Gli effetti
negativi dei videogiochi violenti
Studi recenti ne dimostrano l'evidenza
Padre John Flynn,
27 maggio 2007
Alcune recenti pubblicazioni negli Stati Uniti contribuiscono
all’annoso dibattito sul rapporto tra i bambini e la violenza nei
media. Ad aprile la Federal Trade Commission ha pubblicato
l’ultimo rapporto sull’argomento.
Dal titolo “Marketing Violent Entertainment to Children”, il
rapporto fornisce una panoramica sul fenomeno dell’esposizione dei
bambini e degli adolescenti, attraverso musica, film e
videogiochi, a contenuti normalmente riservati ad un pubblico
adulto.
Qualche progresso è stato compiuto, osserva il rapporto, con
l’adozione di limiti più stringenti sulle pubblicità ai film e ai
videogiochi. Ciò nonostante, la Commissione osserva che la
pubblicità per i videogiochi riservati ad un pubblico di categoria
M (maturi) raggiunge comunque un gran numero di bambini e giovani
adolescenti. La categoria M designa quei giochi che sono adatti ad
un pubblico dai 17 anni in su.
A tale riguardo il rapporto cita le critiche di coloro che
sostengono che i bambini accedono troppo liberamente ai giochi di
categoria M. Ad esempio, secondo un sondaggio del 2005 del
National Institute on Media and the Family, il 70% dei bambini
delle medie e delle superiori risultano fruitori di questo tipo di
giochi.
La seconda pubblicazione è un libro, uscito qualche mese fa, dal
titolo “Violent Video Game Effects on Children and Adolescents”
(Oxford University Press, USA). Il libro raccoglie le conclusioni
di un lavoro congiunto svolto da tre psicologi: Craig A. Anderson,
Douglas A. Gentile, e Katherine E. Buckley.
Il volume inizia evidenziando la difficoltà di stabilire, da un
punto di vista scientifico, un nesso di causalità diretta tra
l’esposizione ai videogiochi violenti e il comportamento violento.
Nel corso degli anni i ricercatori hanno svolto numerosi studi sul
tema più generale della violenza nei media. La conclusione
evidente che ne è derivata, che di fatto costituisce un elemento
di prova, è che l’esposizione alla violenza attraverso i media in
effetti aumenta il grado di aggressività.
Per quanto riguarda l’ambito dei videogiochi, la ricerca è ancora
molto limitata. Per ovviare a questo deficit, il libro riporta i
risultati di tre nuovi studi sui videogiochi.
Gli autori osservano preliminarmente che i bambini e gli
adolescenti trascorrono sempre più tempo giocando ai videogame.
Secondo recenti sondaggi, i bambini in età scolastica dedicano
circa 7 ore a settimana ai videogiochi. Generalmente, il maschi
trascorrono più tempo in tale occupazione: secondo uno studio del
2004, le femmine vi dedicano 5 ore a settimana, mentre i maschi 13
ore.
Non solo i bambini e gli adolescenti trascorrono un tempo
consistente sui videogiochi, ma lo fanno con poca supervisione da
parte dei genitori. Più del 50% degli studenti intervistati
nell’ambito di un sondaggio affermano che i propri genitori non
hanno mai controllato la categoria di appartenenza dei giochi
prima di dare il via libera all’acquisto o al noleggio.
Nuove evidenze
Nel primo di questi tre nuovi studi che rappresentano la sostanza
del libro, gli autori spiegano di aver sottoposto ad un test 161
bambini tra i 9 e i 12 anni, e 354 studenti universitari. A questi
bambini sono stati distribuiti in modo casuale giochi violenti e
non violenti. Successivamente i partecipanti hanno giocato ad un
altro gioco, nel quale gli veniva chiesto di stabilire dei livelli
di punizione nei confronti di altri.
I risultati dimostrano che coloro che avevano giocato a giochi
violenti punivano i propri avversari in modo più severo rispetto a
quelli che avevano giocato a giochi non violenti. Inoltre, dai
risultati emerge che la natura interattiva dei videogiochi è
maggiormente legata alla violenza nel comportamento, rispetto ai
media non interattivi come la televisione o il cinema.
A sorpresa degli stessi ricercatori, non è emersa alcuna
differenza tra i bambini e gli studenti universitari. Questo si
pone in contrasto con la visione secondo cui molti bambini
sarebbero più vulnerabili di fronte alla violenza nei media e
indica che gli studenti universitari ne sono influenzati tanto
quanto gli altri.
Da un punto di vista positivo, sulla base degli stessi sondaggi
risulta che anche la situazione familiare influenza il
comportamento. I bambini i cui genitori sono soliti imporre più
limiti all’uso dei media, sono meno aggressivi.
Il secondo studio consiste in un sondaggio su 189 studenti delle
superiori. I risultati mostrano un rapporto diretto tra la
maggiore dedizione ai videogiochi e una personalità maggiormente
ostile.
Il sondaggio ha tenuto conto anche di alcuni elementi come la
quantità di tempo dedicata ai giochi, e le normali differenze tra
il comportamento dei maschi e quello delle femmine. Anche avendo
tenuto conto di questi elementi, i ricercatori hanno concluso che
giocare ai videogiochi violenti determina comportamenti
aggressivi.
Lo studio conclude inoltre che maggiore è il tempo che gli
studenti trascorrono tra i videogiochi e la televisione e minore è
il loro rendimento scolastico.
L’ultimo studio ha preso in considerazione 430 studenti della
terza elementare e della prima e seconda media, in due momenti
distinti nel corso di un anno scolastico. Anche i loro compagni e
gli insegnanti sono stati intervistati al fine di ottenere maggior
informazioni sul livello di aggressività del gruppo oggetto dello
studio.
Più aggressivi e meno socievoli
Esaminando il gruppo nell’arco di un periodo di tempo,
intervallato in media da 5 mesi, i ricercatori sono stati in grado
di affermare che i bambini che avevano giocato maggiormente ai
giochi violenti, all’inizio della scuola, alla fine sono risultati
cambiati, avendo adottato maggiormente una visione del mondo come
un luogo più ostile. Essi sono diventati anche più aggressivi e
meno disposti a socializzare con i loro coetanei.
Lo studio non mostra diversità evidenti tra ragazzi e ragazze,
potendo concludere che in realtà nessuno può dirsi veramente
immune dagli effetti della violenza nei media.
Come risulta anche dal primo studio, il fattore del controllo
esercitato dai genitori rappresenta un importante elemento atto ad
influenzare i bambini. Se a casa vengono imposti limiti sia sul
tempo trascorribile con i videogiochi, sia sul loro contenuto, i
bambini subiscono in misura minore gli effetti negativi.
Arrivando ad una valutazione generale sul rapporto tra la violenza
nei media e gli effetti sui bambini e gli adolescenti, gli autori
concludono che l’impatto dei media è ben lungi dall’essere
irrilevante. Se questo è vero, e se si considera che quasi tutti i
bambini giocano ai videogame, la società potrebbe beneficiare in
modo significativo da una riduzione della loro esposizione alla
violenza nei giochi.
Ma, nonostante gli evidenti effetti negativi derivanti dalla
violenza nei media, gli autori ammettono che ad oggi i tentativi
diretti ad imporre restrizioni per via normativa sull’accesso dei
bambini ai videogiochi violenti hanno avuto scarsi successi.
Un approccio alternativo è quello di aumentare gli sforzi
nell’ambito dell’istruzione pubblica, al fine di rendere i
genitori maggiormente consapevoli dei rischi che i loro figli
corrono dedicandosi ai videogiochi. Gli autori raccomandano anche
che i genitori parlino con i propri figli sulla questione della
violenza, sottolineando l’inopportunità di adottare comportamenti
aggressivi per risolvere i loro problemi personali.
Migliorare i sistemi di classificazione dei giochi, e dare
maggiore visibilità agli avvertimenti sulle confezioni potrebbe
aiutare, sostengono gli autori. Inoltre potrebbero essere efficaci
anche le pressioni da parte di gruppi della società, dirette ad
indurre i distributori a non vendere videogiochi violenti ai
bambini.
Il 20 maggio la Chiesa ha celebrato la Giornata mondiale delle
comunicazioni sociali. Il messaggio che Benedetto XVI ha
indirizzato per l’occasione era intitolato: “I bambini e i mezzi
di comunicazione: una sfida per l’educazione”. Il problema della
violenza nei media è stata una delle questioni affrontate dal
Papa.
“Ogni tendenza a produrre programmi - compresi film d’animazione e
video games - che in nome del divertimento esaltano la violenza,
riflettono comportamenti anti-sociali o volgarizzano la sessualità
umana, è perversione, ancor di più quando questi programmi sono
rivolti a bambini e adolescenti”, ha dichiarato il Pontefice (n.
3). Parole forti, ma ben fondate, come ampiamente dimostrato
l’ultima ricerca sull’argomento.