A colloquio
con l'arcivescovo Claudio Maria Celli sull'uso delle nuove
tecnologie nella comunicazione
Un nuovo dialogare tra la
Chiesa e il mondo
di Mario Ponzi
Un sito interattivo attraverso il quale la Chiesa possa entrare
quotidianamente in dialogo con il mondo, in spirito di solidarietà e
di amicizia. È il sogno dell'arcivescovo Claudio Maria Celli,
presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali.
"Un desiderio - ha detto nell'intervista concessa al nostro giornale
alla vigilia della presentazione del messaggio del Papa per la
giornata mondiale delle comunicazioni sociali - che nutro sin da
quando ho iniziato questo mio incarico". Il presidente crede
fermamente nelle nuove tecnologie, nelle loro potenzialità nel
diffondere il magistero. E se "c'è qualche rischio - azzarda - vale
la pena correrlo".
L'annunciato accordo con Google per assicurare continuità alla
presenza del Papa in rete, la partecipazione di Benedetto XVI in
teleconferenza alla messa per le famiglie a Città del Messico
indicano chiaramente la volontà di percorrere le vie offerte dalla
tecnologia. Si corrono rischi di inquinamento nella diffusione del
messaggio evangelico attraverso i nuovi mezzi?
La scelta fatta dal Pontefice e dalla Santa Sede in questo senso è
dettata dalla logica del comportamento. Il Papa ha sempre espresso
le sue simpatie per le nuove tecnologie. Se da un lato vede
certamente limiti e pericoli insiti in esse, di fatto però si pone
nei loro confronti in un atteggiamento positivo. Lo vedremo nel
messaggio di Benedetto XVI: è un messaggio fortemente positivo, nel
quale il Papa mette proprio in risalto le sue simpatie, il suo
apprezzamento per gli apporti positivi che le nuove tecnologie danno
al cammino dell'uomo oggi. Il Papa parla di "un vero dono di Dio"
nel suo testo. E nello stesso tempo afferma che le nuove tecnologie
sono un contributo al progresso sociale. Dunque egli ha fiducia
nella maturità e nella responsabilità di quanti colgono le occasioni
che offrono questi mezzi meravigliosi.
Youtube è notoriamente uno spazio nel quale può capitare, e
capita in effetti, di vedere di tutto e di più. Perché il Papa ha
deciso di comparire proprio in questo spazio?
Credo che egli abbia maturato questa scelta proprio perché vuole
incontrare gli uomini lì dove essi si trovano. Vuole incontrarli e
instaurare con loro un dialogo aperto, franco, sincero e amichevole.
Quindi non va inteso come un abbassarsi a qualcosa di disdicevole.
Va inteso proprio come la volontà di incontrare, di andare verso
l'uomo, verso tutti gli uomini. Il Papa è ben consapevole dei
limiti, degli aspetti negativi legati a queste nuove tecnologie. Nel
suo messaggio ne fa cenno. Però egli ritiene che se gli uomini si
trovano lì, è lì che bisogna andare a incontrarli. Anche perché si
tratta delle nuove generazioni, quindi degli uomini di domani. Nel
messaggio li chiama "digital generation", cioè quella generazione di
uomini che nasce nella cultura del digitale, e non sono stati, come
noi, improvvisamente catapultati in questo mondo nuovo. Ecco, è lì
che Benedetto XVI vuole essere. E sarà presente con il suo stile,
aperto a un dialogo rispettoso.
Certo vi potranno essere dei rischi.
I rischi fanno parte della nostra vita quotidiana. Ma credo che
valga la pena accettare la sfida ed essere presenti. Ricordo sempre
che Giovanni II, quando gli chiedevano il perché di tanti suoi
viaggi, rispondeva che erano pellegrinaggi nel cuore dell'umanità
più varia. Bene, credo si possa applicare questa sua teoria all'uso
di internet per diffondere il messaggio evangelico. È come fare un
pellegrinaggio nell'anima di quanti, in un ufficio, in uno studio,
in una casa entrano in rete. Vi troveranno d'ora in poi il Papa che
propone la sua missione di successore di Pietro. A chi entra egli
vuole offrire anche la possibilità di vedere, di ascoltare, di
capire. È un pellegrinaggio riservato, dialogico, rispettoso. Non
impone nulla. Benedetto XVI con la sua gentilezza d'animo, con la
sua cordialità offrirà, a quanti vorranno ascoltarlo nell'intimità
della propria stanza, il suo magistero.
Ma di chi è stata l'idea di mettere il Papa in rete?
È stata illustrata a Benedetto XVI questa possibilità e lui è stato
ben lieto di accettare l'idea. Egli è infatti consapevole delle
enormi possibilità che le nuove tecnologie mettono a disposizione
per la diffusione del Vangelo nel mondo.
Il messaggio di quest'anno parla di occasioni di dialogo e di
amicizia offerte dalle nuove tecnologie. C'è chi mette in guardia
dal possibile rischio che le relazioni mediate dal computer, spesso
anonime, possano risultare istabili, fittizie, ambigue. Secondo lei?
È il vero pericolo. Se infatti le nuove tecnologie, da un lato,
offrono grandi possibilità, dall'altro queste possibilità possono
trasformarsi per alcuni in comunità virtuali. Significa che si
possono costituire schiere infinite di amici eppure ritrovarsi soli.
C'è data la possibilità di interagire con persone all'altro capo del
mondo, di superare tutte le possibili barriere, eppure si corre il
rischio concreto della solitudine. Questo perché la frequentazione
del virtuale può indurre a chiudersi in se stessi, senza cercare più
il contatto interpersonale reale, concreto con quanti ci sono
vicini, con quanti rappresentano la vera comunità nella quale
viviamo, con la quale dobbiamo costruire rapporti di fraternità, di
solidarietà.
Come superare questi rischi?
Credo che il Papa risponda a questo proprio con il suo messaggio.
Egli infatti invita a promuovere una cultura del rispetto, del
dialogo e dell'amicizia con l'uomo e tra gli uomini ovunque essi si
trovino, dunque senza escludere qualcuno o qualcosa. È la cultura
dell'accoglienza dell'altro, sempre e comunque. La vera battaglia da
vincere, credo sia quella contro l'ossessione della connettività.
Siamo più preoccupati di essere connessi che del contenuto che noi
diamo alla nostra connessione. L'uomo ha a sua disposizione dei
grandi mezzi per comunicare. Eppure tra i mali del nostro secolo
dobbiamo inserire proprio la solitudine dell'uomo. Pensi a quanti
messaggi e messaggini circolano oggi nel mondo. Sono diventati quasi
un'ossessione essi stessi. A volte però si tratta di un modo come un
altro per rispondere a un angoscioso senso di solitudine che pervade
l'uomo di questa nostra società. Una società che non sa più proporci
il culto del silenzio, o quantomeno non ci aiuta ad apprezzare il
silenzio. E questo è un limite. Non solo perché non ci permette di
dare spessore ai nostri rapporti umani. Ma anche perché costituisce
un limite dal punto di vista religioso: se non impariamo ad
apprezzare il silenzio, facciamo molta fatica ad ascoltare e a
parlare con Dio. Ecco, forse questo è il rischio concreto al quale
siamo esposti con le nuove tecnologie, a volte sommersi da migliaia
di messaggi, molti dei quali inaccettabili. Penso a quanti
propongono messaggi di violenza, di sopruso; immagini crude,
indecenti; atteggiamenti di intolleranza. Messaggi insomma che non
sanno creare un atteggiamento di rispetto per l'altro.
Credo che tutto possa
essere ricondotto all'educazione al rispetto dell'altro. In questo
la Chiesa può effettivamente aiutare con la sua presenza. Essa può
promuovere i grandi valori attraverso il dialogo. Ognuno deve essere
se stesso, senza mimetizzarsi. Ognuno deve usare il suo linguaggio,
ma deve essere un linguaggio chiaro e rispettoso dell'altro in modo
che possa essere ascoltato e capito.
Il Papa propone il tema dell'amicizia. Lo propone soprattutto ai
giovani, che hanno già dimestichezza con l'amicizia. È in definitiva
a loro, usando i loro stessi mezzi, che egli affida il compito di
trasformare effettivamente l'umanità in un'unica, grande famiglia.
Collegata in rete nella consapevolezza di essere soggetti
comunicanti, che sanno comunicare, ascoltare, capirsi l'un l'altro.
(©L'Osservatore Romano - 23 gennaio 2009)
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