EUROPA
DELLE CHIESE, SCUOLA DI COMUNIONE
Cardinal
Miloslav Vlk | torna
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1.
Il 23-24 marzo 1971 a Roma, con la presidenza
dell'arcivescovo di Marsiglia Roger Etchegarai, 17
rappresentanti delle Conferenze Episcopali d'Europa (tra
cui Polonia, Ungheria e Jugoslavia - quello della
Cecoslovacchia non aveva ricevuto il visto) costituiscono
ufficialmente il Consiglio delle Conferenze Episcopali
d'Europa (CCEE), con uno statuto ad experimentum.
In
realtà questo nuovo organismo aveva le sue radici
nell'esperienza e nell'ecclesiologia di comunione del
Concilio Vaticano II. Fin dagli inizi il CCEE rivela
chiaramente la propria vocazione di essere un organismo
di comunione aldilà delle divisioni politiche che
spezzavano drammaticamente l'Europa. Il CCEE è una delle
rarissime organizzazioni che fin dal nascere hanno
inglobato tutta l'Europa, dall'Islanda alla Turchia, dal
Portogallo alla Lettonia. Tuttavia non possiamo
dimenticare che i regimi spesso impedivano ai delegati
dell'est di partecipare agli incontri del CCEE. A 30 anni
di distanza le Conferenze che fanno parte del CCEE sono
divenute 34, il muro che divideva l'Europa è crollato e
le ideologie hanno mostrato il loro volto inumano ed i
loro piedi d'argilla.
Il 15 aprile 1993 a Roma viene eletta l'attuale
Presidenza del CCEE. Non si trattava di un'elezione
facile: l'Europa stava vivendo il travaglio tipico delle
nuove pagine della storia, con l'euforia della libertà
ritrovata, ma anche con i primi segnali che non stavamo
entrando direttamente nella terra promessa: stavamo
iniziando il cammino di liberazione, ma ci avrebbero
attesi ancora lunghi anni di deserto. Nel 1991 era stato
convocato il primo sinodo speciale per l'Europa che fra
l'altro, aveva portato alla riforma del CCEE: il
Consiglio sarebbe stato formato non più da vescovi
delegati, ma dai presidenti stessi delle Conferenze
Episcopali. In questo modo il Papa donava al nostro
organismo un'autorevolezza ed un ruolo speciali. Come
presidente era stato scelto - un po' a sorpresa - un
vescovo dell'est europeo che cinque anni prima era ancora
lavavetri nelle strade di Praga per la proibizione di
esercitare il ministero sacerdotale. Come vice presidenti
erano stati eletti ancora un altro vescovo dell'est,
mons. Istvan Seregél' ed uno "sperimentato"
vescovo teologo dell'ovest, mons. Karl Lehmann. Ricordo
di avere accettato questo incarico con timore,
consapevole della mia mancanza di esperienza e dei miei
limiti, ma tanti mi avevano garantito il loro aiuto e mi
sono fidato!
Tale presidenza è confermata per un secondo mandato di 5
anni nella plenaria del 30 maggio-2 giugno 1996 di
Mariazell/Austria.
In questa plenaria di Strasburgo festeggiamo il 30°
compleanno del CCEE e votiamo una nuova presidenza. Il
fatto di realizzare questa plenaria nel contesto di un
incontro ecumenico europeo sottolinea un'altra vocazione
che è nelle radici del CCEE fin dal 1971: il servizio
alla riconciliazione tra i cristiani, soprattutto
attraverso la collaborazione con la Conferenza delle
Chiese d'Europa (KEK) che attualmente riunisce 126 Chiese
e comunità ecclesiali dell'ambito dell'Ortodossia e
della Riforma.
2.
In questo mio intervento non desidero fare bilanci né
dei 30 anni del CCEE, né dei 9 anni dell'attuale
presidenza, perché sono convinto che per le realtà
della Chiesa è meglio lasciare a Dio i bilanci.
Tuttavia, desidero comunicarvi qualche frutto della mia
esperienza europea di questi anni e condividere alcune
riflessioni sui futuri passi del CCEE.
In sintesi direi che questi anni con il CCEE sono stati
"una casa ed una scuola di comunione", secondo
l'espressione usata dal papa nella Novo
millennio ineunte (n.43).
Per l'incontro ecumenico europeo di questo inizio
millennio abbiamo scelto un titolo cristologico e
pasquale che mi attira particolarmente: "Ecco, io
sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo" (Mt 28,20). Sono sempre più impressionato
dal fatto che quella Chiesa "una, santa, cattolica,
apostolica" che lungo i secoli abbiamo sempre
professato nel Credo - e che è anche il titolo della
prima parte della Charta Oecumenica per l'Europa -, è
costituita nella storia dalla presenza - dall'essere con
noi - dello Spirito del Risorto. Questa verità mi ha
guidato sempre più chiaramente nella vita, a cominciare
dagli anni dell'oppressione comunista.
Un regime poteva toglierci i permessi, le strutture, la
libertà fisica, ma non poteva toglierci la possibilità
di vivere la realtà della presenza di Dio fra noi. E se
penso al CCEE, non posso fare a meno di riconoscere che
la sua vocazione prima è il servizio a questa presenza
del Signore fra noi. È inutile, come Chiesa, realizzare
strutture, consigli, incontri, progetti, se essi non sono
a servizio di quella comunione, di quella collegialità,
di quell'amore fraterno, di quell'unità che sono la
condizione fondamentale per la presenza del Signore tra i
suoi.
In questi anni ho visto l'opera dello Spirito del Risorto
nella crescita della comunione tra le Conferenze
Episcopali della nostra Europa. Penso innanzitutto alle
nostre assemblee plenarie. Non abbiamo tanto cercato di
essere un organismo forte, con ampie strutture e con una
grande visibilità sulla scena politica e sociale, ma
abbiamo percorso una via più discreta, in sintonia,
credo, con lo stile del Vangelo. Abbiamo cercato di
rendere le nostre plenarie prima di tutto un luogo di
preghiera, di incontro, di amicizia, di dialogo, di
scambio di esperienze, di fiducia, di informazione, di
discussione su problemi comuni, di rapporti personali.
Questo ha avuto conseguenze importanti: ci ha aiutato a
sentirci un'unica Chiesa cattolica, ad avere rispetto per
la diversità di situazioni, a portare i pesi gli uni
degli altri, a intensificare progetti di collaborazione e
di aiuto, a metterci nella logica dello scambio dei doni
e non tanto dell'essere maestri gli uni degli altri.
Inoltre l'accresciuta comunione fra noi ci ha portato a
prendere posizioni comuni sulle grandi tematiche europee,
a sentirci concretamente solidali con le grandi
situazioni di dolore come quella dei Balcani ed a
considerare insieme tante urgenze della nostra storia che
sarebbe perdente affrontare da soli.
Non sono certo se abbiamo fatto abbastanza, forse
dovevamo essere più coraggiosi in qualche situazione,
specie davanti alle tragedie della violenza esplosa, ma
credo che siamo andati in questa direzione della
collegialità.
Mi viene in mente l'incontro a Roma del marzo 1998, con
circa 120 "giovani vescovi", nominati negli
ultimi anni in Europa. Per quasi un settimana abbiamo
affrontato nel dialogo i diversi aspetti del servizio
episcopale. Dopo l'in-contro abbiamo ricevuto molte
lettere dai partecipanti: alcuni hanno affermato che
vivere questa dimensione europea, sentire l'esperienza
degli altri, era fondamentale per evitare il rischio di
chiudersi, perdersi nei propri problemi e obliare la
dimensione universale della Chiesa. Durante l'incontro,
spontaneamente, i vescovi hanno deciso di realizzare una
condivisione di soldi con i confratelli che venivano da
Paesi in particolari difficoltà economiche. Un vescovo
alla partenza ci ha chiesto i soldi per il taxi, perché
aveva dato tutto quello che aveva!
Un
laboratorio di comunione particolarmente bello per me è
stata la realtà della Presidenza del CCEE: nonostante la
mole di impegni che spesso sembra togliere il respiro,
abbiamo sfruttato tutte le occasioni per incontrarci,
anche usando le possibilità delle nuove tecnologie nel
campo della comunicazione come le conferenze telefoniche,
sempre ottimamente preparate dal segretario generale. In
questo modo è stata possibile una notevole regolarità
nel confronto fra noi. Sono molto grato ai carissimi
confratelli della presidenza ed al segretario generale,
per l'amicizia, per la fiducia avuta nei miei confronti e
- non per ultimo - anche per la gioia con cui abbiamo
lavorato insieme: i nostri incontri infatti, nonostante
la stanchezza che poteva sorprenderci, sono sempre stati
caratterizzati dalla letizia.
Questa casa e scuola di comunione che è il CCEE può
concretamente funzionare anche grazie al segretariato che
ha la sua sede a St Gallen. Le collaboratrici ed i
collaboratori lavorano in un costante e leale rapporto
con la presidenza e questo dà la garanzia che i nostri
progetti e le nostre iniziative abbiano il sigillo della
comunione e quindi rientrino nei piani misteriosi di Dio.
Mi ha fatto molto piacere il constatare che lo stile di
lavoro del segretariato ha creato in Europa una rete di
simpatia e di stima a cominciare da noi Presidenti, ma
anche tra i segretari generali delle Conferenze e le
tante persone con cui si collabora.
Per noi è anche del tutto chiaro che la Chiesa non
sarebbe casa di comunione senza il servizio all'unità
del successore di Pietro. Il CCEE ha naturalmente una sua
autonomia ed un suo ruolo specifico, ma comprende il suo
servizio in rapporto da un lato con il magistero della
Chiesa universale che è proprio del papa e dei suoi
collaboratori a Roma e dall'altra con le singole
Conferenze Episcopali dell'Europa.
Questo in un'ottica di scambio dei doni. La Segreteria di
Stato del Vaticano e la Congregazione dei vescovi sono
regolarmente consultate e informate su tutte le attività
del CCEE e con diversi Dicasteri vaticani c'è una
concreta collaborazione per gli ambiti pastorali che
affrontiamo: ecumenismo, religioni, migrazioni,
vocazioni. In questi anni è cresciuto un clima di
fiducia e di stima. La presenza del Cardinal Moreira
Neves, allora Prefetto delle Congregazione dei vescovi,
alla nostra plenaria di Atene del 1999 e l'interesse che
il Cardinal Re, attuale Prefetto della Congregazione dei
vescovi, ha già mostrato per i nostri lavori, sono anche
un'espressione di questa fiducia. Ho potuto spesso
constatare personalmente il riguardo e l'affetto con cui
il Papa ed i suoi diretti collaboratori considerano il
CCEE.
3.
Un frutto di questa "comunione europea" che io
ritengo storico e provvidenziale è il contributo dato
dal CCEE per il superamento di quel tragico muro che si
era innalzato tra l'Europa dell'Occidente e quella
dell'Oriente. Probabilmente il rapporto tra l'Est e
l'Ovest è stato in questo periodo ed è ancora, la
grande sfida per l'Europa. Dobbiamo riconoscere che
all'inizio il rapporto fra noi non era sempre facile ed
alle volte si temeva un vero e proprio scontro tra l'Est
e l'Ovest, ma proprio qui ho visto e vedo la forza della
comunione "cattolica".
Nel
1994 il CCEE ha organizzato a Varsavia un incontro per i
rappresentanti delle Conferenze Episcopali dei Paesi
ex-comunisti, con la presenza di delegati dell'Occidente:
era la prima volta che potevamo trovarci tutti insieme e
raccontarci delle nostre carceri, dei lavori forzati,
delle lotte, della liberazione, della fede, delle paure,
dei rischi che ricominciavamo a vedere all'orizzonte. Al
termine sentivamo nostre le parole del salmo:
"Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion
ci sembrava di sognare" (Ps 126).
Qualche
giorno fa un vescovo di un Paese dell'Est durante un
nostro incontro diceva: un muro ci aveva relegati tra i
Paesi oltrecortina ed ancora oggi davanti al processo di
unificazione europea siamo dei candidati sotto analisi e
ci sentiamo di serie B; solo nella Chiesa, nel CCEE,
siamo stati subito accolti come protagonisti alla pari.
Come ho già detto, anche a livello della Chiesa
cattolica la comunione fra Est ed ovest non è stata né
facile, né immediata! Ricordo che ancora all'inizio
della mia presidenza tra noi serpeggiavano paure e
sospetti che scaturivano dalle nostre evidenti diversità
di storie, di tradizioni e di culture.
Si
sentivano spesso queste domande: cosa ne sarà della
fedeltà alla tradizione, della testimonianza del
martirio e della ricchezza spirituale proprie
dell'Oriente a contatto con i processi di
secolarizzazione, di democrazia e di pluralismo con cui
si sono coinvolte le Chiese dell'Occidente? Quale
contributo potranno portare all'Europa Chiese che per
decenni sono state oppresse da un'ideologia, non hanno
potuto curare una intensa preparazione teologica e
pastorale, sono prive di personale preparato, di
strutture efficaci e mancano anche di mezzi finanziari?
Significativa
è stata la genesi del simposio CCEE dei vescovi europei
del 1996, dedicato al tema: "Religione: fatto
privato e realtà pubblica. La Chiesa nella società
pluralista". Alla fine dei lavori dell'incontro di
Varsavia per i Paesi ex-comunisti del 1994 noi dell'Est
eravamo concordi su questo punto: il comunismo ha
nazionalizzato, "collettivizzato" tutto il
resto, ma ha privatizzato la religione. Si è alzato un
vescovo dell'Occidente ed ha affermato: anche da noi la
religione è privatizzata, anche se per altri motivi. Era
chiaro che il problema era serio e dovevamo studiarlo a
livello europeo.
Oggi, le nostre diversità, mi sembra, non ci fanno più
paura, perché abbiamo sperimentato che possono diventare
dei contributi per realizzare una creazione comune, per
costruire la realtà di una Chiesa una: non esiste una
Chiesa dell'Est ed un'altra dell'Ovest. Per questo, al
nostro livello di Chiesa cattolica, direi che lo schema
Est-Ovest in Europa non è più attuale e va velocemente
abbandonato, anche nei nostri discorsi. Come esempio
particolarmente significativo vorrei ancora citare la
realtà della presenza della Chiesa greco-cattolica.
In
Occidente fino a pochi anni fa si sapeva appena della sua
esistenza ed io mi ricordo della sorpresa di tante
persone dell'Ovest, anche di vescovi, di trovarsi per la
prima volta, insieme a vescovi o fedeli greco-cattolici e
così venire a contatto con una tradizione, una liturgia,
un diritto, diversi, ma altrettanto
"cattolici"! Oggi le Chiese greco-cattoliche
sono pienamente e normalmente protagoniste di ogni
iniziativa del CCEE.
4.
Una grande e difficile sfida alla comunione che occupa e
preoccupa noi tutti è il cammino ecumenico. Anche sulla
scena ecumenica europea è in atto un forte cambiamento.
Un paio di settimane prima della assemblea ecumenica di
Graz del giugno 1997, ci siamo ritrovati la presidenza
del CCEE e la Presidenza della KEK, all'aeroporto di
Zurigo, per alcune ore di lavoro, solo per riflettere sul
modo di affrontare - specie davanti ai media - le
emergenze ed i punti caldi che immaginavamo sarebbero
emersi durante l'assemblea di Graz: il ministero ordinato
femminile, l'omosessualità, la condivisione eucaristica,
il magistero.
Arrivati
a Graz abbiamo subito percepito che l'atmosfera era
un'altra, soprattutto per la forte presenza di
partecipanti dell'Europa orientale, specie di membri
della Chiesa ortodossa, ma anche di Paesi del Sud Europa.
Quei temi che pensavamo "brucianti" per il
cammino ecumenico, ovviamente, non sono spariti, ma sono
diventati secondari, perché estranei alla tradizione
dell'Est europeo ed in parte anche al Sud Europa. I
discorsi "difficili" di Graz sono stati
piuttosto quelli riguardanti il proselitismo o la
preghiera ecumenica comune o il rapporto tra Chiesa e
nazione.
Con
la decisa entrata sulla scena ecumenica dell'Est e del
Sud Europa è cambiata la geografia ecumenica e questo ha
innescato una serie di domande anche nei riguardi degli
organismi ecumenici come il Consiglio mondiale delle
Chiese ed in parte anche la KEK.
Ogni
nostra Conferenza episcopale è oggi chiamata ad
assumersi la responsabilità di tutto il discorso
ecumenico e non solo di quello del proprio Paese. Inoltre
l'ecumenismo non può più limitarsi a rapporti
bilaterali, che restano pur sempre importanti, ma sempre
più deve divenire una confronto, fatto insieme allo
stesso tavolo, di tutte le famiglie confessionali:
cattolica, protestante ed ortodossa.
Vedo
che questo processo è già in corso, grazie soprattutto
alla crescita di quel "popolo ecumenico", che
è stata un po' la sorpresa di Graz, proveniente non più
solo da gruppi "specializzati" sull'ecumenismo,
ma da diocesi, parrocchie e nuovi movimenti ecclesiali
spesso radicati in una forte ed essenziale spiritualità
evangelica.
Trovo particolarmente indicativo il coinvolgimento nel
cammino ecumenico che ho notato in questi anni da parte
del Sud Europa. Ancora qualche anno fa l'ecumenismo
appariva una questione che interessava poco questi Paesi
a gran maggioranza cattolica. Oggi il Sud Europa è
protagonista sulla scena dell'ecumenismo, perché è
diventato chiaro che ogni Chiesa locale è chiamata ad
assumersi ogni realtà e preoccupazione della Chiesa
universale.
Il processo di preparazione dell'assemblea
di Graz, con
le difficoltà che avevamo incontrato, aveva convinto noi
del CCEE sulla utilità si elaborare una sorta di
regolamento per la collaborazione ecumenica in Europa. Da
questa idea sono nati due testi: un primo è quello delle
Linee guida per la collaborazione tra CCEE e KEK, un
regolamento interno per i nostri due organismi che
abbiamo firmato nel 2000 a Praga. Il secondo testo è
quello della Charta Oecumenica per la collaborazione tra
le Chiese e le comunità ecclesiali dell'Europa.
5.
Voglio accennare ad un ultimo capitolo che vedo
strettamente legato al discorso della casa della
comunione: il contributo della Chiesa per la costruzione
della "casa" europea. La nostra plenaria a
Lovanio/Bruxelles dell'anno scorso è stata in gran parte
dedicata a questo tema. Da una parte i rappresentanti
delle istituzioni ci tengono a ribadire in ogni occasione
la dimensione laica (alle volte laicista) delle
istituzioni, ma dall'altra non perdono neppure occasione
per chiedere aiuto alle Chiese soprattutto per dare
all'Europa quell'anima, quell'idea, quella visione di cui
c'è urgente bisogno e che il mondo politico ed economico
non sembra in grado di dare.
Penso
soprattutto all'urgenza di dare alla costruzione europea
quel riferimento alla trascendenza e quella base etica
necessari per affrontare decisive questioni come
l'ingegneria genetica, la difesa della famiglia, la
violenza nei confronti di bambini e donne, ma anche la
questione del senso che è tornata fortemente alla
ribalta. Per questi temi il CCEE collabora con la Comece
ed è in corso una riflessione per approfondire questa
collaborazione tra noi, per rendere sempre più efficace
ed autorevole il nostro contributo per l'Europa.
6.
Alla luce di questa esperienza, mi permetto ora di
esprimere qualche idea sintetica sul cammino futuro del
CCEE. Si tratta di tre piste di riflessione che fanno
tutte riferimento alla Novo millennio ineunte che
- come testo programmatico di inizio millennio per la
Chiesa universale - è da assumersi anche come punto di
riferimento determinante per i prossimi sentieri del CCEE.
'
Innanzitutto il servizio del CCEE riguarda la fede. La
sua prima preoccupazione è che gli europei credano in
Dio e abbiano occasione di incontrarsi con Gesù Cristo.
Come vescovi siamo chiamati ad essere i primi credenti.
Non dobbiamo cadere nella trappola di dare più
importanza alle strutture, alle logiche temporali,
politiche, diplomatiche, all'efficacia organizzativa,
alla ricerca di un influsso in ambito pubblico ed al
successo storico (tutti strumenti che hanno certo una
loro utilità), piuttosto che all'annuncio ed alla
testimonianza del vangelo. Non dobbiamo dimenticare che i
primi apostoli sono stati invitati da Gesù a seguirlo
verso Gerusalemme, verso il calvario: questo vale anche
per i successori degli apostoli!
Uno
sguardo di fede sulla realtà ci permette di vedere che
c'è una "storia fatta dalla fede" -
normalmente non visibile - che è realizzata proprio dai
credenti: penso al Papa che solo per fede
"rischia" viaggi come quello in Grecia o in
Ucraina, ma penso a tutti i cristiani delle nostre
parrocchie e diocesi, ai sacerdoti, ai religiosi, ai
laici, che vivono quotidianamente con serietà la loro
fede ed in questo modo sono protagonisti di questa storia
che è più vera di quella che normalmente vediamo.
È
la storia "vera" che Dio vede con i suoi occhi.
Pensando ancora in particolare alla nostra esperienza
sotto il comunismo, tante volte mi viene in mente
l'espressione del salmo: "Se il Signore non
costruisce la casa, invano faticano i costruttori" (Ps
127).
Sono
convinto che l'Europa abbia innanzitutto bisogno di una
grande onda spirituale e che ogni nostro contributo è
originale solo se è pensato e realizzato esplicitamente
con la luce del vangelo. Penso che il CCEE in questi anni
dovrebbe, per esempio, affrontare alcuni nodi molto
complicati che avrebbero bisogno assoluto di essere
illuminati dalla novità del vangelo: il rapporto tra
identità nazionale e nazionalismi; l'atteggiamento della
Chiesa danti alle situazioni di conflitto o guerra; la
questione della ingegneria genetica; il rapporto tra
verità e dialogo, soprattutto in riferimento
all'incontro con le altre religioni... Per questo mi
auguro che tutte le persone che sono chiamate in modi
diversi a collaborare con il CCEE abbiano quella luce che
nasce da una profondità spirituale.
'
La seconda prospettiva è già chiaramente contenuta nel
racconto precedente della mia esperienza: il CCEE è un
organismo di collegialità e comunione. Rileggo ancora
con voi alcune espressioni della Novo Millennio
Ineunte:
"Fare della Chiesa la casa e la scuola della
comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel
millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al
disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde
del mondo. Che cosa significa questo in concreto? Anche
qui il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo,
ma sarebbe sbagliato assecondare simile impulso.
Prima
di programmare iniziative concrete occorre promuovere una
spiritualità della comunione.il nuovo secolo dovrà
vederci impegnati più che mai a valorizzare e sviluppare
quegli ambiti e strumenti che, secondo le grandi
direttive del Concilio Vaticano II, servono ad assicurare
e garantire la comunione. Gli spazi della comunione vanno
coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello."(nn.
43-45).
Il
CCEE si sente pienamente a proprio agio davanti a queste
parole così lucide ed autorevoli. Anche le sfide
storiche con cui siamo confrontati ci testimoniano che è
l'ora della comunione: affrontare individualisticamente i
grandi temi come l'evangelizzazione, il confronto con la
cultura europea, l'ecumenismo, l'incontro con le altre
religioni, ma anche temi pastorali come le migrazioni,
l'ambiente, i media, appare oggi come un combattere
contro i mulini a vento!
Credo che dobbiamo continuare a credere alla comunione
fra noi, a "perdere tempo" per fare del CCEE
sempre più un laboratorio intelligente di collegialità.
Per il discorso ecumenico vorrei solo ribadire il fatto
che per i prossimi anni abbiamo una pista aperta dalla
Charta Oecumenica.
Abbiamo
sempre sottolineato come essa più che un testo scritto
è un processo. Esso non è stato e non sarà facile, ma
è qualcosa di originale nel cammino ecumenico europeo,
come è stato anche ribadito più volte dal Pontificio
Consiglio per l'unità dei cristiani. Il suo successo
dipende dalla ricezione e dal nostro impegno di adattarla
e metterla in pratica a livello locale, quindi dipende
anche molto da noi. Lascio a voi il pensare a quando sarà
il momento per un terza assemblea ecumenica europea!
'
Un terzo sentiero per il futuro del CCEE: aiutare
l'Europa a riscoprire la sua vocazione. Da un lato mi
sembra che l'Europa riscoprirà il suo compito se si
considererà in rapporto con gli altri continenti e
regioni della terra, se cercherà di capirsi attraverso
lo sguardo delle altre culture e gli altri popoli;
d'altro lato essa ritroverà la sua vocazione se tornerà
alle proprie radici. Il nostro continente è stato il
primo a vivere la grande impresa dell'accoglienza del
vangelo e dell'inculturazione del vangelo nelle nostre
culture.
Sono
gli europei che hanno quindi portato il vangelo agli
altri continenti. Ricordate come durante il sinodo
speciale per l'Europa del 1999 tutti i rappresentanti
degli altri continenti hanno iniziato il loro intervento
ringraziando l'Europa per aver portato loro il
cristianesimo. Sono persuaso che la vocazione dell'Europa
sia ancora quella che è già inscritta nelle proprie
radici: rivivere all'inizio del nuovo millennio una nuova
inculturazione del cristianesimo nella nostra cultura,
attraverso quell'evangelizzazione di nuova qualità di
cui parliamo da anni e di cui si sono occupati diversi
simposi del CCEE.
Quindi
continuare a donare alle altre regioni della terra il
metodo ed i frutti di questo lavoro. È ovvio che le
altre culture dovranno pensare in proprio ed a casa loro
questo incontro tra cristianesimo e cultura, ma mi sembra
che l'Europa abbia questa vocazione "culturale"
in modo singolare.
Forse
proprio perché la nostra cultura ha vissuto e forse sta
ancora vivendo una sorta di "notte oscura
epocale", come ha detto qualche anno fa il papa in
Spagna, attraverso fenomeni come ateismo, nichilismo,
indifferenza, relativismo etico, essa ha il compito di
accogliere quella luce speciale di Dio che non è assente
nelle notte oscure dei mistici, anzi è talmente viva che
acceca e mostrare al mondo che dopo la notte sta sorgendo
l'alba, anzi che nella notte è già presente l'alba.
Questo
è il mistero straordinario che viviamo in questi giorni
pasquali: l'ora in cui il Figlio fu inchiodato sulla
croce e visse l'abbandono, l'ora in cui si fece buio su
tutta la terra è stata anche l'ora della salvezza, l'ora
della gloria e della luce della Risurrezione.
Questa è la buona notizia per l'Europa e per il mondo.