In vista della Terza assemblea ecumenica europea che si celebrerà a
Sibiu dal
3 al 9 settembre proponiamo una riflessione alla luce del Motu Proprio "Summorum
Pontificum" e del documento della Congregazione per la dottrina della fede,
"Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla
Chiesa".
Due recenti atti del magistero ecclesiastico della Chiesa cattolica, il
Motu
Proprio Summorum Pontificum sulla "Liturgia romana anteriore alla
riforma del 1970" (7 luglio 2007) che consente la celebrazione della
Messa di S.Pio V nella edizione approvata da Giovanni XXIII nel 1962 e le
"Risposte riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa" della
Congregazione per la dottrina della fede (datato 29 giugno e reso noto il 10
luglio 2007), pur di natura e oggetto differenti, hanno avuto un forte impatto
nel vasto mondo legato al dialogo ecumenico, in particolare nei fratelli
cristiani evangelici, che hanno espresso amarezza e delusione ritenendoli un
freno rispetto al cammino di avvicinamento iniziato con il Concilio Vaticano II. Senza entrare direttamente nel merito delle osservazioni espresse da varie
parti, sembra possibile ed utile segnalare anche una diversa prospettiva di
lettura. Per quanto riguarda la liturgia è chiaro a tutti che quando il Papa
celebra la messa in piazza San Pietro di fronte a migliaia di fedeli tutti
possono seguire le parole, i gesti, il significato del rito. Quella è la
maniera di celebrare della Chiesa cattolica, regolata dalle norme ispirate
alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II (1962-1965). Quel rito può
essere celebrato anche in latino, la lingua ufficiale delle Chiesa romana,
soprattutto quando l'assemblea è multilingue. Che vi sia una minoranza che
reclami, con determinazione eccessiva, di poter celebrare con la forma del
rito romano precedente a quello riformato dal Vaticano II, e che Benedetto XVI
lo abbia consentito come forma "straordinaria", è una faccenda tutta interna
alla disciplina ecclesiastica della Chiesa romana. Perché allora tanto clamore
da parte dell'opinione pubblica nazionale e internazionale, ecclesiale e
laica? Giornalisti e intellettuali che non vanno mai a messa, che si
dichiarano atei o agnostici, si appassionano alla questione e scrivono a
favore o contro, secondo gli schieramenti di appartenenza. Schieramenti per lo
più non teologici, ma politici, o l'uno e l'altro insieme.
Qualcosa di analogo anche per le Risposte della Congregazione della dottrina
della fede. I conservatori, gli intransigenti, i tradizionalisti ad oltranza
applaudono, interpretando tutto ciò come un alt al dialogo con le altre Chiese
e religioni, uno stop alle aperture sul tipo dell'incontro di Assisi e ad ogni
apertura rivolta a guardare con simpatia il mondo dei non cattolici, non
cristiani e non credenti che affollano il globo. Una specie di sindrome
isolazionistica che sembra attraversi alcuni strati di fedeli cattolici,
osservanti o meno. Le schiere dei progressisti leggono, allarmati, con la
stessa ottica, e protestano. Nelle intenzioni e nei pensieri di Benedetto XVI,
che si possono leggere nella lettera che accompagna il Motu proprio e getta
luce sui due documenti, si possono rilevare altri esiti e diversi scenari. In
modo particolare la riaffermazione e la fiducia nel cammino ecumenico, e la
validità dei testi conciliari definiti linee guida del pensiero e della vita
della Chiesa. Questi pensieri si possono situare alla luce della - diciamo
così - strategia ecumenica di Benedetto XVI: impedire ulteriori divisioni,
agire su quelle già avvenute con gesti concreti, porre basi nuove ad un
dialogo che rischia di esaurirsi per sfinimento o di ingrovigliarsi.
"L'ecumenismo dei gesti concreti" che si ponga al di là delle buone intenzioni
e dell'esercizio delle buone maniere, di cui ha parlato all'inizio del suo
pontificato papa Ratzinger, facendone un suo programma di azione.
Come primo punto, quindi, tende ad impedire l'ulteriore allontanamento dei
tradizionalisti, iniziato e portato ad estreme conseguenze da Lefebvre, e
possibilmente recuperare a piena unità la frangia di cattolici nostalgici
attaccati al passato. Secondo il Papa, questo può essere fatto senza
sacrificare nulla delle acquisizioni del Concilio Vaticano II. L'unica riserva
che Ratzinger intende prendere non dal Concilio, ma dai suoi commentatori, è
che non sia considerato una rottura con il passato, ma un rinnovamento nella
continuità con la bimillenaria tradizione della Chiesa. Un messaggio chiaro e
netto a tutti coloro che temono cadute nel relativismo e cedimento allo
spirito del tempo.
L'altro segno concreto è quello della chiarezza delle posizioni, il venire
allo scoperto delle diversità. Se nella prima fase del dialogo ecumenico si è
cercato la riconciliazione e la comunione mettendo insieme le cose che ci
uniscono piuttosto che quelle che ci dividono, sembra venuto il momento di
trovare la via della riconciliazione e della comunione ma attraverso le cose
che ci diversificano, nella speranza che possano essere conosciute, comprese,
spiegate, riconosciute e apprezzate dagli uni e dagli altri. Qui il discorso
si farebbe lungo e difficile, e ripercorrendo il lavoro dei gruppi misti si è
anche sviluppato soprattutto nei dialoghi bilaterali e multilaterali tra le
Chiese e comunità cristiane. Ma forse è stato finora insufficiente ed anche
reticente.
La riscoperta chiara delle singole identità non nuoce all'incontro, anzi lo
rende sincero, credibile ed efficace se poggia sulla comune confessione della
fede apostolica da tutti professata e dal comune riconoscimento del battesimo
che rendono intrinsecamente ed oggettivamente possibile ed efficace quella che
molti ecumenisti chiamano la riconciliazione delle diversità, fortemente
sostenuta dagli evangelici. Per camminare in questa direzione non basta
conoscere e riconoscere le differenze, bisogna valutarle e ponderarne la
compatibilità con una comunione di fede secondo il criterio introdotto dal
Decreto conciliare sull'ecumenismo (Unitatis redintegratio n.11) della
gerarchia nelle verità della dottrina cattolica. Un indizio a favore di questa
strategia lo possiamo riscontrare nella dichiarata stima e nella disponibilità
al dialogo, pieno di comprensione, che
Ratzinger ha espresso verso lo studioso
ebreo Jacob Neusner (l'autore del libro "Disputa immaginaria tra un rabbino e
Gesù", Piemme) che contesta l'insegnamento di Gesù e dichiara che non lo
avrebbe seguito se fosse stato uno degli interlocutori suoi contemporanei,
mostrando però di avere ben compreso l'insegnamento del rabbi di Nazaret. Il
pensiero di Neusner viene citato a più riprese nel Gesù di Nazaret di
Ratzinger - Benedetto XVI (p. 29 s.). Questo dialogo tra il rabbino e Gesù
"lascia trasparire tutta la durezza delle differenze, ma avviene in un clima
di grande amore". Ratzinger parla con ammirazione di questo rabbino che "si
congeda da Gesù con un distacco che non conosce odio e, pur nel rigore della
verità, tiene sempre presente la forza conciliatrice dell'amore". E' vero che
siamo in campi diversi, qui è il dialogo ebraico cristiano, là è il dialogo
interconfessionale, ma l'analogia è profonda, riferendosi sempre ad un
progetto di unità e comunione, di possibilità di comprensione e di dialogo nel
rispettoso riconoscimento delle differenze percepite attraverso la autonoma
autocoscienza dei singoli soggetti. In questa prospettiva si evidenziano le
diverse identità e si da ad ognuna la sua dignità evitando in tal modo le
possibili confusioni, le contraffazioni che non soddisfano l'esigenza della
sincerità e della verità e non sono sufficienti a fondare una scelta di
libertà.
La conoscenza gli uni degli altri, inoltre, anziché l'appiattimento e il
riduttivismo teologico delle interpretazioni, può promuovere una migliore
comprensione delle ragioni che hanno dato origine alle diverse tradizioni e
alle loro modificazioni storiche che resistono nel tempo e così costituire un
arricchimento della conoscenza del mistero cristiano e della sua comprensione
nel tempo e nello spazio. È lecito pensare e almeno sperare che questo
processo di profonda mutua conoscenza, fugando sospetti e pregiudizi e
giungendo al cuore della fede dei credenti in Cristo possa favorire la
riconciliazione e illuminare le differenze facendo scoprire in esse delle
piste di approfondimento piuttosto che delle barriere alla comunicazione.
Un'ultima analogia ci viene proposta dal dialogo tra il rabbino e Gesù
riproposto suggestivamente da Ratzinger, indicativo di una prospettiva nuova
anche per il dialogo intercristiano là dove dice che "la fede nella parola di
Dio presente nella Sacre Scritture crea contemporaneità attraverso i tempi: a
partire dalla scrittura il rabbino può entrare nell'oggi di Gesù e a partire
dalle Scritture Gesù viene nel nostro oggi". E questo è più di un'invocazione.
Se questa lettura dell'intenzione di Benedetto XVI e della Sede romana è
plausibile, c'è da aspettarsi che gesti concreti vengano compiuti anche nei
confronti di altri aspetti della vita della Chiesa prendendo in considerazione
tutte le direzioni verso cui tende il popolo di Dio.
Senza ritorno
La 3ª assemblea ecumenica europea
Alla nota di SIR Europa (cfr SIR Europa 56/2007) accostiamo le parole con cui
i rappresentanti delle Chiese ortodossa, cattolica e anglicana stanno
presentando il tema della terza assemblea ecumenica europea che si svolgerà a
Sibiu dal 3 al 9 settembre sul tema: "La luce di Cristo illumina tutti.
Speranza di rinnovamento e unità in Europa".
"Oggi il mondo ha bisogno di luce. Ha bisogno di trasformare la propria vita,
di rinnovare gli impegni presi, di rivedere le priorità ecclesiali in
un'Europa in cui la presenza di Cristo è sempre più messa in discussione.
Anche le nostre Chiese hanno oggi bisogno di luce, che è speranza di Cristo,
per trovare nuove strade per l'unità. Il cammino è ancora lungo e doloroso.
Certe volte non siamo sicuri e nemmeno certi di voler continuare questo
impegno quotidiano… In questa prospettiva la preghiera di Cristo al Padre per
i suoi discepoli e per tutti quelli che credono in lui "che tutti siano uno"
(Giovanni 17.22) deve essere capita non semplicemente come un desiderio che il
signore ha espresso occasionalmente, ma come un mandato e un dono dato a tutti
coloro che lo seguono prime tra tutte le Chiese".
(Metropolita Gennadios di Sassima - Patriarcato ecumenico)
"L'Europa ha una particolare responsabilità per il cammino ecumenico in quanto
è stata il teatro delle divisioni dei cristiani, esportate poi negli altri
continenti. Oggi è chiamata a contribuire alla riconciliazione per poter
esportare l'unità ritrovata. L'Europa è anche il continente che ha la
possibilità di creare uno spazio dove le diverse confessioni cristiane si
possono incontrare, donarsi una testimonianza reciproca e decidere di offrire
un contributo insieme per la società. Riconosciamo che è l'ora di rimetterci
umilmente in cammino per trovare un nuova luce per il cammino di
riconciliazione e superare la tentazione di tornare indietro. Il cammino
ecumenico, nonostante tutte le difficoltà che conosciamo, è un compito e una
vocazione senza ritorno".
(Mons. Aldo Giordano - cattolico, segretario generale Ccee)
"Volevamo dare al maggior numero possibile dei cristiani d'Europa
l'occasione di riflettere sui temi che saranno in discussione alla Terza
Assemblea ecumenica europea. Sono temi che riguardano tutti i cittadini
europei: unità, spiritualità, testimonianza, unità europea, migrazioni,
relazioni tra le fedi, giustizia, pace, creazione… Quando abbiamo fatto il
nostro invito non eravamo sicuri della risposta. E' arrivata ed è stata molto
positiva. In ogni angolo d'Europa si sono svolti incontri che hanno coinvolto
e impegnato persone, la maggior parte delle quali non sarà presente a Sibiu.
Hanno riflettuto insieme in contesti di preghiera e lavoro su temi che ci
impegneranno a Sibiu. Siamo grati a tutti coloro che in tutta Europa hanno
contribuito a fare dell'Assemblea un incontro costituito non solo dai 2.100
delegati ma formato da un numero imprecisato di uomini e donne, giovani e
anziani che in tutte le parti d'Europa hanno pregato e lavorato con noi".
(Colin Williams - anglicano, segretario generale della Kek)
v. anche:
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A Milano 14-15 aprile incontro di giovani
"Osare la pace per la fede"
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A Wittenberg, 14 febbraio 2007 ultima fase preparatoria per
Sibiu
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Settimana unità: Riflessioni di ortodossi
e protestanti Rumeni "Guardando Sibiu"
::
Praga 22 gennaio 2007, notte delle Chiese
aperte
::
Terni, 5-7 giugno 2006, III Convegno Ecumenico Nazionale "I
cristiani e l'Europa"
::
Roma la prima tappa del “Pellegrinaggio europeo” che
porterà a Sibiu nel 2007
::
Le Chiese nel 2006 continueranno a "contribuire al cammino di
unità"
::
Gesti concreti di ecumenismo: Meeting internazionale “Kairòs
2005”
::
I cristiani europei preparano un'assemblea ecumenica a tappe
::
"Osare la pace per la fede" - Documento di giovani di fedi
diverse