Cittá del Vaticano (L'Osservatore Romano)
Un giornale che guarda lontano.
Annuncia il Vangelo e va alla radice degli
avvenimenti.
Dietro una notizia pubblicata non c’è mai
il fatto puro e semplice: c’è sempre anche
una scelta, che determina cosa pubblicare e
cosa non pubblicare «e sappiamo bene che le
scelte delle priorità oggi sono spesso, in
molti organi dell’opinione pubblica, molto
discutibili». Non una lezione di giornalismo
quanto piuttosto una riflessione sull’uso
dei media quella proposta da Benedetto XVI
stamane, martedì 5 luglio, durante la visita
in occasione del centocinquantesimo
anniversario del nostro quotidiano.
Rispondendo al saluto rivoltogli a braccio
dal direttore, il Pontefice ha letto solo il
primo capoverso del discorso preparato per
la circostanza, poi ha proseguito
improvvisando, e soffermandosi in
particolare sul ruolo dell’«Osservatore
Romano» nel panorama dell’informazione
internazionale. Di seguito pubblichiamo le
parole pronunciate da Benedetto XVI.
Cari fratelli e sorelle, sono lieto di
potervi incontrare nella sede del quotidiano
«L’Osservatore Romano», dove ogni giorno voi
svolgete il vostro lavoro, un lavoro
prezioso e qualificato, al servizio della
Santa Sede. Vi saluto tutti con affetto.
Saluto il Direttore, prof. Giovanni Maria
Vian, il Vicedirettore, i redattori e tutta
la grande famiglia di questo giornale. Pochi
giorni fa, il 1° luglio, «L’Osservatore
Romano» ha raggiunto il notevole traguardo
dei 150 anni di vita. Vorrei dirvi di vero
cuore come si fa in casa: buon compleanno!
Questa ricorrenza suscita sentimenti di
gratitudine e di legittima fierezza, ma,
accanto alle commemorazioni particolari e
solenni ho voluto venire anche qui, in mezzo
a voi, per esprimere la mia riconoscenza a
ciascuno di coloro che il giornale
concretamente lo «fanno», con passione umana
e cristiana e con professionalità. Da molto
tempo ero realmente curioso di vedere come
si fa oggi un giornale, dove nasce il
giornale, e conoscere almeno per un momento
le persone che fanno questo nostro giornale.
Ho avuto adesso la gioia di scoprire il modo
moderno, totalmente diverso da quello di
cinquant’anni fa, in cui un giornale nasce.
Esige molta più, diciamo, creatività
umana che lavoro tecnico. E così questa
«officina» è certamente dedicata al fare, ma
prima, soprattutto, al conoscere, al
pensare, al giudicare, al riflettere. Non è
nemmeno solo una «officina»: è soprattutto
un grande osservatorio, come dice il nome.
Osservatorio per vedere le realtà di questo
mondo e informarci di queste realtà. Mi
sembra che da questo osservatorio si vedano
sia le cose lontane come quelle vicine.
Lontane in un duplice senso: anzitutto
lontane in tutte le parti del mondo, come
sono le Filippine, l’Australia, l’America
Latina; questo per me è uno dei grandi
vantaggi dell’«Osservatore Romano», che
offre realmente un’informazione universale,
che realmente vede il mondo intero e non
solo una parte. Per questo sono molto grato,
perché normalmente nei giornali si danno
informazioni, ma con una preponderanza del
proprio mondo e ciò fa dimenticare molte
altre parti della terra, che sono non meno
importanti. Qui si vede qualcosa della
coincidenza di Urbs et Orbis che è
caratteristica della cattolicità e, in un
certo senso, è anche una eredità romana:
veramente vedere il mondo e non solo se
stessi.
In secondo luogo, da questo osservatorio
si vedono le cose lontane anche in un altro
senso: «L’Osservatore» non rimane alla
superficie degli avvenimenti, ma va alle
radici. Oltre la superficie ci mostra le
radici culturali e il fondo delle cose. È
per me non solo un giornale, ma anche una
rivista culturale. Ammiro come è possibile
ogni giorno dare dei grandi contributi che
ci aiutano a capire meglio l’essere umano,
le radici da cui vengono le cose e come
devono essere comprese, realizzate,
trasformate. Ma questo giornale vede anche
le cose vicine. Qualche volta è proprio
difficile vedere vicino, il nostro piccolo
mondo, che tuttavia è un mondo grande.
C’è un altro fenomeno che mi fa pensare e
del quale sono grato, cioè che nessuno può
informare su tutto. Anche i mezzi più
universalistici, per così dire, non possono
dire tutto: è impossibile. È sempre
necessaria una scelta, un discernimento. E
perciò è decisivo nella presentazione dei
fatti il criterio di scelta: non c’è mai il
fatto puro, c’è sempre anche una scelta che
determina che cosa appare e che cosa non
appare. E sappiamo bene che le scelte delle
priorità oggi sono spesso, in molti organi
dell’opinione pubblica, molto discutibili. E
«L’Osservatore Romano», come ha detto il
Direttore, nella sua testata si è dato da
sempre due criteri: Unicuique suum e
Non praevalebunt. Questa è una sintesi
caratteristica per la cultura del mondo
occidentale. Da una parte, il grande diritto
romano, il diritto naturale, la cultura
naturale dell’uomo concretizzata nella
cultura romana, con il suo diritto e il
senso di giustizia; e dall’altra parte il
Vangelo. Si potrebbe anche dire: con questi
due criteri — quello del diritto naturale e
quello del Vangelo — abbiamo come criterio
la giustizia e, dall’altra parte, la
speranza che viene dalla fede. Questi due
criteri insieme — la giustizia che rispetta
ognuno e la speranza che vede anche le cose
negative nella luce di una bontà divina
della quale siamo sicuri per la fede —
aiutano ad offrire realmente un’informazione
umana, umanistica, nel senso di un umanesimo
che ha le sue radici nella bontà di Dio. E
così non è solo informazione, ma realmente
formazione culturale.
Per tutto questo vi sono grato. Di cuore
imparto a tutti voi, ai vostri cari la
Benedizione Apostolica.
6 luglio 2011
[Fonte: Pontificio Consiglio
Comunicazioni Sociali, 6 luglio 2011]
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