A proposito della
inaugurazione della Domus Galileae, ricordate
le polemiche sulla croce
rovesciata nello schienale del seggio del
Papa e la grande icona del Cristo col volto di
Kiko che campeggiava in quella come in altre
occasioni di megaraduni NC? Notate come rendeva
ancor più minuta la figura del Santo Padre, e
ci fa sorgere il dubbio se davvero riconducesse
l'attenzione al Cristo vero che egli
rappresenta in terra?
Abbiamo visitato la URL
sulle icone del cammino e abbiamo scoperto
qualcosa che non conoscevamo. Davvero si nota -
e la si potrebbe definire ossessiva - l'
insistenza dell'artista a raffigurarsi in tutte
le icone dove c'è l'immagine di Cristo. Anche
i pittori del passato sceglievano modelli umani
per le loro opere di ispirazione religiosa, ma
non ci sembra questo il caso.
Noi vi denotiamo una sorta di auto-esaltazione
che purtroppo sfugge a quanti, plagiati,
pendono dalle sue labbra e dalle sue
direttive... E ancora una volta ci meravigliamo
dei sacerdoti e ci scopriamo un po'
"iconoclasti".
Non vi sembra un messaggio subliminale questo
presentare il proprio volto al posto di quello
di Cristo nel dipinto che si trova nella
Parrocchia di S. Francesca Cabrini in Roma?
Notate la grande scritta nel libro che regge:
"andate ed evangelizzate io sono con
voi". Essendoci l'immagine del volto di
Kiko, al posto di quello di Cristo, l'ambiguità,
se non vogliamo chiamarla proprio
profanazione, che poi provoca il 'culto della
personalità' in animi fragili e plagiati, ci
sembra più che evidente oltre che inquietante
e non più ignorabile dalla Chiesa Cattolica
Apostolica Romana.
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ingrandirla --->
Guardate anche quest'altra immagine. (Cliccate
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|
Questa l'icona più
recente, che domina il presbiterio e la
"Corona misterica" nella Chiesa di S.
Giovanni Battista a Perugia
(anche in questa il canone iconografico
non è rispettato in uno dei particolari
più significativi: manca la croce
nell'aureola del Cristo)
|
Al fine di non passare per persone
che hanno le traveggole, vi invitiamo ad
osservare il volto di Kiko in questa
foto |
Anche
il 'Buon Pastore' ha il volto
del capo dei neocatecumenali.
|
Anche
in questa immagine scorgiamo il
volto dell'iniziatore dei
neocatecumeni. Non solo, ma
le scritte 'Maria' - Kiko' sono
chiaramente vergate nella parte
superiore del dipinto...
|
Citiamo da:
Spidlik pagina 256 "Teologia
pastorale (a partire dalla
bellezza)" di Spidlik-Rupnik (e
altri), due gesuiti esperti del mondo
cristiano orientale. Ed. "LIPA",
2005
"Cristo incarnato è la
bellezza suprema... Le applicazioni di
questo principio sono numerose.
...Nell'iconografia, la diafanità
delle icone
fa elevare lo spirito dal tipo
(immagine materiale) al prototipo (il
santo rappresentato) fino
all'archetipo (Cristo)."
L'icona è una
finestra sulla Gerusalemme del cielo.
In fondo alla pagina abbiamo inserito
un'ampia esposizione dell'origine, del
significato e dei canoni delle icone.
Dunque, Kiko
dipinge se stesso in un'icona di
Cristo: se Kiko si ritiene un santo
(immagine di Cristo) è tipo e
prototipo; ma qui non si tratta di
un'icona di un santo, ma di quella di
Cristo, dove Cristo è archetipo e
prototipo. In un'icona ci sembra
quantomeno irrispettoso ritrarre se
stessi nelle sembianze di Cristo,
tanto che molti iconografi si sono
rifatti al volto di Cristo acheropita,
cioè non dipinto da mano umana, tipo
il 'Mandylion' o il volto della
Sindone, ma mai al proprio volto!!
In questo modo Kiko
sarebbe tipo, prototipo ed archetipo,
in lui si realizzerebbe la promessa,
è lui che conduce il CNC nella terra
promessa, nella Galilea
delle genti.
Il testo
sottostante, che tratta delle origini
e dei significati delle icone, parla
anche dei 'canoni' rigorosi della loro
composizione, tra i quali descrive con
dovizia di particolari l'aureola nelle
icone del Salvatore, che porta sempre
dipinta una croce.
Il Pantocrator di
Kiko ha la croce nell'aureola? Noi non
la vediamo.
Citiamo
un'affermazione di un nostro
interlocutore neocatecumenale: “Dite
bene che è prassi comune scegliere
soggetti umani per raffigurare
personaggi iconografici, ma ancora di
più raffigurare parte di se stessi, o
involontariamente riprodursi nei
tratti somatici generali.”
NON È VERO! In
occidente è accaduto per qualche
santo forse e magari anche per la
Madonna, forse per Cristo (in qualche
tela rinascimentale): ma in Oriente,
non può accadere, proprio a causa
dell'essenza stessa dell'icona. E le
icone, si sa, non sono dei quadri...
(documentarsi sul testo sottostante)
Riportiamo
alcuni brani di un'intervista
recentemente rilasciata da Kiko in
occasione della sua ultima opera: la
"corona misterica" dipinta a
Perugia:
“Io voglio che si ritorni al
canone, ma proponendo su questo canone
tutte le scoperte d’occidente,
Picasso, Braque, Matisse. Per esempio
io salto la prospettiva, uso solo le
due dimensioni, perché è tutto più
astratto, e nei miei lavori c’è
tutto un cromatismo di colori caldi e
freddi e colori complementari”.
Quindi lo afferma lui stesso: è un
ritorno all'antico canone, ma a modo
suo
Quindi la scelta di dipingere con
l’antico canone delle icone è una
scelta anche di evangelizzazione?
“Esatto. Fondamentalmente è di
imitazione. Io non sto imitando me
stesso come artista! Io sono
l’iniziatore del cammino
neocatecumenale, apriamo nelle
parrocchie un cammino di iniziazione
cristiana serio, dove la gente vive la
sua fede con una comunità come i
primi cristiani. Ecco, nel momento in
cui appare un cristianesimo più
adulto abbiamo bisogno anche di
un’espressione culturale,
artistica”.
Quindi questo suo modo di dipingere
le icone non è che l'espressione
culturale e artistica del cammino
neocatecumenale. Dov'è il rispetto,
l'aggancio agli antichi canoni
iconografici? Dalla chiesa d'oriente
non ha preso la spiritualità o,
meglio, temiamo abbia attinto alla corrente 'sofiologica'
da cui deriva anche l'ispirazione per la sua 'nuova
estetica', con la quale pensa di
salvare la Chiesa, e sulla quale ci
soffermeremo in un'altra pagina...
Che dire di quest'altra
a dir poco inquietante immagine, che
questa volta non mostra somiglianze
col pittore?
Notiamo alcuni elementi
molto ambigui:
1. gli occhi del bambino e le sue vesti nere
2. benedice con la mano sinistra e sembra
più un segno di vittoria che di benedizione
3. La lettera RO del Crismon (il monogramma
di Cristo sulla testa del bambino non sembra
una 'vera' RO
4. la scritta sul testo che tiene in
braccio: potrebbe essere AM, Ave Maria; ma
nell'iconografia cristiana Gesù è indicato
come l'Alfa e l'Omega, il primo e l'ultimo
della Creazione e della Storia umana e della
Salvezza e quella strana M sembra più
un'Omega rovesciata...
Il VII Concilio
Ecumenico esige dai pittori di icone,
durante il processo di pittura
dell'immagine, di seguire strettamente
i canoni dell'iconografia. Questi
canoni iconografici regolamentano sia
il carattere, sia il modo di
rappresentazione delle scene religiose
e delle persone dei santi. Questo si
spiega con il fatto che le icone sono
portatrici e conservatrici della
tradizione ecclesiale. Per questo
l'infrazione del canone iconografico
è la deformazione della tradizione,
la caduta in eresia.
La Chiesa continuerà
a tacere anche su questo scempio?
Cenni
d'interesse sulle 'vere' icone
Le icone non
possono essere comparate con altre
opere d'arte nel senso comune della
parola. Le icone non sono dei quadri.
I quadri, con i loro lineamenti e il
loro colore, narrano degli uomini e
degli avvenimenti della realtà
concreta. Iniziando dal Rinascimento,
la vita e la natura sono espresse sui
quadri con immagini tridimensionali,
con immagini che raccontano il mondo
degli uomini, degli animali, della
natura e delle cose. Ed anche se il
tema è preso dalla mitologia, esso è
tradotto nel linguaggio delle immagini
terrestri.
La pittura degli
impressionisti e l'arte astratta sono
invece chiamate ad esprimere le
emozioni del pittore, emozioni che
cambiano e mutano le proporzioni degli
avvenimenti e delle cose e i rapporti
del colore tra loro, deformano le cose
fino a non essere più riconoscibili
oppure prescindono del tutto dalle
immagini delle cose. Però, anche in
questo caso, i vari esperimenti nel
colorito e nel modellato non portano
gli spettatori in un altro mondo, in
un altro spazio e tempo, in valori
diversi.
Questa
missione nella storia della cultura
umana è toccata in sorte alle icone.
Le icone non raffigurano, ma
propriamente costituiscono l'altro
mondo. Lo costituiscono con degli
speciali mezzi di raffigurazione,
trovati nel corso di molti secoli.
Anche il colore nelle icone gioca un
ruolo rilevante: quello di un
linguaggio simbolico, che dovrebbe
esprimere non il colore delle cose,
bensì la luminosità delle cose e dei
volti umani, illuminati da una luce,
la cui fonte si trova al di fuori del
nostro mondo fisico. I passaggi dorati
nelle icone incarnano questa luce non
terrestre, e lo sfondo dorato
simboleggia lo spazio "non di
questo mondo". Nelle icone non ci
sono chiaroscuri. Nel regno di Dio
tutto è pieno di luce.
Le icone non possono neanche essere
esaminate come i quadri. In esse non
soltanto non si trova il solito
spazio, ma neppure ci sono gli
avvenimenti legati con i naturali
rapporti di causa-effetto. L'icona è
una finestra verso il mondo di
un'altra natura, però questa finestra
è aperta soltanto per quelli che
hanno la vista spirituale.
Per potersi avvicinare alla
comprensione delle icone, bisogna
vederle con gli occhi di un credente,
per il quale Dio è una realtà
indiscutibile. Una realtà
onnipresente, sottostante ad ogni
avvenimento, un invisibile spettatore
e giudice, dal cui sguardo non ci si
può nascondere mai e da nessuna
parte.
I canoni e i metodi di creazione delle
icone si sono formati nel corso di
molti secoli, ancora prima che la Rus'
antica fosse coinvolta in essi. Le
tradizioni dell'iconografia sono
arrivate nella Rus' antica con
l'accoglienza del cristianesimo da
Bisanzio verso la fine del X secolo.
L'arte di Bisanzio di quel tempo aveva
un carattere religioso e si
sottometteva a canoni severi.
Uno dei più
autorevoli difensori della venerazione
delle icone è stato Giovanni
Damasceno (675-750 circa), grande
teologo e politico; i suoi argomenti
hanno influenzato le decisioni del VII
Concilio Ecumenico. Giovanni Damasceno
insegnava che l'interdizione
dell'Antico Testamento di fare
immagini di Dio, aveva un carattere
temporale: "Nell'antichità
nessuno faceva immagini di Dio. Adesso
però, dopo che Dio si è manifestato
nella carne ed è vissuto in mezzo
agli uomini, noi facciamo immagini del
Dio visibile. Non faccio l'immagine
della Divinità invisibile, faccio
l'immagine del corpo di Dio che ho
visto...". Giovanni Damasceno
scriveva che Dio è venuto per gli
uomini nel suo Figlio Gesù Cristo, il
quale entra nel mondo degli uomini e
accoglie il corpo umano: "perché
abbiamo bisogno di quello che è
simile a noi".
Il visibile non
trasmette l'essenza del Dio
incomprensibile. Ma come il corpo ha
la sua ombra, così anche ogni
originale ha la sua copia, "icona
è ricordo". E come la Sacra
Scrittura è una rappresentazione
verbale, un'immagine della storia
sacra, così anche le icone sono una
sua rappresentazione, però non
verbale, bensì fatta con i tocchi del
pennello e con i colori.
Per questo l'icona
- immagine - non è una copia di
quello che è rappresentato, bensì il
simbolo, con l'aiuto del quale
possiamo arrivare fino alla
comprensione del Divino. L'icona gioca
il ruolo del mistico mediatore tra il
mondo terrestre e quello celeste. Così
è stato delimitato il senso
dell'iconografia.
L'icona accomuna
nel suo linguaggio e nei suoi canoni,
dettati dalla Chiesa, tutta l'ecumene
cristiana, pur raggiungendo
espressioni profondamente originali in
ogni area geografica e nazionale. Oggi
riproporre l'icona significa tornare
alle radici della profonda unità che
riconosce in Cristo il Signore del
cosmo e della storia, la «chiave di
volta dell'universo» e riprendere a
respirare con i due polmoni della
Chiesa orientale e occidentale.
Il VII Concilio
Ecumenico esige dai pittori di icone,
durante il processo di pittura
dell'immagine, di seguire strettamente
i canoni dell'iconografia. Questi
canoni iconografici regolamentano sia
il carattere, sia il modo di
rappresentazione delle scene religiose
e delle persone dei santi. Questo si
spiega con il fatto che le icone sono
portatrici e conservatrici della
tradizione ecclesiale. Per questo
l'infrazione del canone iconografico
è la deformazione della tradizione,
la caduta in eresia.
Le
icone di Cristo
Le icone di Cristo
occupano il posto principale sia nel
tempio ortodosso, sia nella casa
d'ogni credente. La rappresentazione
canonica di Dio in forma umana è
confermata nel IX secolo: "...di
bell'aspetto... ciglia aggrottate,
occhi bellissimi, con il naso lungo,
capelli chiari, inclinato, umile, con
un bellissimo colore del corpo, barba
scura, dall'aspetto color di frumento,
somigliante alla madre, con dita
sottili, mite, silenzioso,
paziente...".
I cristiani
primitivi rappresentavano Cristo sotto
la forma dell'agnello, sotto quella
del pesce, o del buon pastore che
porta la pecora sulle spalle.
Attualmente esistono due tipi di
rappresentazioni del Salvatore: 1)
come il Pantocrator e il Giudice, il
Re dei re; 2) sotto quella forma con
cui è vissuto tra gli uomini e ha
compiuto la sua missione (in questo
caso come bambino o giovane). A volte
si possono incontrare immagini di
Cristo sotto la forma di un angelo.
Ma se i modi di
rappresentazione sono così diversi,
non è forse difficile riconoscere il
Salvatore nelle icone? No, è facile,
grazie ad un dettaglio: l'immagine di
Cristo ha l'aureola con una croce
dipinta dentro.
Cos'è un'aureola?
Questa parola si traduce dal latino
come "nube",
"nebbia", "nimbo".
Il nimbo è il simbolo di una luce
divina soprannaturale, rivelata dal
Salvatore ai discepoli sul monte Tabor:
"E si trasfigurò davanti a
loro; il suo volto divenne brillante
come il sole, e le sue vesti bianche
come la luce".
L'aureola nelle
icone del Salvatore porta dipinta una
Croce, in cui sono anche scritte tre
lettere greche, che ricordano le
parole dette da Dio a Mosè: "Io
sono colui che sono, l'Essente".
Attraverso
l'aureola noi confessiamo in Cristo
due nature: divina e umana. Il pittore
d'icone dipinge il Lik di
Cristo simile ad un volto umano, e con
questo confessa il dogma che Cristo è
"perfettamente uomo per la sua
natura umana". L'aureola
trasmette che Cristo è
"perfettamente Dio per la sua
natura divina".
Nelle icone, Cristo
è spesso dipinto con un libro, che può
essere aperto oppure chiuso. Il libro
aperto contiene una citazione del
Vangelo. Il libro può essere
rappresentato anche sotto forma di un
rotolo, ma l'interpretazione simbolica
è sempre la stessa: l'insegnamento
salvifico, con il quale Cristo è
venuto nel mondo.
Guardiamo le vesti
di Cristo. Di solito il Dio-Uomo è
raffigurato vestito con un chiton
(veste a forma di tunica) rosso e con
un himatij (manto) azzurro.
Il colore rosso è
simbolo della natura terrestre e umana
del Salvatore, quello azzurro della
natura celeste e divina.
Di solito, sulla
spalla destra si può notare una
fascia scura cucita alla tunica,
questa fascia nell'antichità era
segno di dignità nobiliare. Nelle
icone è simbolo della purezza e della
perfezione della natura terrestre del
Salvatore e segno del suo speciale
ruolo messianico.
[Fonte:
http://www.orthodoxworld.ru/italiano/icona/1/index.htm]