"LE
CHIESE SIANO SORELLE, NON CONCORRENTI"
Elisabeth
Parmentier, pastora
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Matteo 28,1-10 e 16-20
"Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine
del mondo"
L'ecumenismo
avrebbe bisogno dell'angelo del mattino di Pasqua, che sa
far spostare le pietre. Aprirebbe un passaggio degli uni
verso gli altri, smuovendo tutti i tipi di pietra che
segnano i nostri limiti e le nostre resistenze. Coloro
che credono di dover conservare le loro Chiese come dei
mausolei tremeranno per questo, e a ragione! Le pietre
spostate svelerebbero che ci sono più passaggi aperti
tra le nostre Chiese di quanto non supponiamo, perché il
Risorto è già passato di là. Ma ai nostri giorni
l'angelo non ci parla più con terremoti, ed è alla
semplice parola biblica che noi affidiamo il compito di
mettere in moto l'ecumenismo.
Nella storia che precede l'invio dei discepoli in
missione, lo stesso messaggio è già stato ripetuto, in
tutto tre volte: dall'angelo alle donne, dal Cristo alle
donne e dal Cristo ai discepoli, è lo stesso ordine:
"Andate, andate a dire, andate a testimoniare,
andate a fare nazioni di discepoli". E stasera mi
ritrovo incaricata di questo messaggio come una delle
donne di Pasqua che devono andare a parlare, tutte
tremanti, ai discepoli, ai capi della Chiesa, e dire
loro: "raggiungete Cristo in Galilea".
Questa predicazione stasera, contrariamente alle
abitudini, non è destinata in primo luogo al popolo
della Chiesa ma a quelli che ne portano la responsabilità
spirituale e che orientano il suo avvenire. È a voi,
patriarchi, vescovi, presidenti di Chiesa, a voi delegati
e giovani che io devo annunciare che la pietra spostata
di Pasqua sposta anche il movimento ecumenico dalla
testimonianza separata delle Chiese verso quella di tutta
la Chiesa per tutte le nazioni. Il Cristo è già la
nostra riconciliazione e questo sconvolge le nostre
frontiere confessionali malgrado noi, malgrado esse! Le
Chiese sono chiamate a seguire lo spostamento di Pasqua.
Ma dove andare insieme? Dov'è la nostra
"Galilea"? Oggi, dov'è che il Cristo ci
precede? Nelle realtà diverse dell'Europa e delle sue
Chiese le situazioni non si possono paragonare e talvolta
districare. Ci sarebbe una Galilea come spazio ecumenico
condivisibile? La Galilea nel Vangelo di Matteo fu il
luogo della tentazione e della trasfigurazione, tutto un
programma per le Chiese in cammino, in tentazione e
trasfigurazione!
Ma
la Galilea è stata soprattutto il luogo in cui i
discepoli accettarono di riunirsi insieme, per ritrovarvi
il loro Maestro. Dove potremmo oggi ritrovarci insieme,
in quale ambito, su quale terreno? Noi non disponiamo
della stessa mappa per questa "terra incognita"
che è il viaggio delle Chiese le une verso le altre. E
noi non abbiamo più l'innocenza e l'entusiasmo dei primi
scopritori di orizzonti. Noi pendiamo di più dalla parte
della tentazione di chiuderci, tanto abbiamo paura di
tradire la nostra tradizione e di perderci o di essere
schiacciati dagli altri.
Tuttavia abbiamo una mappa comune, che è quella
dell'origine. Sappiamo da dove veniamo e quale disegno
divino ha tracciato i primi contorni della nostra storia.
Veniamo dal mattino di Pasqua in cui risorge colui che
con la sua croce ha capovolto il muro di odio tra gli
uomini. E andiamo verso colui che ha promesso che ormai
non si sposterà più da in mezzo a noi. Noi andiamo
verso il nostro centro, quali che siano le strade umane
delle nostre peregrinazioni. La Galilea è il nostro
riorientamento permanente verso il Cristo in mezzo a noi.
Tuttavia, non basta dire questo. Perché se sulla nostra
mappa cristiana noi abbiamo indicatori di strada come le
Scritture, i sacramenti, le tradizioni della Chiesa, ci
vorrebbe una mappa più precisa per le relazioni
quotidiane con i fratelli e le sorelle delle altre
Chiese. Per fare strada comune, ci vorrebbe una mappa che
riportasse lo scontro delle situazioni concrete, sul
terreno, che sono le situazioni test con le quali
l'ecumenismo o tiene o cade!
E
oggi si può disegnare una carta di Chiese che
riconoscono tra di loro lo stesso appello del Risorto, la
stessa speranza? Chiese che non siano concorrenti ma
osino chiamarsi sorelle, che si rispettino a prescindere
dalla loro situazione, maggioritaria o minoritaria?
Chiese segni di grazia per le nazioni, segni del fatto
che si può superare la fatalità dell'opposizione e
della rivalità? Ci vorrebbe una mappa-conversione, una
mappa-impegno, perché non una "charta"? Una
"charta" è già un po' la trasfigurazione
della mappa, perché si orienta prima di tutto
sull'essere umano, e vede in lui un "prossimo".
La
"carta ecumenica" prenderà vita dove essa ci
permetterà di dare un volto a dei prossimi, di accettare
il dialogo con coloro che sono altri, e di riconoscerci
reciprocamente come cristiani nel senso più pieno del
termine. La Charta è l'impegno comune su un cammino
verso il centro, verso il Cristo presente in mezzo a noi.
È perché il Cristo è tra noi che potremo senza timore
considerarci come fratello e sorella.
Non siamo solo noi a scrivere la nostra cartina stradale.
È
l'opera dello Spirito di Dio a spingerci senza sosta gli
uni verso gli altri alla ricerca di Cristo. Non sono le
nostre virtù, la nostra carità o il nostro ideale
cristiano a dettare i nostri passi ecumenici ma
l'imperiosa spinta dello Spirito che non ci lascia nei
nostri rifugi! E c'è nella Bibbia una tappa del viaggio
che mi sembra raccontata proprio per le fatiche
dell'ecumenismo, una tappa che mostra che non c'è
cammino così remoto che Cristo non possa percorrere con
noi.
È
la tappa di Emmaus, proprio dopo Pasqua. Due discepoli
camminano, sconvolti dalla crocifissione che ha messo
fine alle loro speranze. Lasciano Gerusalemme e non hanno
riconosciuto lo straniero che si unisce a loro, e che è
proprio colui che vogliono fuggire! Ascolta la loro pena
e reinterpreta positivamente il cammino già percorso:
non è una sconfitta, ma il compimento delle Scritture ed
un altro inizio.
Coloro
che sono abituati al movimento ecumenico vi si
riconosceranno: ci sono tappe talmente scoraggianti che
non si pensa che a fuggire dopo l'immensa delusione delle
improvvise tempeste che arrivano quando non ce lo si
aspetta! Ma il Cristo ci riacciuffa e, se continuiamo,
non è proprio per il nostro ideale ma perché lui sa
ridarci coraggio. Egli interpreta il cammino restato
oscuro come colui che malgrado tutto giunge al suo fine.
Si rivela maestro sulle oscurità che non dominiamo,
risponde alla nostra inquietudine e ci permette, nella
preghiera, di lasciare le nostre paure per il futuro:
"Resta con noi, perché si fa sera".
Alla
fine, questi compagni di viaggio verso Emmaus si scoprono
discepoli malgrado essi stessi, riacciuffati dal Cristo!
Nessuna strada della Chiesa andrà verso la sconfitta
perché Cristo ha promesso di accompagnarci tutti i
giorni. Questa promessa ci libera da ogni inquietudine
rispetto alla nostra sorte.
La tappa di Emmaus non è ancora arrivata al suo termine.
Siamo lontani dalla locanda, lontani dal poter
condividere tutti insieme la tavola della comunione con
il Risorto. Il viaggio è tanto più difficile perché
sappiamo che la tappa è ancora inaccessibile.
Ma voi, responsabili delle Chiese, delegati di questa
assemblea, potete fare in modo che Strasburgo sia una
tappa primordiale per la charta oecumenica, una
tappa tra il mattino di Pasqua e la locanda di Emmaus.
Una tappa modesta in sé e tuttavia ricca di conseguenze.
Sarete gli ambasciatori della charta nei vostri
Paesi e nelle vostre Chiese. Sarete gli avvocati del
popolo della Chiesa che aspira a vivere un'unità più
concreta, più visibile, più fiduciosa. Voi giovani,
sarete gli iniziatori di una generazione che deve
prestare attenzione al dialogo con coloro che sono altri.
Voi tutti sapete introdurre una nuova dinamica.
Se
le Chiese non fanno i primi passi della fiducia
reciproca, chi li farà? In Europa ci sono molti luoghi
come Strasburgo, che portano le ferite delle lotte
nazionaliste, che hanno visto le lacerazioni delle
famiglie, delle amicizie, dei villaggi, delle
controversie tra confessioni cristiane, delle lotte tra
culture.
Diciamo
insieme: mai più, e cominciamo! L'Europa ha bisogno
della riconciliazione delle Chiese per curare le ferite
dei popoli. Ha bisogno di segni di perdono. E che possono
temere i cristiani a cui il Maestro promette la sua
presenza quotidiana? In nome del popolo delle Chiese,
chiedo a voi che avete la cura d'anime, la cura del
futuro, la cura della speranza, di impegnarci su un vero
cammino di conversione, conversione al Cristo tra noi, e
conversione delle Chiese le une alle altre.
Noi facciamo fatica, come i pellegrini di Emmaus, a
riconoscere il Cristo davvero presente nelle altre
Chiese. Ma tuttavia, non è già come un fuoco nei nostri
cuori? Spero che quando alla fine dei secoli
condivideremo tutti insieme il Banchetto del Regno, e ci
ricorderemo di tutte le tappe percorse fin lì, ci
diremo: c'era già un fuoco nel nostro cuore, quando
eravamo in cammino! Forse allora qualcuno aggiungerà:
"Sì, mi ricordo, questo fuoco nel nostro cuore, era
a Strasburgo".