EUROPA DELLE CHIESE, SCUOLA DI COMUNIONE


Cardinal Miloslav Vlk       | torna all'indice |

1. Il 23-24 marzo 1971 a Roma, con la presidenza dell'arcivescovo di Marsiglia Roger Etchegarai, 17 rappresentanti delle Conferenze Episcopali d'Europa (tra cui Polonia, Ungheria e Jugoslavia - quello della Cecoslovacchia non aveva ricevuto il visto) costituiscono ufficialmente il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE), con uno statuto ad experimentum.

In realtà questo nuovo organismo aveva le sue radici nell'esperienza e nell'ecclesiologia di comunione del Concilio Vaticano II. Fin dagli inizi il CCEE rivela chiaramente la propria vocazione di essere un organismo di comunione aldilà delle divisioni politiche che spezzavano drammaticamente l'Europa. Il CCEE è una delle rarissime organizzazioni che fin dal nascere hanno inglobato tutta l'Europa, dall'Islanda alla Turchia, dal Portogallo alla Lettonia. Tuttavia non possiamo dimenticare che i regimi spesso impedivano ai delegati dell'est di partecipare agli incontri del CCEE. A 30 anni di distanza le Conferenze che fanno parte del CCEE sono divenute 34, il muro che divideva l'Europa è crollato e le ideologie hanno mostrato il loro volto inumano ed i loro piedi d'argilla.

Il 15 aprile 1993 a Roma viene eletta l'attuale Presidenza del CCEE. Non si trattava di un'elezione facile: l'Europa stava vivendo il travaglio tipico delle nuove pagine della storia, con l'euforia della libertà ritrovata, ma anche con i primi segnali che non stavamo entrando direttamente nella terra promessa: stavamo iniziando il cammino di liberazione, ma ci avrebbero attesi ancora lunghi anni di deserto. Nel 1991 era stato convocato il primo sinodo speciale per l'Europa che fra l'altro, aveva portato alla riforma del CCEE: il Consiglio sarebbe stato formato non più da vescovi delegati, ma dai presidenti stessi delle Conferenze Episcopali. In questo modo il Papa donava al nostro organismo un'autorevolezza ed un ruolo speciali. Come presidente era stato scelto - un po' a sorpresa - un vescovo dell'est europeo che cinque anni prima era ancora lavavetri nelle strade di Praga per la proibizione di esercitare il ministero sacerdotale. Come vice presidenti erano stati eletti ancora un altro vescovo dell'est, mons. Istvan Seregél' ed uno "sperimentato" vescovo teologo dell'ovest, mons. Karl Lehmann. Ricordo di avere accettato questo incarico con timore, consapevole della mia mancanza di esperienza e dei miei limiti, ma tanti mi avevano garantito il loro aiuto e mi sono fidato!
Tale presidenza è confermata per un secondo mandato di 5 anni nella plenaria del 30 maggio-2 giugno 1996 di Mariazell/Austria.

In questa plenaria di Strasburgo festeggiamo il 30° compleanno del CCEE e votiamo una nuova presidenza. Il fatto di realizzare questa plenaria nel contesto di un incontro ecumenico europeo sottolinea un'altra vocazione che è nelle radici del CCEE fin dal 1971: il servizio alla riconciliazione tra i cristiani, soprattutto attraverso la collaborazione con la Conferenza delle Chiese d'Europa (KEK) che attualmente riunisce 126 Chiese e comunità ecclesiali dell'ambito dell'Ortodossia e della Riforma.

2. In questo mio intervento non desidero fare bilanci né dei 30 anni del CCEE, né dei 9 anni dell'attuale presidenza, perché sono convinto che per le realtà della Chiesa è meglio lasciare a Dio i bilanci. Tuttavia, desidero comunicarvi qualche frutto della mia esperienza europea di questi anni e condividere alcune riflessioni sui futuri passi del CCEE.
In sintesi direi che questi anni con il CCEE sono stati "una casa ed una scuola di comunione", secondo l'espressione usata dal papa nella Novo millennio ineunte (n.43).

Per l'incontro ecumenico europeo di questo inizio millennio abbiamo scelto un titolo cristologico e pasquale che mi attira particolarmente: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Sono sempre più impressionato dal fatto che quella Chiesa "una, santa, cattolica, apostolica" che lungo i secoli abbiamo sempre professato nel Credo - e che è anche il titolo della prima parte della Charta Oecumenica per l'Europa -, è costituita nella storia dalla presenza - dall'essere con noi - dello Spirito del Risorto. Questa verità mi ha guidato sempre più chiaramente nella vita, a cominciare dagli anni dell'oppressione comunista.

Un regime poteva toglierci i permessi, le strutture, la libertà fisica, ma non poteva toglierci la possibilità di vivere la realtà della presenza di Dio fra noi. E se penso al CCEE, non posso fare a meno di riconoscere che la sua vocazione prima è il servizio a questa presenza del Signore fra noi. È inutile, come Chiesa, realizzare strutture, consigli, incontri, progetti, se essi non sono a servizio di quella comunione, di quella collegialità, di quell'amore fraterno, di quell'unità che sono la condizione fondamentale per la presenza del Signore tra i suoi.

In questi anni ho visto l'opera dello Spirito del Risorto nella crescita della comunione tra le Conferenze Episcopali della nostra Europa. Penso innanzitutto alle nostre assemblee plenarie. Non abbiamo tanto cercato di essere un organismo forte, con ampie strutture e con una grande visibilità sulla scena politica e sociale, ma abbiamo percorso una via più discreta, in sintonia, credo, con lo stile del Vangelo. Abbiamo cercato di rendere le nostre plenarie prima di tutto un luogo di preghiera, di incontro, di amicizia, di dialogo, di scambio di esperienze, di fiducia, di informazione, di discussione su problemi comuni, di rapporti personali.

Questo ha avuto conseguenze importanti: ci ha aiutato a sentirci un'unica Chiesa cattolica, ad avere rispetto per la diversità di situazioni, a portare i pesi gli uni degli altri, a intensificare progetti di collaborazione e di aiuto, a metterci nella logica dello scambio dei doni e non tanto dell'essere maestri gli uni degli altri. Inoltre l'accresciuta comunione fra noi ci ha portato a prendere posizioni comuni sulle grandi tematiche europee, a sentirci concretamente solidali con le grandi situazioni di dolore come quella dei Balcani ed a considerare insieme tante urgenze della nostra storia che sarebbe perdente affrontare da soli.

Non sono certo se abbiamo fatto abbastanza, forse dovevamo essere più coraggiosi in qualche situazione, specie davanti alle tragedie della violenza esplosa, ma credo che siamo andati in questa direzione della collegialità.

Mi viene in mente l'incontro a Roma del marzo 1998, con circa 120 "giovani vescovi", nominati negli ultimi anni in Europa. Per quasi un settimana abbiamo affrontato nel dialogo i diversi aspetti del servizio episcopale. Dopo l'in-contro abbiamo ricevuto molte lettere dai partecipanti: alcuni hanno affermato che vivere questa dimensione europea, sentire l'esperienza degli altri, era fondamentale per evitare il rischio di chiudersi, perdersi nei propri problemi e obliare la dimensione universale della Chiesa. Durante l'incontro, spontaneamente, i vescovi hanno deciso di realizzare una condivisione di soldi con i confratelli che venivano da Paesi in particolari difficoltà economiche. Un vescovo alla partenza ci ha chiesto i soldi per il taxi, perché aveva dato tutto quello che aveva!

Un laboratorio di comunione particolarmente bello per me è stata la realtà della Presidenza del CCEE: nonostante la mole di impegni che spesso sembra togliere il respiro, abbiamo sfruttato tutte le occasioni per incontrarci, anche usando le possibilità delle nuove tecnologie nel campo della comunicazione come le conferenze telefoniche, sempre ottimamente preparate dal segretario generale. In questo modo è stata possibile una notevole regolarità nel confronto fra noi. Sono molto grato ai carissimi confratelli della presidenza ed al segretario generale, per l'amicizia, per la fiducia avuta nei miei confronti e - non per ultimo - anche per la gioia con cui abbiamo lavorato insieme: i nostri incontri infatti, nonostante la stanchezza che poteva sorprenderci, sono sempre stati caratterizzati dalla letizia.

Questa casa e scuola di comunione che è il CCEE può concretamente funzionare anche grazie al segretariato che ha la sua sede a St Gallen. Le collaboratrici ed i collaboratori lavorano in un costante e leale rapporto con la presidenza e questo dà la garanzia che i nostri progetti e le nostre iniziative abbiano il sigillo della comunione e quindi rientrino nei piani misteriosi di Dio. Mi ha fatto molto piacere il constatare che lo stile di lavoro del segretariato ha creato in Europa una rete di simpatia e di stima a cominciare da noi Presidenti, ma anche tra i segretari generali delle Conferenze e le tante persone con cui si collabora.

Per noi è anche del tutto chiaro che la Chiesa non sarebbe casa di comunione senza il servizio all'unità del successore di Pietro. Il CCEE ha naturalmente una sua autonomia ed un suo ruolo specifico, ma comprende il suo servizio in rapporto da un lato con il magistero della Chiesa universale che è proprio del papa e dei suoi collaboratori a Roma e dall'altra con le singole Conferenze Episcopali dell'Europa.

Questo in un'ottica di scambio dei doni. La Segreteria di Stato del Vaticano e la Congregazione dei vescovi sono regolarmente consultate e informate su tutte le attività del CCEE e con diversi Dicasteri vaticani c'è una concreta collaborazione per gli ambiti pastorali che affrontiamo: ecumenismo, religioni, migrazioni, vocazioni. In questi anni è cresciuto un clima di fiducia e di stima. La presenza del Cardinal Moreira Neves, allora Prefetto delle Congregazione dei vescovi, alla nostra plenaria di Atene del 1999 e l'interesse che il Cardinal Re, attuale Prefetto della Congregazione dei vescovi, ha già mostrato per i nostri lavori, sono anche un'espressione di questa fiducia. Ho potuto spesso constatare personalmente il riguardo e l'affetto con cui il Papa ed i suoi diretti collaboratori considerano il CCEE.

3. Un frutto di questa "comunione europea" che io ritengo storico e provvidenziale è il contributo dato dal CCEE per il superamento di quel tragico muro che si era innalzato tra l'Europa dell'Occidente e quella dell'Oriente. Probabilmente il rapporto tra l'Est e l'Ovest è stato in questo periodo ed è ancora, la grande sfida per l'Europa. Dobbiamo riconoscere che all'inizio il rapporto fra noi non era sempre facile ed alle volte si temeva un vero e proprio scontro tra l'Est e l'Ovest, ma proprio qui ho visto e vedo la forza della comunione "cattolica".

Nel 1994 il CCEE ha organizzato a Varsavia un incontro per i rappresentanti delle Conferenze Episcopali dei Paesi ex-comunisti, con la presenza di delegati dell'Occidente: era la prima volta che potevamo trovarci tutti insieme e raccontarci delle nostre carceri, dei lavori forzati, delle lotte, della liberazione, della fede, delle paure, dei rischi che ricominciavamo a vedere all'orizzonte. Al termine sentivamo nostre le parole del salmo: "Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion ci sembrava di sognare" (Ps 126).

Qualche giorno fa un vescovo di un Paese dell'Est durante un nostro incontro diceva: un muro ci aveva relegati tra i Paesi oltrecortina ed ancora oggi davanti al processo di unificazione europea siamo dei candidati sotto analisi e ci sentiamo di serie B; solo nella Chiesa, nel CCEE, siamo stati subito accolti come protagonisti alla pari. Come ho già detto, anche a livello della Chiesa cattolica la comunione fra Est ed ovest non è stata né facile, né immediata! Ricordo che ancora all'inizio della mia presidenza tra noi serpeggiavano paure e sospetti che scaturivano dalle nostre evidenti diversità di storie, di tradizioni e di culture.

Si sentivano spesso queste domande: cosa ne sarà della fedeltà alla tradizione, della testimonianza del martirio e della ricchezza spirituale proprie dell'Oriente a contatto con i processi di secolarizzazione, di democrazia e di pluralismo con cui si sono coinvolte le Chiese dell'Occidente? Quale contributo potranno portare all'Europa Chiese che per decenni sono state oppresse da un'ideologia, non hanno potuto curare una intensa preparazione teologica e pastorale, sono prive di personale preparato, di strutture efficaci e mancano anche di mezzi finanziari?

Significativa è stata la genesi del simposio CCEE dei vescovi europei del 1996, dedicato al tema: "Religione: fatto privato e realtà pubblica. La Chiesa nella società pluralista". Alla fine dei lavori dell'incontro di Varsavia per i Paesi ex-comunisti del 1994 noi dell'Est eravamo concordi su questo punto: il comunismo ha nazionalizzato, "collettivizzato" tutto il resto, ma ha privatizzato la religione. Si è alzato un vescovo dell'Occidente ed ha affermato: anche da noi la religione è privatizzata, anche se per altri motivi. Era chiaro che il problema era serio e dovevamo studiarlo a livello europeo.

Oggi, le nostre diversità, mi sembra, non ci fanno più paura, perché abbiamo sperimentato che possono diventare dei contributi per realizzare una creazione comune, per costruire la realtà di una Chiesa una: non esiste una Chiesa dell'Est ed un'altra dell'Ovest. Per questo, al nostro livello di Chiesa cattolica, direi che lo schema Est-Ovest in Europa non è più attuale e va velocemente abbandonato, anche nei nostri discorsi. Come esempio particolarmente significativo vorrei ancora citare la realtà della presenza della Chiesa greco-cattolica.

In Occidente fino a pochi anni fa si sapeva appena della sua esistenza ed io mi ricordo della sorpresa di tante persone dell'Ovest, anche di vescovi, di trovarsi per la prima volta, insieme a vescovi o fedeli greco-cattolici e così venire a contatto con una tradizione, una liturgia, un diritto, diversi, ma altrettanto "cattolici"! Oggi le Chiese greco-cattoliche sono pienamente e normalmente protagoniste di ogni iniziativa del CCEE.

4. Una grande e difficile sfida alla comunione che occupa e preoccupa noi tutti è il cammino ecumenico. Anche sulla scena ecumenica europea è in atto un forte cambiamento. Un paio di settimane prima della assemblea ecumenica di Graz del giugno 1997, ci siamo ritrovati la presidenza del CCEE e la Presidenza della KEK, all'aeroporto di Zurigo, per alcune ore di lavoro, solo per riflettere sul modo di affrontare - specie davanti ai media - le emergenze ed i punti caldi che immaginavamo sarebbero emersi durante l'assemblea di Graz: il ministero ordinato femminile, l'omosessualità, la condivisione eucaristica, il magistero.

Arrivati a Graz abbiamo subito percepito che l'atmosfera era un'altra, soprattutto per la forte presenza di partecipanti dell'Europa orientale, specie di membri della Chiesa ortodossa, ma anche di Paesi del Sud Europa. Quei temi che pensavamo "brucianti" per il cammino ecumenico, ovviamente, non sono spariti, ma sono diventati secondari, perché estranei alla tradizione dell'Est europeo ed in parte anche al Sud Europa. I discorsi "difficili" di Graz sono stati piuttosto quelli riguardanti il proselitismo o la preghiera ecumenica comune o il rapporto tra Chiesa e nazione.

Con la decisa entrata sulla scena ecumenica dell'Est e del Sud Europa è cambiata la geografia ecumenica e questo ha innescato una serie di domande anche nei riguardi degli organismi ecumenici come il Consiglio mondiale delle Chiese ed in parte anche la KEK.

Ogni nostra Conferenza episcopale è oggi chiamata ad assumersi la responsabilità di tutto il discorso ecumenico e non solo di quello del proprio Paese. Inoltre l'ecumenismo non può più limitarsi a rapporti bilaterali, che restano pur sempre importanti, ma sempre più deve divenire una confronto, fatto insieme allo stesso tavolo, di tutte le famiglie confessionali: cattolica, protestante ed ortodossa.

Vedo che questo processo è già in corso, grazie soprattutto alla crescita di quel "popolo ecumenico", che è stata un po' la sorpresa di Graz, proveniente non più solo da gruppi "specializzati" sull'ecumenismo, ma da diocesi, parrocchie e nuovi movimenti ecclesiali spesso radicati in una forte ed essenziale spiritualità evangelica.

Trovo particolarmente indicativo il coinvolgimento nel cammino ecumenico che ho notato in questi anni da parte del Sud Europa. Ancora qualche anno fa l'ecumenismo appariva una questione che interessava poco questi Paesi a gran maggioranza cattolica. Oggi il Sud Europa è protagonista sulla scena dell'ecumenismo, perché è diventato chiaro che ogni Chiesa locale è chiamata ad assumersi ogni realtà e preoccupazione della Chiesa universale.

Il processo di preparazione dell'assemblea di Graz, con le difficoltà che avevamo incontrato, aveva convinto noi del CCEE sulla utilità si elaborare una sorta di regolamento per la collaborazione ecumenica in Europa. Da questa idea sono nati due testi: un primo è quello delle Linee guida per la collaborazione tra CCEE e KEK, un regolamento interno per i nostri due organismi che abbiamo firmato nel 2000 a Praga. Il secondo testo è quello della Charta Oecumenica per la collaborazione tra le Chiese e le comunità ecclesiali dell'Europa.

5. Voglio accennare ad un ultimo capitolo che vedo strettamente legato al discorso della casa della comunione: il contributo della Chiesa per la costruzione della "casa" europea. La nostra plenaria a Lovanio/Bruxelles dell'anno scorso è stata in gran parte dedicata a questo tema. Da una parte i rappresentanti delle istituzioni ci tengono a ribadire in ogni occasione la dimensione laica (alle volte laicista) delle istituzioni, ma dall'altra non perdono neppure occasione per chiedere aiuto alle Chiese soprattutto per dare all'Europa quell'anima, quell'idea, quella visione di cui c'è urgente bisogno e che il mondo politico ed economico non sembra in grado di dare.

Penso soprattutto all'urgenza di dare alla costruzione europea quel riferimento alla trascendenza e quella base etica necessari per affrontare decisive questioni come l'ingegneria genetica, la difesa della famiglia, la violenza nei confronti di bambini e donne, ma anche la questione del senso che è tornata fortemente alla ribalta. Per questi temi il CCEE collabora con la Comece ed è in corso una riflessione per approfondire questa collaborazione tra noi, per rendere sempre più efficace ed autorevole il nostro contributo per l'Europa.

6. Alla luce di questa esperienza, mi permetto ora di esprimere qualche idea sintetica sul cammino futuro del CCEE. Si tratta di tre piste di riflessione che fanno tutte riferimento alla Novo millennio ineunte che - come testo programmatico di inizio millennio per la Chiesa universale - è da assumersi anche come punto di riferimento determinante per i prossimi sentieri del CCEE.

' Innanzitutto il servizio del CCEE riguarda la fede. La sua prima preoccupazione è che gli europei credano in Dio e abbiano occasione di incontrarsi con Gesù Cristo. Come vescovi siamo chiamati ad essere i primi credenti. Non dobbiamo cadere nella trappola di dare più importanza alle strutture, alle logiche temporali, politiche, diplomatiche, all'efficacia organizzativa, alla ricerca di un influsso in ambito pubblico ed al successo storico (tutti strumenti che hanno certo una loro utilità), piuttosto che all'annuncio ed alla testimonianza del vangelo. Non dobbiamo dimenticare che i primi apostoli sono stati invitati da Gesù a seguirlo verso Gerusalemme, verso il calvario: questo vale anche per i successori degli apostoli!

Uno sguardo di fede sulla realtà ci permette di vedere che c'è una "storia fatta dalla fede" - normalmente non visibile - che è realizzata proprio dai credenti: penso al Papa che solo per fede "rischia" viaggi come quello in Grecia o in Ucraina, ma penso a tutti i cristiani delle nostre parrocchie e diocesi, ai sacerdoti, ai religiosi, ai laici, che vivono quotidianamente con serietà la loro fede ed in questo modo sono protagonisti di questa storia che è più vera di quella che normalmente vediamo.

È la storia "vera" che Dio vede con i suoi occhi. Pensando ancora in particolare alla nostra esperienza sotto il comunismo, tante volte mi viene in mente l'espressione del salmo: "Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori" (Ps 127).

Sono convinto che l'Europa abbia innanzitutto bisogno di una grande onda spirituale e che ogni nostro contributo è originale solo se è pensato e realizzato esplicitamente con la luce del vangelo. Penso che il CCEE in questi anni dovrebbe, per esempio, affrontare alcuni nodi molto complicati che avrebbero bisogno assoluto di essere illuminati dalla novità del vangelo: il rapporto tra identità nazionale e nazionalismi; l'atteggiamento della Chiesa danti alle situazioni di conflitto o guerra; la questione della ingegneria genetica; il rapporto tra verità e dialogo, soprattutto in riferimento all'incontro con le altre religioni... Per questo mi auguro che tutte le persone che sono chiamate in modi diversi a collaborare con il CCEE abbiano quella luce che nasce da una profondità spirituale.

' La seconda prospettiva è già chiaramente contenuta nel racconto precedente della mia esperienza: il CCEE è un organismo di collegialità e comunione. Rileggo ancora con voi alcune espressioni della Novo Millennio Ineunte: "Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo. Che cosa significa questo in concreto? Anche qui il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo, ma sarebbe sbagliato assecondare simile impulso.

Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione.il nuovo secolo dovrà vederci impegnati più che mai a valorizzare e sviluppare quegli ambiti e strumenti che, secondo le grandi direttive del Concilio Vaticano II, servono ad assicurare e garantire la comunione. Gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello."(nn. 43-45).

Il CCEE si sente pienamente a proprio agio davanti a queste parole così lucide ed autorevoli. Anche le sfide storiche con cui siamo confrontati ci testimoniano che è l'ora della comunione: affrontare individualisticamente i grandi temi come l'evangelizzazione, il confronto con la cultura europea, l'ecumenismo, l'incontro con le altre religioni, ma anche temi pastorali come le migrazioni, l'ambiente, i media, appare oggi come un combattere contro i mulini a vento!

Credo che dobbiamo continuare a credere alla comunione fra noi, a "perdere tempo" per fare del CCEE sempre più un laboratorio intelligente di collegialità.
Per il discorso ecumenico vorrei solo ribadire il fatto che per i prossimi anni abbiamo una pista aperta dalla Charta Oecumenica.

Abbiamo sempre sottolineato come essa più che un testo scritto è un processo. Esso non è stato e non sarà facile, ma è qualcosa di originale nel cammino ecumenico europeo, come è stato anche ribadito più volte dal Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani. Il suo successo dipende dalla ricezione e dal nostro impegno di adattarla e metterla in pratica a livello locale, quindi dipende anche molto da noi. Lascio a voi il pensare a quando sarà il momento per un terza assemblea ecumenica europea!

' Un terzo sentiero per il futuro del CCEE: aiutare l'Europa a riscoprire la sua vocazione. Da un lato mi sembra che l'Europa riscoprirà il suo compito se si considererà in rapporto con gli altri continenti e regioni della terra, se cercherà di capirsi attraverso lo sguardo delle altre culture e gli altri popoli; d'altro lato essa ritroverà la sua vocazione se tornerà alle proprie radici. Il nostro continente è stato il primo a vivere la grande impresa dell'accoglienza del vangelo e dell'inculturazione del vangelo nelle nostre culture.

Sono gli europei che hanno quindi portato il vangelo agli altri continenti. Ricordate come durante il sinodo speciale per l'Europa del 1999 tutti i rappresentanti degli altri continenti hanno iniziato il loro intervento ringraziando l'Europa per aver portato loro il cristianesimo. Sono persuaso che la vocazione dell'Europa sia ancora quella che è già inscritta nelle proprie radici: rivivere all'inizio del nuovo millennio una nuova inculturazione del cristianesimo nella nostra cultura, attraverso quell'evangelizzazione di nuova qualità di cui parliamo da anni e di cui si sono occupati diversi simposi del CCEE.

Quindi continuare a donare alle altre regioni della terra il metodo ed i frutti di questo lavoro. È ovvio che le altre culture dovranno pensare in proprio ed a casa loro questo incontro tra cristianesimo e cultura, ma mi sembra che l'Europa abbia questa vocazione "culturale" in modo singolare.

Forse proprio perché la nostra cultura ha vissuto e forse sta ancora vivendo una sorta di "notte oscura epocale", come ha detto qualche anno fa il papa in Spagna, attraverso fenomeni come ateismo, nichilismo, indifferenza, relativismo etico, essa ha il compito di accogliere quella luce speciale di Dio che non è assente nelle notte oscure dei mistici, anzi è talmente viva che acceca e mostrare al mondo che dopo la notte sta sorgendo l'alba, anzi che nella notte è già presente l'alba.

Questo è il mistero straordinario che viviamo in questi giorni pasquali: l'ora in cui il Figlio fu inchiodato sulla croce e visse l'abbandono, l'ora in cui si fece buio su tutta la terra è stata anche l'ora della salvezza, l'ora della gloria e della luce della Risurrezione.

Questa è la buona notizia per l'Europa e per il mondo.



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