Una esistenza sicura e pacifica per tutte le minoranze religiose dell'Irak,
non solo quella cristiana, senza permettere che «interessi temporanei» mettano a
rischio la vita di nessuno. Lo ha chiesto con fermezza Papa Benedetto XVI
all'Angelus in piazza San Pietro, dopo aver già manifestato nei giorni scorsi la
sua preoccupazione per gli attacchi contro i cristiani di Mossul, una escalation
di violenza che ha condotto due giorni fa il patriarca siro-cattolico di
Antiochia, Ignatius Joseph III Younan, a parlare di «cristiani uccisi come
pecore». Una situazione che il Papa sta seguendo con particolare apprensione,
«profonda tristezza – ha detto ieri mattina – e viva preoccupazione», tanto da
violare quattro giorni fa il silenzio che di solito accompagna la settimana di
Quaresima dedicata agli esercizi spirituali della Curia romana per far sapere il
suo pensiero.
I cristiani d'Oriente sono emigrati o stanno emigrando in massa; sono sempre
meno numerosi e in mancanza di meglio sostengono i regimi al potere (ritenendoli
preferibili all'avvento di regimi fondamentalisti); in pratica non hanno più
alcun ruolo politico nei paesi in cui risiedono. In più, devono fare i conti con
un circolo vizioso: sono emarginati in quanto cristiani, e, in quanto
emarginati, di loro si parla sempre meno. Il loro isolamento è aggravato dal
fatto che le persecuzioni contro i cristiani non sono generalmente menzionate
nelle denunce delle violazioni dei diritti umani, per una ragione molto
semplice: perlomeno in Occidente i cristiani faticano ad associare al
cristianesimo il concetto di minoranza. La difesa dei diritti dell'uomo si è
sviluppata a partire dalla lotta per la protezione delle minoranze religiose o
etniche un tempo soggette a persecuzioni. Gli ebrei, i neri o i musulmani in
Europa e in America rientrano in questo schema. La mobilitazione in loro favore
è resa ancora più incisiva dal senso di colpa prodotto dal coinvolgimento delle
Chiese cristiane nello sviluppo dell'antisemitismo, nello schiavismo e nel
colonialismo (portatore di una visione umiliante per i musulmani). In Occidente
prendere le difese dei cristiani equivale a schierarsi dalla parte della
maggioranza.
Il sempre più scristianizzato Occidente fa fatica a concepire che i
cristiani possano essere perseguitati in quanto cristiani, perché essere tali,
secondo uno slogan semplicistico che si sente ripetere spesso, significa stare
dalla parte del dannati senza appello. All'inizio ho ingenuamente ritenuto che
la colpa di questa situazione fosse da addebitare all'ignoranza. Ma essa non
basta a spiegare tutto, anzi. Combattere l'antisemitismo e il razzismo,
battaglie alle quali mi dedico con forza da decenni, non richiede
necessariamente una conoscenza approfondita della letteratura rabbinica o della
storia dello schiavismo. Non c'è alcun bisogno di avere un'empatia particolare
con colui che soffre a causa della propria origine, vittima di una giustizia
negata, per aver voglia di prendere le sue difese denunciando a gran voce il
silenzio e l'oblio che circondano la sua condizione. Sono in ballo la dignità e
i diritti umani. Una delle ragioni del silenzio e dell'oblio che circondano le
minoranze cristiane è da ricercare nella loro progressiva emarginazione e nella
continua perdita di peso politico e demografico da cui sono afflitte. potere.
Occorre combattere la gravissima disinformazione che affligge l'opinione
pubblica occidentale a proposito della situazione dei cristiani nel mondo e in
particolare nelle regioni dove essi sono minoritari, come nel Maghreb,
nell'Africa subsahariana, in Medio Oriente e in Estremo Oriente.
L'esistenza dei cristiani orientali è poco nota. Coloro che non la
ignorano ne danno spesso una valutazione troppo riduttiva, che tende a fare
delle comunità cristiane d'Oriente una sorta di appendice del cristianesimo
occidentale, o la conseguenza dell'espansione coloniale.
In altre parole, i cristiani d'Oriente non sono considerati autoctoni,
ma un elemento importato. Si dimentica che il cristianesimo è nato in Oriente
dove si è sviluppato ben prima che l'Europa diventasse quasi completamente
cristiana. Secondo il punto di vista occidentale, le persecuzioni a cui sono
sottoposti i cristiani in quei luoghi lontani colpirebbero il cristianesimo non
in quanto tale, ma nella sua qualità di emanazione dell'Occidente. Inoltre,
poiché in Occidente il cristianesimo è maggioritario, non può aspirare allo
status di minoranza in Oriente.
Questo ragionamento sortisce l'effetto di negare implicitamente la sofferenza
delle minoranze cristiane e di frenare la mobilitazione in loro favore. Al tempo
stesso, iniziative a sostegno delle popolazioni cristiane d'Oriente sono
scoraggiate, in quanto potenzialmente controproducenti: trasformare i cristiani
orientali in «protetti» dell'Occidente potrebbe esporli a rischi ancora più
gravi. Tuttavia, questa preoccupazione deve forse esonerarci dall'intervenire,
dal momento che proprio noi parliamo di «dovere di ingerenza»? E l'indifferenza
non apre forse la via all'oscurantismo?
Le guerre di religione o i fenomeni religiosi ci sembrano appartenere a
una lontana preistoria: da ciò deriva tentala radicale incapacità, da parte
dell'Occidente, di affrontare la questione in tutti i suoi aspetti. Per esempio,
nella nostra società, la difesa dei cristiani di altre parti del mondo è spesso
vista come un tentativo di favorire il ritorno del religioso o di imporre i
principi cristiani, che non sono più considerati valori fondamentali; ne
consegue che coloro che si preoccupano della sorte delle minoranze cristiane
sono guardati con gran sospetto: nella migliore delle ipotesi sono etichettati
come ultraconservatori.
Nel silenzio cristiano si deve scorgere altresì l'effetto di una
svalutazione implicita e sistematica del cristianesimo, largamente incoraggiata
da un laicismo ottuso e aggressivo, che spesso si manifesta nel modo in cui i
media trattano le vicende che coinvolgono i cristiani.
Tra fine novembre e i primi di dicembre del 2008 due avvenimenti legati
alle tensioni interreligiose hanno fatto parlare di sé attirando l'interesse dei
grandi media internazionali in modo assai diseguale: ci riferiamo al massacro
compiuto a Mumbai da un regogruppo di mujaheddin, che hanno ucciso 172 persone e
ne hanno ferite circa 300, e alle sommosse anticristiane verificatesi in
Nigeria, dove alcuni gruppi musulmani locali hanno attaccato i cristiani,
uccidendone più di 300, saccheggiando i loro beni e devastando le loro chiese.
Nel 2004 si erano scatenate violenze simili, che avevano lasciato sul terreno i
cadaveri di oltre 700 cristiani. I fatti di Mumbai hanno occupato le prime
pagine di quotidiani e telegiornali, mentre l'altro episodio è stato appena
menzionato, sebbene l'ammontare delle vittime fosse assai più elevato e le
distruzioni nettamente più gravi.
Questo trattamento differenziato da parte dell'informazione è
emblematico della difficoltà di sensibilizzare l'opinione pubblica, persino la
più accorta, riguardo alle persecuzioni che colpiscono i cristiani in numerose
regioni del mondo. Si usano due pesi e due misure; se qualcuno protesta, viene
accusato di essere a favore della censura, contro la libertà di informazione e
di essere un bigotto e un baciapile. Ho avuto occasione di sperimentare
personalmente questo disprezzo a Parigi, nell'agosto del 1997, in occasione
della Giornata mondiale della gioventù, che aveva riunito giovani giunti da ogni
parte del globo. Prima della manifestazione la grande stampa internazionale
aveva pressoché ignorato l'evento. Se n'erano occupati soltanto alcuni
editorialisti, i quali avevano previsto che quel tentala tivo di
«irreggimentare» e «manipolare » la gioventù si sarebbe risolto in un
insuccesso. Durante la manifestazione un certo numero di giornalisti si è
limitato a sottolineare i gravi disagi al traffico cittadino causati del raduno.
Nessuno si interrogava sulle motivazioni che animavano i partecipanti, né sul
significato profondo di quel ritorno al religioso. Di fronte a un giornalista
che mi intervistava rivolgendomi domande sarcastiche sull'avvenimento, ho
abbozzato una provocazione, domandandogli a mia volta quale fosse la sua
reazione di fronte al pellegrinaggio islamico canonico alla Mecca (Hajj). Il mio
interlocutore mi ha guardato stupito, come se le mie parole facessero di me un
emulo degli antichi inquisitori. Ho quindi capito quanto sia difficile perorare
la causa dei cristiani che soffrono nel mondo e quanto essere cristiano, agli
occhi di molti, rappresenti un'intollerabile mancanza di buon gusto, per non
dire un handicap che sarebbe meglio tentare di nascondere. Come si può chiedere
all'opinione pubblica di mobilitarsi in favore dei cristiani d'Oriente,
d'Africa, del Maghreb, se il cristianesimo è la sola religione sottoposta a una
sistematica denigrazione che si prefigge di snaturane lo spirito e il messaggio?
La Francia è forse l'unico paese occidentale in cui è buona norma stigmatizzare
coloro che si dichiarano credenti, e di conseguenza anche le Chiese ufficiali
alle quali li lega la fede.
Questo atteggiamento è evidente ogniqualvolta è tirata in ballo la
laïcité, principio legislativo che gode di un consenso quasi unanime e di cui
nessuna associazione religiosa ufficialmente costituita chiede l'abolizione.
Anche i cristiani d'Oriente si richiamano alla laicità. Inchieste e sondaggi
hanno dimostrato che i cattolici francesi, praticanti compresi, erano favorevoli
alla legge del 1905, la quale è ormai sul punto di diventare quasi un testo
sacro, almeno a giudicare dagli strepiti che provengono da certi ambienti
dell'integralismo laicista quando si affronta l'argomento. La legge del 1905 è
probabilmente il solo documento mai votato a Palazzo Borbone che sia considerato
scolpito nella pietra. Chiunque osi suggerire l'idea di una sua revisione si
attira l'accusa di minacciare le fondamenta stesse della République. Nella loro
miopia, i campioni della ragione, del libero esame e della critica rifiutano
ostinatamente di applicare queste virtù alla propria causa. Chi commette il
sacrilegio di non pensarla come loro è regolarmente denunciato come un novello
inquisitore! I conflitti politici sono resi ancor più aspri dal fatto che per
lungo tempo hanno riguardato la religione: il castello contro il municipio, il
curato contro il maestro pubblico ecc. L'adesione alla Repubblica della quasi
totalità dei cristiani ha semplicemente cambiato i termini del confronto,
spostandolo sul terreno della scuola: di qui le grandi crisi provocate, nel
corso del XX secolo, dai progetti di riforma delle leggi che regolano i rapporti
tra lo Stato e l'insegnamento confessionale. Mentre le manifestazioni del 1°
maggio mostravano segni di logoramento, quelle a favore della scuola laica o
confessionale del 1984 hanno richiamato in piazza centinaia di migliaia di
persone. Sembra quasi che la Repubblica sia costantemente minacciata dalle
oscure trame dei bigotti. Provate a parlare di «laicità positiva» e scatenerete
immediatamente una bufera difficilmente comprensibile per gli osservatori
stranieri, che si stupiscono nel vedere quanto facilmente noi francesi ci
crogioliamo in vecchie questioni «fratricide ». Gli anticlericali di un tempo
hanno lasciato il posto ai nuovi professionisti dell'anticristianesimo,
intolleranti e irrispettosi delle credenze di coloro che hanno la sfortuna di
non pensarla come loro. La società francese continua a essere impregnata del
tanfo di un anticlericalismo primario che si ripresenta ogniqualvolta si discute
a proposito di laicità. Se vi azzardate a far notare la cosa sarete etichettati
come «baciapile », e vi sarà quasi certamente sbattuto in faccia l'affare delle
vignette danesi sul profeta Maometto.
Peraltro, le prime vittime di quelle caricature non sono stati gli
anticlericali e i laicisti d'Europa ma i cristiani del Pakistan e della Nigeria,
che hanno pagato con la vita l'«errore » dell'Occidente, il quale tanto per
cambiare non ha mosso un dito.
© Copyright Liberal, 25 febbraio 2010
Vescovo di Mosul: Emergenza umanitaria. Centinaia di famiglie cristiane
in fuga dalle violenze
Mons. Nona racconta di una “Via Crucis che non finisce mai”. L’arcidiocesi
soccorre i profughi con generi di prima necessità, ma “la situazione è
drammatica”. Il prelato andrà a Baghdad per chiedere l’intervento del governo
centrale. Mons. Sako, arcivescovo di Kirkuk, intende lanciare una
“manifestazione e un digiuno” per ricordare “il massacro dei cristiani irakeni”.
Mosul vive una vera e propria “emergenza umanitaria”, nella sola giornata di
ieri “centinaia di famiglie cristiane” hanno abbandonato la città in cerca di
riparo, lasciando alle proprie spalle case, beni, attività commerciali: la
situazione “è drammatica”. Mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul,
conferma ad AsiaNews l’esodo dei fedeli dalla città. Intanto mons. Louis Sako,
arcivescovo di Kirkuk, intende lanciare “una manifestazione di piazza e un
digiuno”, per sensibilizzare la comunità internazionale sul “massacro dei
cristiani irakeni” e fermare le violenze nel Paese.
L’arcivescovo di Mosul è preoccupato per le tantissime famiglie, “centinaia”
nella sola giornata di ieri, che hanno abbandonato la città. Mons. Nona parla di
“una Via Crucis che non finisce mai” e denuncia il “cambiamento nei metodi”
operato dalle bande armate. “In passato dicevamo ai cristiani di rimanere chiusi
in casa – ricorda – ma ora arrivano ad attaccare perfino nelle abitazioni
private”. Il riferimento è all’omicidio avvenuto lo scorso 23 febbraio: un
commando è entrato nella casa di Aishwa Marosi, cristiano di 59 anni, uccidendo
l’uomo e i due figli maschi. Alla scena hanno assistito anche la moglie e la
figlia, risparmiate dai criminali.
Mons. Nona conferma il rischio che “Mosul si svuoti completamente dei
cristiani”, in fuga verso la piana di Ninive e altri luoghi considerati più
sicuri. “Ieri ho visitato alcune famiglie – continua – ho cercato di portare
conforto, ma la situazione è drammatica. La gente scappa senza portare nulla con
sé”. Per questo l’arcidiocesi locale ha avviato un primo intervento di
emergenza, cercando di fornire “generi di prima necessità e soccorso”, ma il
pericolo di “una crisi umanitaria è concreto”.
L’arcivescovo di Mosul intende recarsi a Baghdad per incontrare i politici e il
governo centrale, chiedendo il loro intervento. Mantenere la presenza cristiana
in città è difficile, continua, ed è probabile che alle elezioni generali – in
programma il 7 marzo – nessuno andrà a votare. Confinare i cristiani nella piana
di Ninive, vittime di un conflitto di potere fra arabi e curdi, pare una realtà
sempre più concreta, sebbene i vertici della Chiesa si siano sempre opposti alla
loro “ghettizzazione”. Finora le fazioni in lotta hanno usato i mezzi della
religione e delle bande armate per trascinare i cristiani nel conflitto. “Per
questo – conclude mons. Nona – ora è necessario trovare una ‘risposta politica’
ai conflitti, alla lotta di potere”.
Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, intende lanciare – per i prossimi
giorni – “una manifestazione di piazza e un digiuno”, per sensibilizzare la
comunità internazionale sul “massacro dei cristiani irakeni” e fermare le
violenze nel Paese. Il progetto politico che intende svuotare Mosul dei
cristiani va fermato, avviando un negoziato con il governo centrale e il
parlamento locale e rafforzando al contempo “l’idea di unità nazionale” che si è
perduta nei conflitti fra le varie etnie, confessioni religiose e influenze
straniere che hanno frantumato l’Iraq. Il prelato conferma la volontà della
comunità cristiana di “partecipare alla vita politica del Paese”, mentre si fa
sempre più concreto il pericolo che vengano considerati “cittadini di serie B”.
Le elezioni generali in programma il 7 marzo potranno causare un’escalation
ancora maggiore delle violenze. Le parti in lotta – sunniti, sciiti, curdi – non
risparmieranno metodi e forze per conquistare il controllo del territorio.
Baghdad, come Mosul e Kirkuk, fa gola a molti per i ricchi giacimenti di
petrolio. Le violenze settarie a Mosul, inoltre, non sembrano riconducibili ad
al Qaeda, ma confermano piuttosto le infiltrazioni nell’esercito e nella polizia
di “poteri forti” che si rifanno ai partiti, alle confessioni religiose, alle
tribù. Esse sono il segnale evidente del fallimento del progetto di creare uno
stato unitario, quella “Repubblica dell’Iraq” menzionata nella Costituzione e
mai nata a causa delle divisioni interne. A queste si aggiungono le pressioni
dei Paesi confinanti, fra i quali l’Iran: fonti di AsiaNews a Baghdad confermano
che “Teheran è immischiata a piene mani nella politica interna irachena” ed è
un’influenza che tocca l’ambito economico, politico e religioso.
“Non esiste uno Stato, una patria – sottolinea mons. Sako – e le divisioni
settarie sono un dato evidente. Ai cristiani non interessano i giochi di potere,
l’egemonia economica, ma la creazione di uno Stato in cui le diverse etnie
possano convivere in modo pacifico”. Un obiettivo che, per essere raggiunto,
deve partire prima di tutto “dall’unità della comunità cristiana e dei vertici
della Chiesa, che deve fare dell’unità un punto di forza al tavolo delle
trattative con il governo centrale e le forze politiche del Paese”.
© Copyright AsiaNews
Cristiani in piazza a Baghdad e a Mosul. Il conforto delle parole
del Papa
“Tristezza e preoccupazione” sono
state espresse da Benedetto XVI per le recenti uccisioni di alcuni
cristiani nella città di Mosul e per altri episodi di violenza,
avvenuti in Iraq “ai danni di persone inermi di diversa appartenenza
religiosa”. Nel corso dell’Angelus, domenica 28 febbraio, il Papa ha
pregato per tutte le vittime degli attentati ed espresso il
desiderio di un pronto ripristino della sicurezza. Rivolgendosi alle
comunità cristiane dell’intero Paese, Benedetto XVI ha detto: “Non
stancatevi di essere fermento di bene per la patria a cui, da
secoli, appartenete a pieno titolo”. Il Papa ha, inoltre, lanciato
un appello alle Autorità civili, “perché compiano ogni sforzo per
ridare sicurezza alla popolazione e, in particolare, alle minoranze
religiose più vulnerabili” ed ha esortato la comunità internazionale
“a prodigarsi per dare agli iracheni un futuro di riconciliazione e
di giustizia”.
“Grazie Santo Padre”. “Grazie Santo Padre per la sua vicinanza!
Siamo grati a Benedetto XVI, sappiamo quanto si preoccupi delle
nostre comunità: speriamo che la sua voce possa avere una risonanza
nel mondo e soprattutto nei duri di cuore”. Così il vicario
patriarcale di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, ha salutato le parole
del Papa, all’Angelus. “Parole forti e ricche di speranza – ha
affermato al SIR mons. Warduni – che suonano come un appello ai
cristiani ad avere fiducia nella giustizia e a non lasciare il loro
Paese. Benedetto XVI ha fatto appello alle Autorità perché mettano
da parte gli interessi e proteggano le minoranze religiose più
vulnerabili. È tempo, infatti, di mettere da parte ogni interesse
particolare, politico, religioso, culturale ed etnico. I cristiani
devono poter vivere in pace e sicurezza nel loro Paese, da
cittadini, nella pienezza del diritto”.
Cristiani e musulmani in piazza. Il 28 febbraio è stato anche il
giorno della protesta pacifica e civile dei cristiani, a Baghdad e a
Mosul. L’obiettivo condiviso di cristiani e musulmani, anch’essi
presenti in piazza, era quello di gridare “basta alle violenze
contro i cristiani e chiedere protezione per le minoranze”. Nella
capitale irachena, ha riferito al SIR mons. Warduni, tra i
partecipanti alla protesta, “siamo scesi in piazza per dire basta
agli attacchi. Noi vogliamo pace e sicurezza, non più violenza.
Siamo cittadini iracheni a pieno titolo e come tali rivendichiamo i
nostri diritti, in primis quello alla vita. Basta con le stragi dei
cristiani. Vogliamo protezione”. Organizzata dall’Hammurabi
Organization for Human Rights, la manifestazione ha avuto luogo nel
centro della città, non lontano dagli hotel Falestin e Sheraton, ed
ha riunito oltre 500 persone tra cristiani, yazidi, sabei e
musulmani. A prendere la parola, per ricordare le difficoltà dei
cristiani, sono stati, tra gli altri, Louis Marqus, membro dell’Hammurabi,
il corepiscopo siro cattolico, padre Pius Qasha, che ha letto un
messaggio del suo patriarca, Mar Ignatius Yousef III Younan. Tra i
presenti anche Abdallah Al Naufali, capo dell’ufficio governativo
per le minoranze non musulmane. “Abbiamo fatto le nostre richieste –
ha aggiunto Warduni – tra queste l’immediato intervento del governo
centrale e locale per proteggere i cristiani e fermare lo
spargimento di sangue; di assicurare alla giustizia gli autori e i
mandanti dei crimini contro i cristiani di Mosul; di pubblicare i
risultati delle inchieste effettuate dalle forze di sicurezza
irachene sugli attacchi contro i cristiani di Mosul avvenuti negli
scorsi giorni e nel 2008. Nel caso fosse impossibile fermare le
violenze a Mosul ci si appella alla comunità internazionale perché
li protegga e ponga fine alla loro tragedia”.
In marcia a Mosul. Le parole del Pontefice hanno avuto una grande
eco anche a Mosul ed hanno confortato i cristiani locali che hanno
aderito in massa ad una marcia condotta tra diverse città e villaggi
cristiani del territorio circostante. “L’appello è stato accolto
dalle nostre comunità – ha spiegato al SIR l’arcivescovo caldeo di
Mosul, mons. Shimoun Nona – ma il problema è che non tutta la
popolazione ha potuto ascoltarlo poiché non tutti i canali arabi lo
hanno diffuso. Da parte nostra lo diffonderemo nelle chiese”. “C’era
moltissima gente – ha aggiunto il presule caldeo – in ogni villaggio
abbiamo trovato vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e semplici
fedeli ad accoglierci. Con noi anche il patriarca caldeo, Mar
Emmanuel III Delly, che ha esortato tutti, Istituzioni in primis, ad
adoperarsi per la sicurezza”. Lo stesso patriarca, secondo quanto
riferito da mons. Warduni, ha anche fatto visita alle famiglie ed ha
parlato con il sindaco, con il capo della sicurezza e capi tribù
locali. Questi ultimi hanno ribadito che “se il governo non
proteggerà i cristiani lo faranno loro. Molti di questi, infatti,
sono stati educati in scuole cristiane”. Nella stessa occasione è
stato ricordato mons. Paulos Faraj Raho, l’arcivescovo di Mosul
rapito il 29 febbraio 2008 e ritrovato morto dopo due settimane. “A
2 anni dal rapimento – ha concluso mons. Nona – vogliamo coltivare
la sua speranza di pace per l’Iraq. La sua morte sia seme di
speranza per il nostro Paese. Le prossime elezioni ci possano, a
riguardo, portare tranquillità e sicurezza per tutti”.
[Fonte: SIR 1 marzo 2010]
Vedi documentazione più estesa:
[Altri
luoghi in cui la croce può costare la vita]
[In
Medio Oriente le antiche chiese stanno sparendo]
[Per
i cattolici libertà limitata in Turchia. Ecco i nodi da sciogliere]
[Il
Papa all'Ambasciatore turco]
[In
generale, su Cristiani in Islam - uno
dei più recenti scritti di Samir Khalil Samir]
]Cristiani
Iraq - India - Iran - Palestina - Pakistan - Medio
Oriente -
Medio
Oriente2 - Cina - Cipro - Arabia
Saudita - Turchia - Uzbekistan]
[cfr.
precedenti in Egitto del 2003 e 2005]