L'arcivescovo Celli sul
messaggio del Papa per la prossima giornata
delle Comunicazioni Sociali
Il sacerdote
nell'era del cyberspazio
di Mario Ponzi
Il sacerdote
deve restare il fulcro della diffusione del
messaggio evangelico "qualunque sia la
strada da percorrere per raggiungere l'uomo,
anche se si tratta di una strada
telematica". Lo sostiene l'arcivescovo
Claudio Maria Celli, presidente del
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni
Sociali, nell'intervista al nostro giornale
alla vigilia della festa di san Francesco di
Sales e della pubblicazione del
messaggio del Papa per la prossima giornata
mondiale delle Comunicazioni Sociali.
Il tema di quest'anno propone una
questione sulla quale il suo dicastero ha
concentrato gli sforzi, cioè il sacerdote
nel mondo del digitale, per sottolineare
l'importanza dell'uso delle più moderne
tecnologie nella nuova evangelizzazione. Ci
troveremo davanti al "missionario a
tavolino"?
"Missionario a tavolino" è un'espressione
certamente suggestiva, ma, direi, lontana
più che dalla realtà, dalla natura delle
cose. Non si può immaginare che lo sviluppo
delle nuove tecnologie faccia nascere una
specie di "grande regia" digitale dalla
quale diramare, per il mondo, gli elementi
di una nuova evangelizzazione. Ritengo che
sia essenziale vedere i grandi progressi nel
campo della comunicazione come un aiuto e,
magari, uno stimolo per ampliare il campo di
ascolto e le occasioni di dialogo. Ciò è
tanto più vero se, come quest'anno il tema
della Giornata, si pone al centro la figura
del sacerdote, di colui al quale è dato,
primariamente, il compito di fare della
comunicazione uno strumento di comunione.
Secondo alcuni però la comunicazione
digitale, e le nuove tecnologie in generale,
favorirebbero l'affermarsi di una cultura
virtuale. Non si corre il rischio di
promuovere anche una fede virtuale?
Il rischio che lei adombra può - e deve -
essere superato proprio in questo modo: la
comunicazione, tanto più per il sacerdote,
non è mai fine a stessa. In modo primario al
sacerdote non si chiede di essere un
professionista della comunicazione, ma un
servitore fedele e appassionato della Parola
di Dio. Direi di più: l'efficacia della
comunicazione dipenderà proprio dalla
fedeltà e dall'amore che egli rivelerà nei
rapporti con i fedeli.
Ma quella del sacerdote nel web non
rischia di diventare una presenza priva di
significato in un mondo virtuale, che
favorisce e privilegia l'anonimato?
Nella comunicazione, al di là di ogni
progresso tecnologico, non verrà mai meno
l'esigenza costitutiva del messaggio: si
comunica se si ha qualcosa da dire. Il
sacerdote, in questo senso, ha il grande
privilegio di un messaggio che, per lui, si
è fatto ed è diventato vita. Il suo compito
è anche quello di comunicare - cioè di
rendere partecipi tutti - questa sua gioia.
Quando ciò avviene è un fatto che non passa
inosservato; né per gli incontri diretti e
personali, né sul web o nel cyberspazio. La
verità sa farsi sempre strada nel mondo, pur
così variegato e talvolta difficile, dei
media.
Proprio perché il cyberspazio è aperto a
tutti anche Dio ha diritto di cittadinanza.
Anche il Papa esprime questo diritto, con la
sua presenza su youtube. Quali risultati
sono stati raggiunti con questa esperienza?
La diffusione di contenuti audiovisivi sul
ministero quotidiano del Papa raggiunge una
quantità enorme di persone e istituzioni; si
moltiplica nei diversi siti web, è
raggiungibile da chi cerca la sua parola. Si
tratta di una presenza molto significativa
in quanto si colloca, con un linguaggio
audiovisivo, in uno spazio di intensa
convivenza sociale, con la forza e la
semplicità di chi, nel nome del Cristo
risorto, si impegna a farsi sempre più
prossimo all'uomo.
La nuova tecnologia si sta proponendo
come un insostituibile mezzo di
comunicazione senza frontiere. Proprio nella
recente drammatica vicenda del terremoto di
Haiti se ne è rivelata tutta l'utilità.
È sotto gli occhi di tutti, in questi
drammatici giorni del devastante terremoto
di Haiti, il ruolo fondamentale che le nuove
tecnologie continuano ad avere in una
situazione di così eccezionale emergenza,
sia per la richiesta di soccorso, sia come
via di collegamento con il resto del mondo.
Anche la solidarietà trova in questi mezzi
alleati di grande efficacia. È stata, forse,
l'altra grande tragedia dello tsunami in
Indonesia a svelare, fino in fondo, le
enormi potenzialità di bene che i nuovi
media possono esercitare nei diversi campi
delle loro attività. Un motivo in più per
utilizzarli nel senso giusto, a servizio
della solidarietà e del dialogo tra i
popoli.
Quando, secondo lei, nei percorsi
formativi dei seminari e nelle facoltà delle
Pontificie università verranno inseriti
programmi di specializzazione informatica?
C'è una sensibilità sempre più forte
riguardo al bisogno di una formazione dei
sacerdoti, religiosi, religiose e agenti di
pastorale nel campo comunicativo.
Attenzione: non si tratta semplicemente di
una formazione strumentale rivolta alle
tecnologie; anche questa è importante,
poiché è necessario essere attrezzati
tecnicamente e, direi, professionalmente. Il
dato fondamentale è quello di cogliere le
dimensioni più profonde dei processi
comunicativi che via via emergono. La
persona umana come soggetto comunicativo si
esprime attraverso un'attrezzatura tecnica
che veicola un nuovo linguaggio, un modo di
capire il mondo. È questo che va
approfondito nei centri formativi della
Chiesa, che già adesso vede tanti episcopati
in prima linea. Programmi di formazione sono
ormai presenti in tutte le università
cattoliche del mondo. Si può ben parlare di
una "rete" di formazione vasta e articolata,
alla quale il Pontificio Consiglio cerca, in
molti modi, di dare il proprio contributo.
Puntare sulla formazione è stato il nostro
primo obiettivo. E cominciamo a vedere i
primi frutti.
(©L'Osservatore Romano - 23 gennaio 2010)
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