Convegno della
Conferenza episcopale italiana
[Vedi
anche: altri spunti presi da
«Chiesa
in Rete 2.0»]
Chiesa e Internet - Il primato della
persona
di Alessandro Trentin
È possibile per la Chiesa avere nella rete di comunicazione globale
una fisionomia riconoscibile senza per questo assumere linguaggi non
conformi alla sua tradizione apostolica? Dalla capacità di fornire
una risposta adeguata all'interrogativo, può nascere nella comunità
ecclesiale la consapevolezza di saper partecipare attivamente
all'utilizzazione di Internet, uno strumento che sta crescendo di
importanza come efficace supporto all'azione delle diocesi. È quanto
emerso dal convegno "Chiesa in rete 2.0" promosso dall'Ufficio
nazionale per le comunicazioni sociali e dal Servizio informatico
della Conferenza episcopale italiana (Cei), che si è concluso oggi a
Roma.
Durante i lavori è
stato sottolineato che la rete sta consolidando il suo ruolo di
medium privilegiato per le organizzazioni, le famiglie e in
particolare i giovani, grazie alla diffusione avvenuta negli ultimi
quindici anni.
Il segretario
generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, intervenendo al
convegno, ha affermato che "nell'ambiente del web siamo chiamati a
vivere perché la sua forza ci condiziona e non possiamo tirarci
fuori".
Internet è un
fenomeno tecnologico e culturale che raccoglie in sé le
caratteristiche e le potenzialità di quasi tutti i media
tradizionali, come radio, televisione, stampa e telefono, senza
rinunciare alle sue specificità. Oggi, nell'era del cosiddetto "web
2.0", ovvero il mondo digitalizzato dove le informazioni non vengono
soltanto diffuse ma anche condivise nell'ambito delle comunità
virtuali, la Chiesa è consapevole delle potenzialità, ma anche dei
rischi della rete. Per questo, è stato evidenziato, occorre
inserirsi con la "logica del cristianesimo" nella cosiddetta "cybercultura".
Secondo il segretario
generale della Cei nasce da qui l'esigenza "di alcuni criteri, di
alcune piste per interpretare questo mondo e per proporre delle
regole da seguire". Il primo aspetto messo in rilievo dal vescovo
riguarda il piano antropologico che invita a rivedere il mondo delle
relazioni.
Una seconda
prospettiva emerge, invece, dalla teologia della creazione: "Occorre
- ha osservato - non perdere mai di vista l'irriducibilità
dell'esistenza personale e ciò rimanda all'incarnazione, che per noi
credenti, che viviamo nel mondo del web, è un orizzonte da non
smarrire mai".
Una terza prospettiva
- ha poi aggiunto il presule "è di natura ecclesiologica e riguarda
l'irriducibilità della dimensione sacramentale: tutto deve essere
ricondotto alla dimensione sacramentale del nostro essere Chiesa".
La dottrina cristiana
si è sempre incarnata e inserita nelle culture del suo tempo. E
quindi anche nell'era di Internet, è stato specificato, non possono
mancare le condizioni affinché il servizio alle diocesi possa meglio
svolgersi con la conoscenza e l'uso corretto delle nuove tecnologie,
le quali non introducono solo un metodo di lavoro, ma incidono sulla
mentalità e sul costume delle persone.
Il direttore
dell'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, don
Domenico Pompili, ha spiegato: "Siamo ormai al tempo del "web 2.0":
siamo passati cioè dalla semplice fruizione di contenuti elaborati
da altri, alla costruzione e condivisione degli stessi, come
suggerisce l'esplosione dei blog, per arrivare ai nostri giorni in
cui si assiste alla realizzazione di un "reale universo virtuale"".
La nuova sfida posta
dall'affermazione di questo social network, "potrebbe però
rivelarsi, a ben guardare, un vantaggio per entrare in maniera più
critica e avvertita dentro un mondo decisivo". La Chiesa, dunque,
pur essendo sempre stata attenta agli sviluppi degli strumenti
comunicativi, manifesta la necessità che comunque di essi si faccia
un uso corretto.
Questo è quanto ha
ricordato anche il professor Adriano Fabris, docente di Filosofia
Morale all'Università di Pisa. Il relatore, a tale proposito, ha
fatto riferimento a due documenti del Pontificio Consiglio delle
Comunicazioni Sociali, dai titoli: La
Chiesa e Internet ed
Etica in
Internet.
In questi documenti -
sostiene Fabris - "veniva sottolineato con chiarezza il carattere
ambiguo della rete: apertura di grandi opportunità, ma anche causa
di possibili ingiustizie; occasione per una pastorale nuova e più
efficace, ma anche strumenti da usare con il giusto discernimento".
All'intervento di Fabris, ha fatto eco quello del professor Giuseppe
Mazza, docente di Teologia Fondamentale e di Comunicazioni Sociali
alla Pontificia Università Gregoriana, che ha osservato come "le
relazioni mediate da Internet risultano spesso "anomiche" e, questa
assenza di regole, fatte salve le dovute eccezioni, comporta
instabilità e interazioni scarse, se non distorte".
In base a un'indagine presentata al convegno risulta che su un
campione di 1.338 parrocchie su 26.000, circa l'86% posseggono un
computer e il 70% sono connesse a Internet.
(©L'Osservatore Romano - 23 gennaio 2009)
| home |
inizio
pagina | |