Eucaristia
neocatecumenale
Sintesi dei punti contestati
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« ... A nessuno è
concesso di sottovalutare il Mistero
affidato alle nostre mani: esso è
troppo grande perché qualcuno possa
permettersi di trattarlo con arbitrio
personale, che non ne rispetterebbe il
carattere sacro e la dimensione
universale.»
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[Giovanni Paolo II,
Ecclesia de Eucharistia, n. 52] |
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Il succo delle
indicazioni della lettera Vaticana
al movimento neocatecumenale
riguarda anche le modalità di
distribuzione dell'Eucaristia: se è
stato approvato l'uso del pane e del
vino, viene però richiamata
l'attenzione alla loro distribuzione
non intorno alla 'mensa' ma
processionalmente da parte del
presbitero.
Non si tratta di un dato solo
formale, dal momento che i
neocatecumenali pongono l'accento
sul 'banchetto' e vivono e
sottolineano la convivialità a
decremento del 'sacrificio'.
Osservate le dimensioni
impressionanti della 'mensa',
rispettivamente, di Porto S. Giorgio
e della Domus Galileae, ques'ultima
predisposta per la missione dei
sacerdoti in Europa del 2006, con la
channucchià al posto della croce!
[vedi] (cliccare per vedere le
immagini ingrandite)
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Il discorso è
complesso e da non sottovalutare,
perché da come viviamo,
interpretiamo e celebriamo questi
momenti ne va dell'autenticità e
della profondità del nostro rapporto
con il Signore secondo i Suoi
insegnamenti trasmessi nella e dalla
Chiesa. Lex orandi, lex credendi!
Vivere la
liturgia, alla presenza del Signore,
così come Lui ci ha insegnato, è
indispensabile per riattualizzare
per noi, per la Chiesa e per il
mondo il 'memoriale' della sua morte
e resurrezione, perché si operi
nella nostra vita e nella nostra
storia - e nella storia - la
trasformazione e la ricapitolazione
di tutto quanto connota il nostro
essere-nel-mondo secondo la volontà
del Padre: "Eccomi, io vengo..."
Certamente tutto questo non può
avvenire se il sacramento viene
snaturato oltre che nella sua forma
anche nella sua sostanza.
Magari può venir fuori una terapia
di gruppo (grande spazio alle
risonanze) - e non sempre è scontato
che succeda neppure questo -, una
dinamica esaltante e consolatoria
(canti esaltanti, ballo finale),
un salutare approccio con la
Scrittura; ma tutto questo nulla ha
a che fare con l'Eucarestia.
In sintesi: La Messa per i
neocatecumenali non è un
"sacrificio" e quindi in luogo
dell'altare, non c'è che la mensa, e
nell'Eucaristia si celebra un
convito di festa fra fratelli uniti
dalla medesima fede nella
Risurrezione, ma cin
riferimenti all'esodo e alla
Pasqua ebraica; il pane e il vino
consacrati sono soltanto il simbolo
della presenza del Cristo risorto,
che si esaurisce con la celebrazione
ed unisce i commensali comunicando
loro il proprio spirito, rendendoli
partecipi del suo trionfo sulla
morte. Conseguenza della
predicazione neocatecumenale secondo
la quale la passione e morte di
Cristo non è stata un vero
sacrificio offerto al Padre per
riparare il peccato e redimere
l'uomo, che resta inesorabilmente
peccatore (il che è vero, ma non si
tiene conto dell'effetto della
grazia) e, per godere i frutti della
sua opera, basta riconoscersi
peccatori e credere nella potenza
del Cristo risorto (il che elimina
totalmente la 'risposta' e la
responsabilità personale).
E così anche le parole della
consacrazione "questo è il mio Corpo
offerto in sacrificio per voi" non
hanno il significato pregnante
custodito dalla Chiesa e quindi
l'Eucaristia non viene vissuta in
tutta la sua sacralità, potenza
trasformatrice, momento fondante e
sorgente inesauribile della vita di
fede nel Signore, riattualizzazione
della sua MORTE E RISURREZIONE 'fate
QUESTO in memoria di me'
È per questo che le celebrazioni,
pur ricche del fervore dei canti e
delle risonanze alla Parola
proclamata, che molta presa hanno
sulla emotività delle persone, alla
fine sono altra cosa rispetto alla
celebrazione 'cattolica' che viviamo
come ci è stata trasmessa dalla
Chiesa. Nelle celebrazioni
neocatecumenali abbiamo visto tanta
esaltazione e poco raccoglimento ed
anche banalizzazione del mistero (...prima
di celebrare i 'sacri misteri'...
ricordate?)
Viene negata anche la 'Comunione dei
Santi' ritenendo che lo Spirito
circoli solo ed esclusivamente nella
concreta ristretta comunità di
appartenenza. È per questo che le
celebrazioni sono così parcellizzate
ed escludono la grande Assemblea dei
fedeli della Parrocchia.
E viene quindi negata la nostra
unione con la Chiesa
Trionfante, che ci immette
in una realtà che è il vero 'mondo a
venire' il Regno già qui sulla
nostra tribolata terra e nella
nostra vita e nella nostra storia. E
la consapevolezza che
nella celebrazione si realizza la
comunione non solo con l'assemblea
dei presenti, ma anche con tutta la
Chiesa di ieri di oggi di domani,
terrestre e celeste, nel tempo e
fuori del tempo contemporaneamente.
Poste queste non banali divergenze
con il 'sensus fidei' trasmesso
dalla Chiesa, la celebrazione
liturgica perde tutta la sua
solennità e la sua bellezza e
crediamo venga snaturata della sua
realtà più vera.
Il pensiero di Benedetto XVI sul
modo di celebrare l’Eucaristia è
bene espresso nel libro “Rapporto
sulla Fede”. In esso è riportata
l’intervista di Vittorio Messori
all’ allora Card. Joseph Ratzinger. A
pag. 130 leggiamo: «La Liturgia non
è uno show, uno spettacolo che
abbisogni di registi geniali e di
attori di talento. La Liturgia non
vive di sorprese “simpatiche”, di
trovate “accattivanti”, ma di
ripetizioni solenni. Non deve
esprimere l’attualità e il suo
effimero ma il mistero del Sacro.
Molti hanno pensato e detto che la
Liturgia debba essere “fatta” da
tutta la comunità, per essere
davvero sua. È una visione che ha
condotto a misurarne il “successo”
in termini di efficacia
spettacolare, di intrattenimento. In
questo modo è andato però disperso
il proprium liturgico che non deriva
da ciò che noi facciamo, ma che qui
accade. Qualcosa che noi tutti
insieme non possiamo proprio fare.
Nella Liturgia opera una forza, un
potere che nemmeno la Chiesa tutta
intera può conferirsi: ciò che vi si
manifesta è l’assolutamente Altro
che, attraverso la comunità (che non
è dunque padrona ma serva, mero
strumento) giunge sino a noi. Per il
cattolico, la Liturgia è la Patria
comune, è la fonte stessa della sua
identità: anche per questo deve
essere “predeterminata”,
“imperturbabile”, perché attraverso
il rito si manifesta la Santità di
Dio. Invece, la rivolta contro
quella che è stata chiamata “la
vecchia rigidità rubricistica”,
accusata di togliere “creatività”,
ha coinvolto anche la Liturgia nel
vortice del “fai-da-te”,
banalizzandola perché l’ha resa
conforme alla nostra mediocre
misura».
Negli "Orientamenti alle équipes di
catechisti per la fase di
conversione", viene riportate questa
catechesi di Kiko: "Non c’è
Eucaristia senza assemblea. È
un’assemblea intera che celebra la
festa e l’Eucaristia; perché
l’Eucaristia è l’esultazione
dell’assemblea umana in comunione;
perché il luogo preciso in cui si
manifesta che Dio ha agito è in
questa Chiesa creata, in questa
comunione. È da questa assemblea che
sgorga l’Eucaristia" (p. 317).
Il Papa Giovanni Paolo II
nell’enciclica " Ecclesia De
Eucharistia " (2003), al n. 31,
scrive invece: "Si capisce, dunque,
quanto sia importante per la vita
spirituale del Sacerdote, oltre che
per il bene della Chiesa e del
mondo, che egli attui la
raccomandazione conciliare di
celebrare quotidianamente
l’Eucaristia, "la quale è sempre un
atto di Cristo e della Sua Chiesa,
anche quando non è possibile che vi
assistano fedeli".
Vogliamo ricordare che ogni
vero cristiano è consapevole di quanto
sia importante il coinvolgimento
dell'assemblea, ma non si sognerebbe
mai di dimenticare che il sacerdote
celebra 'in persona Christi', il
cristiano vive, partecipa,
accoglie, loda, ringrazia, adora... e l'assemblea non è
formata soltanto dalla sua comunità,
ma è in comunione con la Chiesa di
ieri di oggi di domani, terrestre e
celeste, nel tempo e fuori del tempo
contemporaneamente
Se c'è del positivo, nel richiamare
l'attenzione sulla maggiore
concretezza e coinvolgimento con i
fratelli per viverlo
comunitariamente, i contenuti
formativi non sono quelli insegnati
nella e dalla Chiesa e, in realtà,
si determina una grande
concentrazione dell'esperienza
nell'ambito delle singole comunità
con vera e propria esclusione degli
'altri'.
Aggiungiamo anche che,
nell’Eucaristia vissuta secondo gli
insegnamenti della Chiesa, si
realizza quell' "eccomi", così
totalizzante e pregnante che
coinvolge la nostra vita a 360
grandi in tutta la sua ampiezza
(pensieri, desideri, impegni, azioni
e relazioni rapporti con gli altri)
e spessore (profondità del nostro
essere e sua relazione con gli
altri, con il mondo e con il
Signore). È difficile da spiegare
così, è più bello ed efficace
dirselo a voce e soprattutto
viverlo. Quel fate QUESTO in memoria
di ME è il punto chiave di tutto.
Cosa intendiamo per QUESTO? Se si
tratta del
dono totale di noi al Padre, perché,
'ricordandosi' (ri-attualizzazione,
non semplice ricordo) del Suo
Figlio, operi anche in noi la
trasformazione in Cristo, accettando
il nostro affidamento-dono totale e
trasformandolo in 'sacrificio santo
perenne gradito a Dio' e non solo
nel momento dell'Eucaristia, ma
facendo di noi un' 'Eucaristia
vivente', allora forse c'è un
qualcosa d'altro e di oltre a quel
che dice Kiko e non ci sembra
ininfluente per una fede cristiana
vera.
Ribadiamo dunque che non è la stessa
cosa celebrare un ‘banchetto
escatologico’ (insegnamento neocat)
o il 'sacrificio di Cristo', nato
morto e risorto che poi ci invita
ANCHE al 'banchetto' nuziale
d'intimità con Lui, preparato dal
Padre prima di tutti i secoli
(insegnamento della Chiesa). Fa
differenza, e non poco, perché se
partecipo solo a un convito, sono un
commensale, che condivide l’allegria
(le inaudite parole di Kiko al Papa)
se partecipo a un sacrificio, sono
uno che si dona e riceve da Cristo
il dono di donarsi come ha fatto LUI
e come di certo non insegna Kiko...
[ vedi
anche sua intervista del giugno
2008]
A seguito
dell'approvazione dello Statuto,
ci soffermiamo in particolare
sull'art.13 che rinvia, nella
sua nota 49:
Mentre la Lettera del Card.
Arinze, oltre alle peculiarità
evidenziate, richiama al
rispetto dei libri liturgici. il
Santo Padre nel suo discorso la
ricorda: "ha impartito a mio
nome alcune norme concernenti
la Celebrazione eucaristica",
riportiamo - dalla Istruzione
Redemptionis Sacramentum:
[77.] In nessun modo si
combini la celebrazione della
santa Messa con il contesto di
una comune cena, né la si metta
in rapporto con analogo tipo di
convivio. Salvo che in casi
di grave necessità, non si
celebri la Messa su di un tavolo
da pranzo[159] o in un
refettorio o luogo utilizzato
per tale finalità conviviale, né
in qualunque aula in cui sia
presente del cibo, né coloro
che partecipano alla Messa
siedano a mensa nel corso stesso
della celebrazione.
...
[79.] Infine, va considerato
nel modo più severo l’abuso di
introdurre nella celebrazione
della santa Messa elementi
contrastanti con le prescrizioni
dei libri liturgici, desumendoli
dai riti di altre religioni.
Alla luce di quanto accade nella
realtà: Assemblea seduta intorno
all'enorme mensa;
risonanze;
assenza di Adorazione alla
Consacrazione anche col divieto di
inginocchiarsi; prevalenza di
simboli ebraici non solo
esteriori ma anche
nella
teologia che sottende il rito;
danza davidica finale, possiamo
effettivamente dire che i
neocatecumenali NON rispettano
il loro statuto. E, non
rispettandolo, non rispettano la
volontà del Papa.
Possiamo e dobbiamo dirlo, ma
poi?
Ci imbatteremo sempre nelle loro
piroette, nell'arroganza e nella
prepotenza che conferisce loro
la sicurezza e la certezza di
essere protetti dai loro potenti
sponsor curiali, forti pur sempre di
un'approvazione,
per quanto
anomala essa sia...
Tutto lo statuto, così com'è
formulato (anche col silenzio su
tante prassi anomale non
regolate), è fatto per dare
veste formale al cammino e
risulta volutamente 'fumoso':
frutto di un "dire e non dire"
che - attraverso allusioni
decriptabili solo da chi può
leggere tra le righe perché
conosce il cammino dall'interno
e lo valuta col giusto spirito
critico - fa diventare
'commestibile' ciò che
commestibile non è... e ne
conosciamo tutti i motivi:
questo sito li ha ben
documentati.
Ma non sarà di certo la triste
evidenza delle potenti
protezioni e della inarrestabile
invasione di tutta la realtà
ecclesiale che ci farà
rinunciare a denunciare le serie
storture prodotte da
insegnamenti e prassi che fanno
del cammino un'"entità" a sé,
dai connotati
giudeo-luterano-gnostici,
identificabili solo
frequentandolo perché molto ben
criptati sia dallo statuto che
dalla propaganda ingannevole
presso le diocesi, le parrocchie
e sul web...
Continuiamo citando dalla
Misterium Fidei di
Paolo VI
[...] 4. E affinché sia evidente
l'intimo nesso tra la fede e la
pietà, i padri del Concilio,
confermando la dottrina che la
Chiesa ha sempre sostenuto e
insegnato e il Concilio di Trento ha
solennemente definito, hanno voluto
premettere alla trattazione del
sacrosanto Mistero Eucaristico
questa sintesi di verità: « Il
nostro Salvatore nell'ultima Cena,
la notte in cui fu tradito, istituì
il Sacrificio Eucaristico del suo
corpo e del suo sangue, a perpetuare
così il sacrificio della Croce nei
secoli fino al suo avvento,
lasciando in tal modo alla sua
diletta Sposa, la Chiesa, il
memoriale della sua morte e della
sua risurrezione: sacramento di
pietà, segno di unità, vincolo di
carità, convito pasquale, in cui si
riceve Cristo, l'anima si riempie di
grazia e ci si largisce il pegno
della gloria futura ».(1)
5. Con queste parole si esaltano
insieme il Sacrificio, che
appartiene all'essenza della Messa
celebrata quotidianamente, e il
Sacramento, di cui i fedeli
partecipano con la santa Comunione
mangiando la carne di Cristo e
bevendone il sangue, ricevendo la
grazia, che è anticipazione della
vita eterna; e la «medicina
dell'immortalità », secondo le
parole del Signore: Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue, ha
la vita eterna e io lo risusciterò
nell'ultimo giorno.(2) [...]
Motivi di sollecitudine pastorale e
di ansietà
9. Tuttavia, Fratelli Venerabili,
non mancano, proprio nella materia
che ora trattiamo, motivi di grave
sollecitudine pastorale e di
ansietà, dei quali la coscienza del
Nostro dovere Apostolico non ci
permette di tacere.
10. Ben sappiamo infatti che tra
quelli che parlano e scrivono di
questo Sacrosanto Mistero ci sono
alcuni che circa le Messe private,
il dogma della transustanziazione e
il culto eucaristico, divulgano
certe opinioni che turbano l'animo
dei fedeli ingerendovi non poca
confusione intorno alle verità di
fede, come se a chiunque fosse
lecito porre in oblio la dottrina
già definita dalla Chiesa, oppure
interpretarla in maniera che il
genuino significato delle parole o
la riconosciuta forza dei concetti
ne restino snervati.
11. Non è infatti lecito, tanto per
portare un esempio, esaltare la
Messa così detta «comunitaria» in
modo da togliere importanza alla
Messa privata; né insistere sulla
ragione di segno sacramentale come
se il simbolismo, che tutti
certamente ammettono nella ss.
Eucaristia, esprimesse
esaurientemente il modo della
presenza di Cristo in questo
Sacramento; o anche discutere del
mistero della transustanziazione
senza far cenno della mirabile
conversione di tutta la sostanza del
pane nel corpo e di tutta la
sostanza del vino nel sangue di
Cristo, conversione di cui parla il
Concilio di Trento, in modo che essi
si limitino soltanto alla «transignificazione»
[predicata da Kiko] e «transfinalizzazione»
come dicono; o finalmente proporre e
mettere in uso l'opinione secondo la
quale nelle Ostie consacrate e
rimaste dopo la celebrazione del
sacrificio della Messa Nostro
Signore Gesù Cristo non sarebbe più
presente.
12. Ognuno vede come in tali
opinioni o in altre simili messe in
giro la fede e il culto della divina
Eucaristia sono non poco incrinati.
13. Affinché dunque la speranza,
suscitata dal Concilio, di una nuova
luce di pietà Eucaristica, che
investe tutta la Chiesa, non sia
frustrata e inaridita dai semi già
sparsi di false opinioni, abbiamo
deciso di parlare di questo grave
argomento a voi, Venerabili
Fratelli, comunicandovi sopra di
esso il Nostro pensiero con
apostolica autorità.
14. Certamente noi non neghiamo in
coloro che divulgano tali opinioni
il desiderio non disprezzabile di
scrutare un sì grande Mistero,
sviscerandone le inesauribili
ricchezze e svelandone il senso agli
uomini del nostro tempo; anzi
riconosciamo e approviamo quel
desiderio; ma non possiamo approvare
le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del
grave pericolo di quelle opinioni
per la retta fede.
Confrontiamola con l'insegnamento di
Kiko tratto dagli "Orientamenti"
“ Gesù Cristo gli dà ancora un altro
nuovo significato, un nuovo
contenuto al segno: questo pane è il
mio corpo che si consegna alla morte
per voi. Gesù Cristo non si inventa
il segno che era antichissimo; dà
pienezza al segno, un nuovo
significato. Perché lui compie la
Pasqua, lui compie il passaggio
dalla schiavitù della morte alla
terra promessa che è l’arrivo al
Padre,… la vera Gerusalemme” (OR, p.
306).
“Con il Concilio di Trento, nel XVI
secolo, si fissa tutto rigidamente.
“ In quest’epoca nascono tutte le
filosofie sull’Eucarestia.
“Quando non si capisce quello che è
il sacramento, a causa della
svalorizzazione enorme dei segni
come sacramenti, e quando non si
capisce quello che è il memoriale,
si comincia a razionalizzare, a
voler dare spiegazioni del mistero
che c’è dentro. Precisamente perché,
il mistero trascende la sua unica
spiegazione, c’è il sacramento. Il
sacramento parla più dei
ragionamenti. Ma a quel tempo,
poiché non si capisce…, si cerca di
dare spiegazioni filosofiche del
mistero. E così incominciano i
dibattiti su: “ come è presente?”
Lutero non negò mai la presenza
reale, negò solo la parolina
‘transustanziazione’ che è una
parola filosofia (sic) che vuole
spiegare il mistero.
“La Chiesa primitiva non ha mai
avuto problemi circa la presenza
reale… Ma la cosa più importante non
sta nella presenza di Gesù Cristo.
Egli dice: “Per questo sono venuto:
per p a s s a r e da questo mondo al
Padre”. Ossia, la presenza fisica
nel mondo ha uno scopo che è il
resuscitare dalla morte. Questa è la
cosa importante. La presenza è un
mezzo per il fine che è la Sua
opera: il mistero di Pasqua. La
presenza è in funzione dell’Eucarestia,
della Pasqua” (OR, p. 325).
Nell'intervista rilasciata nel
giugno 2008, il giorno dopo
l'approvazione degli Statuti,
Kiko esprime apertamente i
riferimenti alla Pasqua ebraica.
È forse questa la 'iniziazione
cristiana cattolica', che in ogni
caso non è monopolio del cammino,
che di questa espressione ha fatto
il suo 'cavallo di Troia' per
introdursi sempre più
aggressivamente nella Chiesa,
minandone l'unità e le verità dal di
dentro...? |
Ulteriori osservazioni:
1. DALL'ORIENTAMENTO ALLE EQUIPE
DI CATECHISTI DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE DI
KIKO ARGUELLO:
"Il pane e il vino non sono fatti per essere
esposti, perché vanno a male. Il pane e il
vino sono fatti per essere mangiati e
bevuti. Io dico sempre ai sacramentini che
hanno costruito un tabernacolo immenso: se
Gesù Cristo avesse voluto l’Eucaristia per
stare lì, si sarebbe fatto presente in una
pietra che non va a male. Il pane è per il
banchetto, per condurci alla Pasqua. La
presenza reale è sempre un mezzo per
condurci ad un fine, che è la Pasqua. Non è
assoluto. Gesù Cristo è presente in funzione
del mistero Pasquale."
Ecco il perché i NC NON SI INGINOCCHIANO MAI
durante la Consacrazione. Ecco anche perché
non ammettevano l'Adorazione Eucaristica.
Solo da poco, pensiamo per i rilievi mossi,
ma anche per l'importanza dell'Adorazione
più volte richiamata dai nostri Papi, almeno
a Roma, nella Parrocchia dei Martiri
Canadesi, la fanno, introdotta di recente
del tutto ostentatamente, una sola volta al
mese.
2. TRATTO DAL LIBRO "INTRODUZIONE ALLO
SPIRITO DELLA LITURGIA" DI J. RATZINGER
"...La transustanziazione (trasformazione
del pane e del vino), l'adorazione del
Signore nel Sacramento, il culto eucaristico
con l'ostensorio e le processioni - tutte
queste cose, ci viene detto, non sono che
errori medievali, da cui bisognerebbe
distanziarsi il più presto possibile. La
superficialità con cui vengono messe insieme
idee di questo genere può solo suscitare
meraviglia....
...Nessuno dica allora: l'Eucaristia deve
essere mangiata e non adorata. ... la
Comunione raggiunge la sua profondità solo
quando è sostenuta e compresa
dall'adorazione..."
La nostra fede ci fa essere d'accordo col
secondo, e non col primo.
In conclusione, secondo la dottrina
cattolica, Jesuah ha Nozrì, il Mashiah,
Figlio di Dio, si trova “veramente”
nell’Eucaristia e non simbolicamente;
“sostanzialmente” e non con una presenza
soltanto virtuale o temporanea; “realmente”
e non in ragione della nostra fede,
interamente con tutto il suo corpo, con
tutta la sua anima e con tutta la sua
divinità.
La verità non detta è che Kiko e Carmen si
sono fermati alla "lavanda dei piedi", che è
un "rito di inversione" che introduce al
discepolato (questo è il vero significato
dello "stare seduti" - detto anche nella
lettera al Papa - mentre Cristo passa a
"servirli"!!!!) ma l'ultima cena, oltre alla
lavanda dei piedi e a poter essere vista
come "banchetto nuziale, escatologico", come
certamente è, riporta all'istituzione
dell'Eucaristia e alla prefigurazione del
Calvario e della Resurrezione (per che cosa
dunque si chiama Eucaristia, cioè rendimento
di grazie, lode, ecc.???!!!) È questo il
vero significato cattolico della Messa, non solo
l'iniziazione al discepolato durante un
banchetto ed inoltre, per la Chiesa, la
lavanda dei piedi è anche il simbolo della
Confessione Sacramentale, che è chiesta dal
Signore per essere "mondi" alla
partecipazione del Sacrificio!
E tutta la celebrazione è un rendimento di
grazie (non solo il momento del
ringraziamento finale come subdolamente
predica Kiko criticando la Chiesa nelle sue
catechesi (OR, p. 330) e una
riattualizzazione del 'mistero pasquale', ma
non per vivere solo il momento della 'Risurrezione',
ma il mistero nella sua interezza:
'Passione, Morte e Risurrezione' del Signore
Gesù...
Ancora sull'Eucaristia:
La Chiesa, oltre che con gli esempi
ufficiali dei nostri Papi, si è espressa
molto chiaramente per quanto concerne la
celebrazione dell'Eucaristia in documenti
chiarissimi: ne citiamo soltanto tre: "Misterium
fidei" di Paolo VI, la "Mane nobiscum domine"
e la "Redemptionis Sacramentum", fortemente
voluti dal defunto pontefice, quasi a
suggello del suo grandioso pontificato ed
eredità comune per tutti i credenti.
Peraltro lo stesso Ratzinger, ancora
cardinale nel documento "La Comunione nella
Chiesa", a pagina 110 , commentando la
Lettera ai Corinzi, affermava: "Lo sguardo
dell'apostolo è al riguardo innanzitutto
rivolto alla comunità locale di Corinto, che
ha perduto il vero senso del radunarsi,
nella misura in cui i gruppi pur essendo gli
uni accanto agli altri tuttavia rimangono
separati. Ma l'orizzonte al di là della
dimensione locale si apre sulla Chiesa nel
suo insieme:tutte le assemblee eucaristiche
nel loro insieme sono in realtà
un'assemblea, perché il corpo di Cristo è
soltanto uno e il popolo di Dio può essere
soltanto uno....le comunità devono celebrare
l'Eucaristia in tal modo che esse possano
radunarsi tutte tra di loro, a partire da
Cristo e per mezzo di Cristo. Chi non
celebra l'Eucaristia con tutti, fa solo una
caricatura dell'Eucaristia. Si celebra
l'Eucaristia con l'unico Cristo e pertanto
con tutta la Chiesa o non si celebra
affatto. Chi nell'Eucaristia cerca solo il
proprio gruppo, chi in essa o attraverso di
essa non si inserisce in tutta quanta la
Chiesa e non oltrepassa il suo punto di
vista particolare, egli fa esattamente ciò
che viene rimproverato ai Corinzi. Egli si
siede, per così dire, con la schiena rivolta
verso gli altri e distrugge così
l'Eucaristia per lui stesso e la disturba
per gli altri. Egli fa allora soltanto la
sua cena e disprezza la Chiesa di Dio (1
Cor. 11,21ss)".
Ma come può ritrovarsi dentro tali schemi
colui il quale, digiuno di ogni fondamento
teologico, sinceramente ma disarmato e
sprovvisto di ogni capacità di riflessione,
si accosta all'Eucaristia in chiave
neocatecumenale? Alla fine succede che
"rifiuta" ogni altra Eucaristia celebrata
fuori dal Cammino come rituale non
inconcludente, ma nettamente inferiore per
portata e contenuto!
Personalmente ho vissuto un grande disagio
nell'ascoltare quella predicazione aberrante
e anche nel vivere il momento della
'comunione' nel 'grande chiasso' o quello
finale del ringraziamento nella sguaiatezza
(le cosiddette esaltanti danze davidiche)
invece che nella intimità col Signore, che
ero - e sono - solita 'gustare' nelle
celebrazioni cosiddette 'normali', quelle
dei cristiani di serie B senza chitarre,
canti ritmici dallo stile gitano, capaci di
esaltare e proiettarci fuori di noi stessi
più che di raccogliere le potenze del nostro
animo per rivolgerle al Signore.
Che dire poi
della preghiera
Eucaristica II,
la sola usata
dai
neocatecumenali,
nella quale il
sacerdote
ringrazia Dio
“per averci
ammessi alla tua
presenza a
compiere il
sevizio
sacerdotale”,
confondendo il
suo ruolo
Ministeriale,
con il
sacerdozio
comune...
(cavalcato,
distorcendolo,
sempre da Lutero
e seguaci
vari...)?
Non a caso la
lettera di
Arinze richiede
al punto 6):
6. Il Cammino
Neocatecumenale
deve utilizzare
anche le altre
Preghiere
eucaristiche
contenute nel
messale, e non
solo la
Preghiera
eucaristica II.
È opportuno inoltre non trascurare,
sull'Eucaristia, altre riflessioni basate,
la prima, sull'Ordinamento generale del
messale romano e la seconda sul Catechismo
della Chiesa Cattolica. Degli importanti
documenti, ritenuti irrilevanti per chi si
nutre solo delle catechesi kikiane, si
trascrivono i punti d'interesse:
Dall'Ordinamento generale del Messale romano
44. Fra i gesti sono comprese anche le
azioni e le processioni: quella del
sacerdote che, insieme al diacono e ai
ministri, si reca all'altare; quella del
diacono che porta all'ambone l'Evangeliario
o il Libro dei Vangeli prima della
proclamazione del Vangelo; quella con la
quale i fedeli presentano i doni o si recano
a ricevere la Comunione. Conviene che tali
azioni e processioni siano fatte in modo
decoroso, mentre si eseguono canti
appropriati, secondo le norme stabilite per
ognuna di esse.
...
86. Mentre il sacerdote assume il
Sacramento, si inizia il canto di Comunione:
con esso si esprime, mediante l'accordo
delle voci, l'unione spirituale di coloro
che si comunicano, si manifesta la gioia del
cuore e si pone maggiormente in luce il
carattere «comunitario» della processione di
coloro che si accostano a ricevere
l'Eucaristia. Il canto si protrae durante la
distribuzione del Sacramento ai fedeli. Se
però è previsto che dopo la Comunione si
esegua un inno, il canto di Comunione
s'interrompa al momento opportuno.
Si faccia in modo che anche i cantori
possano ricevere agevolmente la Comunione.
...
160. Poi il sacerdote prende la patena o la
pisside e si reca dai comunicandi, che
normalmente si avvicinano processionalmente.
Non è permesso ai fedeli prendere da se
stessi il pane consacrato o il sacro calice,
tanto meno passarselo di mano in mano. I
fedeli si comunicano in ginocchio o in
piedi, come stabilito dalla Conferenza
Episcopale. Quando però si comunicano stando
in piedi, si raccomanda che, prima di
ricevere il Sacramento, facciano la debita
riverenza, da stabilire dalle stesse norme.
Stralcio dal Catechismo della Chiesa
Cattolica
1373 « Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è
risuscitato, sta alla destra di Dio e
intercede per noi » (Rm 8,34), è presente in
molti modi alla sua Chiesa: [Cf Concilio
Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48:
AAS 57 (1965) 53.] nella sua parola, nella
preghiera della Chiesa, « dove sono due o
tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a
loro » (Mt 18,20), nei poveri, nei malati,
nei prigionieri, [Cf Mt 25,31-46.] nei
sacramenti di cui egli è l'autore, nel
sacrificio della Messa e nella persona del
ministro. Ma « soprattutto [è presente]
sotto le specie eucaristiche ». [Concilio
Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium,
7: AAS 56 (1964) 100-101.]
1374 Il modo della presenza di Cristo sotto
le specie eucaristiche è unico. Esso pone
l'Eucaristia al di sopra di tutti i
sacramenti e ne fa « quasi il coronamento
della vita spirituale e il fine al quale
tendono tutti i sacramenti ». [San Tommaso
d'Aquino, Summa theologiae, III, q. 73, a.
3, c: Ed. Leon. 12, 140.]
Nel Santissimo Sacramento dell'Eucaristia è
contenuto veramente, realmente,
sostanzialmente il Corpo e il Sangue di
nostro Signore Gesù Cristo, con l'anima e la
divinità e, quindi, il Cristo tutto intero.
[Cf Concilio di Trento, Sess. 13a, Decretum
de ss. Eucharistia, canone 1: DS 1651.]
« Tale presenza si dice "reale" non per
esclusione, quasi che le altre non siano
"reali", ma per antonomasia, perché è
sostanziale, e in forza di essa Cristo, Dio
e uomo, tutto intero si fa presente ».
[Paolo VI, Lett. enc.
Mysterium fidei: AAS
57 (1965) 764.]
1375 È per la conversione del pane e del
vino nel suo Corpo e nel suo Sangue che
Cristo diviene presente in questo
sacramento. I Padri della Chiesa hanno
sempre espresso con fermezza la fede della
Chiesa nell'efficacia della parola di Cristo
e dell'azione dello Spirito Santo per
operare questa conversione. San Giovanni
Crisostomo, ad esempio, afferma:
« Non è l'uomo che fa diventare le cose
offerte Corpo e Sangue di Cristo, ma è
Cristo stesso, che è stato crocifisso per
noi. Il sacerdote, figura di Cristo,
pronunzia quelle parole, ma la virtù e la
grazia sono di Dio. Questo è il mio Corpo,
dice. Questa parola trasforma le cose
offerte ». [San Giovanni Crisostomo, De proditione Iudae homilia, 1, 6: PG 49, 380.]
E sant'Ambrogio, parlando della conversione
eucaristica, dice:
Dobbiamo essere convinti che « non si tratta
dell'elemento formato dalla natura, ma della
sostanza prodotta dalla formula della
consacrazione, ed è maggiore l'efficacia
della consacrazione di quella della natura,
perché, per l'effetto della consacrazione,
la stessa natura viene trasformata ». [Sant'Ambrogio,
De mysteriis, 9, 50: CSEL 73, 110 (PL 16,
405).] « La parola di Cristo, che poté
creare dal nulla ciò che non esisteva, non
può trasformare in una sostanza diversa ciò
che esiste? Non è minore impresa dare una
nuova natura alle cose che trasformarla ». [Ibid.,
9, 52: CSEL 73, 112 (PL 16, 407).]
1376 Il Concilio di Trento riassume la fede
cattolica dichiarando: « Poiché il Cristo,
nostro Redentore, ha detto che ciò che
offriva sotto la specie del pane era
veramente il suo Corpo, nella Chiesa di Dio
vi fu sempre la convinzione, e questo santo
Concilio lo dichiara ora di nuovo, che con
la consacrazione del pane e del vino si
opera la conversione di tutta la sostanza
del pane nella sostanza del Corpo del
Cristo, nostro Signore, e di tutta la
sostanza del vino nella sostanza del suo
Sangue. Questa conversione, quindi, in modo
conveniente e appropriato è chiamata dalla
santa Chiesa cattolica transustanziazione ».
[Concilio di Trento, Sess. 13a, Decretum de
ss. Eucharistia, c. 4: DS 1642.]
1377 La presenza eucaristica di Cristo ha
inizio al momento della consacrazione e
continua finché sussistono le specie
eucaristiche. Cristo è tutto e integro
presente in ciascuna specie e in ciascuna
sua parte; perciò la frazione del pane non
divide Cristo. [Cf Concilio di Trento, Sess.
13a, Decretum de ss. Eucharistia, c. 3: DS
1641.]
1378 Il culto dell'Eucaristia. Nella
liturgia della Messa esprimiamo la nostra
fede nella presenza reale di Cristo sotto le
specie del pane e del vino, tra l'altro, con
la genuflessione, o con un profondo inchino
in segno di adorazione verso il Signore. «
La Chiesa cattolica professa questo culto
latreutico al sacramento eucaristico non
solo durante la Messa, ma anche fuori della
sua celebrazione, conservando con la massima
diligenza le ostie consacrate, presentandole
alla solenne venerazione dei fedeli
cristiani, portandole in processione con
gaudio della folla cristiana ». [Paolo VI,
Lett. enc. Mysterium fidei: AAS 57 (1965)
769.]
1379 La santa riserva (tabernacolo) era
inizialmente destinata a custodire in modo
degno l'Eucaristia perché potesse essere
portata agli infermi e agli assenti, al di
fuori della Messa. Approfondendo la fede
nella presenza reale di Cristo
nell'Eucaristia, la Chiesa ha preso
coscienza del significato dell'adorazione
silenziosa del Signore presente sotto le
specie eucaristiche. Perciò il tabernacolo
deve essere situato in un luogo
particolarmente degno della chiesa, e deve
essere costruito in modo da evidenziare e
manifestare la verità della presenza reale
di Cristo nel Santissimo Sacramento.
1380 È oltremodo conveniente che Cristo
abbia voluto rimanere presente alla sua
Chiesa in questa forma davvero unica. Poiché
stava per lasciare i suoi nel suo aspetto
visibile, ha voluto donarci la sua presenza
sacramentale; poiché stava per offrirsi
sulla croce per la nostra salvezza, ha
voluto che noi avessimo il memoriale
dell'amore con il quale ci ha amati « sino
alla fine » (Gv 13,1), fino al dono della
propria vita. Nella sua presenza
eucaristica, infatti, egli rimane
misteriosamente in mezzo a noi come colui
che ci ha amati e che ha dato se stesso per
noi, [Cf Gal 2,20.] e vi rimane sotto i
segni che esprimono e comunicano questo
amore:
« La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno
del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in
questo sacramento dell'amore. Non
risparmiamo il nostro tempo per andare ad
incontrarlo nell'adorazione, nella
contemplazione piena di fede e pronta a
riparare le grandi colpe e i delitti del
mondo. Non cessi mai la nostra adorazione ».
[Giovanni Paolo II, Epist. Dominicae Cenae,
3: AAS 72 (1980) 119.]
Il comportamento della comunità credente -
che ovviamente ne rispecchia anche
l'atteggiamento interiore - suggerito dal
Messale (tra l'altro riguarda proprio uno
dei richiami della lettera di Arinze) mi
sembra perfettamente consono al significato
GRANDE di quel che si sta facendo:
l'accostarsi, per riceverlo, al Signore in
corpo, sangue, anima e divinità...
Vogliamo renderci conto della banalizzazione
o, peggio, della profanazione implicita
conseguente alla prassi neocatecumenale? E
che dire della prassi di non curarsi dei
frammenti del pane consacrato, degli
insegnamenti che irridono - ora
ufficialmente non più - la pratica
dell'Adorazione eucaristica nonché dei loro
Tabernacoli 'vestiti' di nero [vedi]?
Meditiamo su Ef 4,11-14: "È lui che ha
stabilito alcuni come apostoli, altri come
profeti, altri come evangelisti, altri come
pastori e maestri, per rendere idonei i
fratelli a compiere il ministero, al fine di
edificare il corpo di Cristo, finché
arriviamo tutti all'unità della fede e della
conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di
uomo perfetto, nella misura che conviene
alla piena maturità di Cristo.
Questo affinché non siamo più come fanciulli
sballottati dalle onde e portati qua e là da
qualsiasi vento di dottrina, secondo
l'inganno degli uomini, con quella loro
astuzia che tende a trarre nell'errore."
Vedi altre
considerazioni sostanziali nella
pagina dedicata ad ulteriori notazioni in
ordine alle reazioni dei NC alla Lettera di
Arinze.
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