dovete trasmettere l'eco di questo viaggio pastorale"... All'arrivo ad Ankara, il Papa ha incontrato il premier turco Erdogan in una saletta dell'aeroporto; successivamente, dopo aver deposto una corona di fiori bianchi e rossi al Mausoleo di Kemal Ataturk, ha scritto sul Libro d'oro delle visite questa frase in inglese:

«La Turchia è punto di incontro e crocevia di religioni e culture diverse, cerniera tra Asia ed Europa. Volentieri faccio mie le parole del fondatore della Repubblica turca per esprimere l'augurio, «pace in patria e pace nel mondo».

Alla fine lasciamo fare a lui e vedremo. Intanto siamo tutti ad accompagnarlo con la preghiera... E speriamo che i frutti dell’incontro con i fratelli ortodossi siano stabili e duraturi, più incisivi elle promesse non concretizzate di Paolo VI e del Patriarca Athenagoras [Dichiarazione congiunta 1965 e Viaggio in Turchia 1967]. Ma oggi la situazione sul campo è diversa… la necessità può essere una bella ’spinta’ per il processo verso l’unità.

Registriamo il primo 'giallo' mediatico

Soltanto poche ore in Turchia, e già c'è un primo giallo diplomatico, intorno alla Visita di Benedetto XVI. Leggendo il Corriere della Sera si poteva pensare che il Papa ha esplicitamente dato il suo assenso all'ingresso della Turchia in Europa, tema che sta molto a cuore al Premier Erdogan. La realtà però è che se si legge bene l'articolo si capisce che il parere del Papa è soltanto riferito da Erdogan, che alla fine del breve incontro di 25 minuti all'aeroporto, ha detto questa cosa ai giornalisti presenti. Ed ecco il Comunicato diramato dall'ANSA su dichiarazione di P. Lombardi già prima delle 16, peraltro stranamente non riportato nei Tg della sera, che 'passano' la versione di Erdogan...
"La Santa Sede non ha il potere né il compito specifico politico di intervenire nel punto preciso riguardante l'ingresso nell'Unione Europea. Non le compete. Tuttavia vede positivamente e incoraggia il cammino di dialogo, di avvicinamento, di inserimento in Europa sulla base di valori e principi comuni. In questo senso il Papa ha espresso apprezzamento per l'iniziativa dell'alleanza delle civiltà promossa dal Premier Erdogan."


Cronaca in anteprima da Ankara
Fabrizio Falconi, [Mysterium], Ankara 28 novembre 2006

Questa qua a fianco è la prima pagina del quotidiano Sabah che ho acquistato un minuto fa.   Come vedete c'è un grande "Benvenuto"  rivolto a Benedetto XVI.

Insomma, i segnali di distensione, adesso che mancano poche ore all'arrivo del Papa, sembrano aumentare. Stamattina una tv turca ha mandato in onda una intervista ad Alì Acga in cui l'attentatore di Giovanni Paolo II rivolge un appello a rispettare la visita di Benedetto e a non compiere atti terroristici.

[...] Vorrei solo dirvi prima di risentirci domani mattina, che i turchi con cui ho parlato oggi mi sono sembrati ospitali, gentili, e quasi contenti del fatto che ci sia questa novità di un papa che oggi - 2006 - viene a visitarli. Pur essendo la totalità dei turchi con cui ho parlato, ovviamente mussulmani.
Il che si spiega con quei pre-giudizi con i quali purtroppo noi ammantiamo loro e loro ammantano noi. Senza poi che ci si conosca veramente.
Ma i mass media comandano il mondo, e decidono anche che cosa dobbiamo pensare degli altri.
Così, mi rendo conto che come noi - le centinaia di migliaia di occidentali che non ci pensano proprio a fare guerre sante contro l'islam - paghiamo ai loro occhi lo scotto di qualche occidentale non proprio irreprensibile, loro - le centinaia di migliaia di mussulmani pacifici e ospitali - pagano ai nostri occhi il conto salato di alcune minoranze di esaltati.
La realtà è che in tutta Ankara i cattolici non sono che poche centinaia. E ci sono tre eroici fratelli gesuiti che nella loro piccola chiesa, poco distante dal nostro albergo - tutte le mattine dicono la messa per questa sparuta minoranza che però vuole, vorrebbe continuare a professare tranquillamente la propria fede.
Che bello sarebbe un mondo dove ciascuno potesse liberamente pregare il proprio Dio, e dove anche gli atei, i laici e i credenti si rispettassero reciprocamente.
Un mondo veramente libero, dove ciascuno fosse libero di esplorare quel meraviglioso e terribile mistero della nostra presenza qui, su questa terra, della vita e della morte, e delle parole pronunciate dalla notte dei tempi, per rendere meno rumorosa questa nostra solitudine.

[scrivi il tuo commento, sarà inserito nelle cronache]


(1) Nel frattempo loro possono gridare, tra le altre frasi scandite ieri: «Gesù non è il figlio di Dio, è il Profeta dell’Islam»; i cristiani, o comunque gli occidentali - che non è detto coincidano - a Maometto non possono neppure pensarci...


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