Riflessione "dopo Verona"
Paolo Bustaffa, SIR 27ottobre 2006
"Non stancatevi di costruire
ponti di comprensione e comunicazione tra l'esperienza ecclesiale e l'opinione
pubblica".
L'invito di Benedetto
XVI agli operatori della comunicazione sociale, ricevuti in udienza il 2
giugno scorso, era in cima ai nostri pensieri nei cinque giorni del Convegno di
Verona. Alle spalle avevamo un percorso di ascolto e racconto del territorio e
di diverse realtà nazionali. Un itinerario indispensabile per comprendere il
significato dell'appuntamento veronese. Era iniziato nell'aprile 2005, quando la
traccia di riflessione aveva dato il via a una preparazione che SIR ha
costantemente seguito grazie anche alla rete dei 160 settimanali diocesani. Ci
accompagnavano, in particolare, due antiche domande: "In quale misura è
possibile far uscire dagli spazi ecclesiali quanto si sta pensando e costruendo
nei mille incontri per Verona? Il racconto di un'esperienza di popolo può
suscitare qualche interesse anche in chi non abita questi spazi?". Verona ha
opportunamente accentuato gli interrogativi. La speranza passa anche
dall'impegno degli operatori cattolici della comunicazione sociale per
sostanziare quel "sentire comune" che li unisce nello sforzo di "immettere nel
grande circuito della comunicazione la voce e le ragioni della
Chiesa". "Costruire ponti di comprensione" sarà meno difficile dopo Verona
se, liberi nell'appartenenza, i media cattolici consolideranno quella "sinergia"
che, assai prima di essere questione tecnica, è profonda stima
reciproca.
Piccoli passi possibili. Siamo arrivati a Verona con
altre domande: "Quali suggerimenti all'informazione religiosa verranno da questo
Convegno? Quali cambiamenti saranno richiesti perché il fatto religioso sia
almeno in parte liberato da letture ideologiche e politiche?". Per cinque giorni
la sala stampa del Convegno é stata, su questi punti, un interessante e
simpatico luogo di confronto tra giornalisti che lavorano in testate di diversi
colori. Nel prendere atto dell'altrui fatica professionale, che sempre merita
rispetto, ci si é chiesti se potrà essere utile un "laboratorio" per condividere
la fatica giornalistica di entrare in una realtà quale è la fede e in
un'esperienza quale è la Chiesa. Si potrà realizzare un "luogo di pensiero" in
cui affrontare, al di là dell'ecclesialese, la complessa questione di un
linguaggio "altro" che si misura ogni giorno con quello mediatico? Senza
illudersi che basti questo per ridurre letture ideologiche, parziali o
strumentali ma anche senza accettare che ai "vecchi schemi" di lettura del fatto
religioso si contrappongano solo critica e disapprovazione. Davanti a questioni
complesse si hanno due atteggiamenti: la rassegnazione o l'audacia, la protesta
o la proposta. Non esistono risposte facili. Ma se non è pensabile un passo
risolutivo sono forse pensabili piccoli passi, a partire dal "dialogo
professionale" tra persone che svolgono lo stesso mestiere.
Nessun
interesse di parte. Verona ha ricordato, che in nessun campo i cattolici
difendono o promuovono interessi propri. Il Convegno non è stato
un'autocelebrazione della Chiesa italiana. È stato un atto di amore e di
speranza per il Paese. Così non esiste un "giornalismo cattolico" fine a se
stesso, esiste un buon giornalismo di cattolici per "una comunicazione non
evasiva ma amica, al servizio dell'uomo di oggi". I media cattolici non sono
al di fuori delle difficoltà e delle sofferenze del mestiere di comunicare e
avvertono la responsabilità di un contributo serio e positivo per rafforzare uno
dei pilastri della democrazia. Anche questo è un terreno sul quale cercare un
dialogo nella verità.
L'urgenza di un patto. Un altro spunto di
riflessione, emerso a Verona, è "interno" e riguarda i destinatari "naturali"
dei media cattolici: le persone e le comunità cristiane. Sta indubbiamente
maturando un atteggiamento positivo ma non sembra ancora all'altezza della
qualità professionale degli stessi media cattolici. Anche questo è un
problema antico. Verona ha confermato la necessità di proseguire con più
vigore sulla strada indicata dal direttorio Cei "Comunicazione e missione"
[Download Documento in
formato pdf (1,3 Mb)] a partire dalla figura
dell'animatore della cultura e della comunicazione. È sempre più importante far
comprendere che i media cattolici, pur non essendo gli unici da utilizzare, sono
strumenti "imprescindibili" per conoscere e, quindi, comunicare il pensiero e la
vita della Chiesa. Tra le molte conversioni auspicate c'è anche quella
"culturale" senza la quale anche la qualità professionale dei media cattolici
potrebbe correre il rischio di non trovare corrispondenza. Non si tratta solo
di questioni di tirature e di bilancio, pure importanti. Nel dibattito sui
grandi temi nessuno è esonerato dalla fatica di conoscere, approfondire e
pensare. Ecco perché tra comunicatori ed educatori dovrà prendere maggior
consistenza, nel rispetto delle diverse responsabilità, un "patto" di reciproco
stimolo nella comune ricerca della verità.
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